La Bosnia in generale può essere un ottimo posto per suicidarsi: ci sono moltissime città adatte a strapparsi via le vene dalle braccia, tra cui l’enorme e sterile Doboj, l’infinita e puzzolente Tuzla o la disorientante Banja Luka, ma la nostra scelta è ricaduta su un piccolo centro abitato da poco più di 11.000 anime, protagonista di un celebre romanzo di Ivo Andric. A 100 km ad Est di Sarajevo, poco prima del confine con la Serbia, nel nulla bosniaco dei residuati bellici della Repubblica serbo-bosniaca, sorge tra un cimitero e l’altro la triplamente triste città famosa per il celeberrimo Ponte sulla Drina e per essere stata teatro di uno dei primi massacri di pulizia etnica durante la guerra della Ex Jugoslavia: in tutta la sua tetraggine fluviale: Visegrad.
Visegrad è suddivisa in due parti: la città vecchia e la città nuova. Le inutili strade parallele della città vecchia (vecchia nel senso che fino a prima della guerra era la città nuova) funzionano esclusivamente come passeggiata per adolescenti annoiati e ragazze particolarmente attraenti disposte a cedere le proprie grazie solo a ricchi signori europei in Lacoste. I ristoranti offrono carne di tutti i tipi cotta fino a trasformare anche il più tenero manzo in uno zoccolo olandese.
Il famoso ponte sulla Drina è stato interamente ricostruito, solo taluni toccano ancora le sue bianche pietre tra un attacco di parkinson e l’altro, meditando attentamente sui concetti di fratellanza che il ponte stesso avrebbe dovuto rappresentare, ma sui quali la guerra ha posto un rumoroso veto.
La Drina, nonostante qualcuno si tuffi nella sua impetuosa corrente, palesa nelle proprie viscere una incredibile quantità di rifiuti non biodegradabili intorno ai quali difficilmente un uomo sano vorrebbe fare qualche bracciata. La sua acqua marrone può essere osservata per ore e ore, in silenzio, mentre la birra scorre giù a fiotti e le bottiglie vuote puntano la loro bocca verso valle.
La città nuova, invece, non ancora del tutto edificata su una penisola artificiale, è un florilegio disneyano che emula la memoria architettonica di una città che purtroppo non esiste più, tuttavia la cosa più triste non è tanto questo sterile attaccamento al passato, ma la sua lillipuziana riproduzione in cartongesso capace di stimolare conati di vomito anche al più ingenuo tra gli aspiranti suicidi.
Nel suo tentativo di portare allegria alla deprimente popolazione di Visegrad, la città nuova riesce al di là di ogni più rosea aspettativa a produrre un effetto ancor più grigio, poiché chiunque voglia dormire, sarà costretto a tornare tra gli edifici ammuffiti della città vecchia, con un salto carpiato del senso estetico tale da accelerare i propri propositi di morte.
Continuo a domandarmi come sia possibile che ci siano ancora persone in vita a Visegrad. Non so proprio spiegarmelo. Se dunque volete tagliarvi le vene, potrebbe essere un’ottima meta. Tra i pochissimi alberghi lì presenti, probabilmente sarete in grado di trovarne uno che vi conceda una vasca da bagno. Riempitela di acqua calda e fate quel che dovete fare, ma se per caso non doveste avere la forza neanche per affittare una stanza, la Drina in tutto il suo gelo vi dissanguerà ancor più velocemente.
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Testo scritto tanto per scrivere da chi della bosnia non ci ha capito molto.
Possibile che non ci abbia capito molto, ma in realtà non parlo della Bosnia, paese che ho amato enormemente, bensì di Visegrad.
Testo orribile sia per come è scritto sia perché evidenzia un analisi superficiale e puramente occidentale. Non hai capito niente dei Balcani. E questo problema con i suicidi curarlo.