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Il Mediterraneo è un mare magnifico, caldo e con pochi squali mangiatori di uomini, una costellazione immensa di città antiche e fascinose, ma se per caso doveste trovarvi in Sardegna, una delle isole più splendide che io abbia mai visto, e vi foste annoiati di cotanta bellezza, allora non dovreste per niente al mondo perdervi l’incredibile, immemorabile, indimenticabile, impossibile Porto Torres.

Situata a sei ore e qualcosa d’autobus da Sassari equivalenti a 27,6 km sul pianeta terra, si estende per poche unità di misura a est di una delle spiagge più belle d’Italia, la Pelosa, dove però non potrete fare il bagno a causa dell’attonita folla eternamente densa. Con una popolazione di circa 22.000 sardi e una densità di 213 abitanti per km quadrato, sarete del tutto incapaci di perdervi nelle sue 32 stradine convergenti verso la celeberrima Piazza Garibaldi, provvista di due ristoranti, forse un bar, due alberi e mezza panchina.

Nel caso siate classe agiata e poco avvezza a certi sofismi del brutto e vi foste concessi nella vita il lusso di comprarvi un’imbarcazione, allora, passando per il golfo dell’Asinara dovreste fare estrema attenzione a trappe di ogni genere capaci di impigliarsi nella vostra elica rompendola, perché così sareste obbligati ad un piacevolissimo soggiorno in una delle più famose capitali europee del suicidio.

Il fascino tutto particolare di questo luogo risiede in un clima da porto industriale semicontinentale, provisto di piacevoli abitazioni abbandonate, calcinacci (de)cadenti tra il bianco calce viva e il marrone muffa secca, persiane con stecche spaccate e neanche una scritta sui muri di giovani atti a testimoniare il proprio passaggio su questo pianeta. Il buon gusto dei ristoratori li porterà a nascondere il silenzio spettrale dell’abitato con un volume della musica tanto elevato da non permettervi neanche di farvi capire dai camerieri, che tirando ad indovinare vi serviranno l’unico piatto provvisto dell’unico allergene che sicuramente vi indurrà la morte. Sarete tentati a non rimandarlo indietro.
E tutto questo è scioccante se consideriamo che Porto Torres è stato un insediamento prenuragico.

Il centro culturale di questa città si suddivide in tre poli ben distinti:
1) Il porto dei traghetti diretti verso l’Italia o la Spagna, dove miliardi di automobili producono giornalmente enormi vastità cinesi di anidride carbonica. Potrete godervi questa immensa, coatta, sovreccitata massa in fila sulla strada per scappare verso lidi meno orribili. I portotorresi osservano per lunghe settimane con occhio saggiamente antropologico queste teorie vestite male, che berciano, che inseguono bambini, che gettano bottigliette di plastica a caso per la strada.
2) Il supermercato, un luogo stranamente buio, che Baudelaire non avrebbe incluso nella modernità delle cose illuminate e appiattite, ma nonostante questa oscurità dilagante, potrete ascoltare indigeni disposti ad aprire bocca, anche fosse solo per chiedervi se volete altro.
3) L’edicola, dove tenterete di comprare un Dylan Dog o un Nathan Never, ma li stanno ancora aspettando dallo scorso agosto ed è il prodotto culturalmente più elevato a disposizione.

Forse aspettando che riparino l’autobus su cui viaggiavate (ci sono stato due volte e per due volte l’autobus si è rotto) potrete perfezionare il vostro desiderio di morte osservando tutta la bellezza che sta intorno a Porto Torres e quando il sole calerà nello splendore che non vi è stato concesso, in quel tramonto che vi nega, allora potrete gettarvi nei liquami marini e cominciare a nuotare verso il largo senza mai voltarvi indietro, finché annegamento non vi ucciderà.

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Nato a Firenze nel 1983. Ha studiato Filosofia. Lavora con gli studenti americani. Percepisce le cose in modo destrutturato. Ha fatto tanti, differenti lavori, alcuni anche strani, altri proprio normali. Fondatore di Infugadallabocciofila.it e Ilmondooniente.com. Molte collaborazioni con riviste italiane. Appassionato di Letteratura, Cinema, Filosofia, Sport, Malattie Mentali, Sociologia, Crittografia e Donne, cerca di tirar su uno stipendio per viaggiare e leggere. A volte ha paura di morire, come tutti d’altro canto. Altre volte invece si sente immortale. Ascolta musica. Annusa le cose e vi saluta sempre scuotendo la mano aperta.

18 Comments on “Porto Torres, due ristoranti e forse un bar

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