Firenze – Linea 33
Niccolò da Tolentino – Santo Stefano in Pane
Oltre la notte, Fermata: Niccolò da Tolentino
Sei respiri si alternavano dentro quel bus solitario che percorreva strade vuote. I semafori erano spenti, i lavori per la tramvia quasi finiti. Spirava un vento gelido e violento senza alzare gonne o scompigliare capelli appena acconciati, spirava senza trovare opposizione all’infuori di quel bus che a ogni spira sobbalzava come una bimba alla vista di un ragno.
I’ cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ‘nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri».
Vicino al conducente, che respirava lentamente e senza affanni, respirava a fatica un ragazzo come tanti, vestito come tanti, il suo sguardo non era particolarmente intenso, le sue mani non avevano particolari caratteristiche, era uno dei tanti che si affannava a ridere a comando, a bere solo quando si aveva sete, uno di quelli che si annoiavano, uno di quelli sempre pronti a smettere di respirare senza farsi troppe domande, uno di quelli che percorreva sempre lo stesso tragitto, tagliava la barba sempre allo stesso modo, uno di quelli con, forse, la consapevolezza della miseria dell’uomo, delle sue nefandezze e delle sue meraviglie, delle speranze e dei baci di passione proprio come quelli che in fondo a quel bus si scambiavano una coppietta di adolescenti, lo facevano senza riguardo, senza pudore, si sbavavano le labbra, mischiandosi il respiro con la saliva e la vita che tracimava oltre i lori corpi, oltre le loro mani. Tutto di loro era teso e bagnato, si accarezzavano, avvinghianti come due serpi in amore.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Traboccava la loro passione oltre il loro corpo, oltre la loro anima per inondare tutto il bus, per travolgere senza possibilità di ritorno anche quei due sconosciuti che si erano sfiorati per la prima volta proprio su quei sedili. Uno accanto all’altro si erano seduti. Sia loro che il ragazzo, in piedi, vicino al conducente non potevano fare a meno di guardare quei due ragazzini adolescenti che tanto si stringevano in una passione senza confini. Lei non poté non arrossire, li guardavano stando in silenzio, sfiorandosi i gomiti, cercando il contatto e sperando che potesse diventare il tramite di parole che mai sarebbero state pronunciate. Li guardavano e, in un impeto a loro sconosciuto, sovvertendo l’ordine naturale delle loro più profonde convinzioni, si baciarono teneramente, la bocca di lei era una primula che si schiudeva dentro una campanula d’oro, si sfiorarono annusandosi l’anima.
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Sconvolsero il loro credo, dimenticando tutto, tutto quello che era stato: le liti, le violenze, gli abusi e le gioie, le mancanze, le sofferenze, i sorrisi e le carezze, l’adolescenza bruciata, l’infanzia mai vissuta, volarono leggeri oltre il tempo materiale dei secondi, per distaccarsi oltre il creato, oltre la materia, oltre quei due ragazzini, oltre il conducente, oltre quel ragazzo come tanti, oltre le pareti di quel bus sferzate dal vento. Andarono altrove, in un altrove senza carità, dentro una misericordia sconosciuta a tutti.
Si strinsero le mani, guardandosi negl’occhi, andando oltre le loro pupille e i castighi che sarebbero arrivati alla loro anima, alle violenze perpetuate dalla morale.
Nel vento della notte, Fermata: Santo Stefano in Pane
Giunti al capolinea i due ragazzini accaldati scesero per poi correre verso la luna. Il conducente avrebbe continuato la sua marcia.
Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa..
Le mani dei due invece si staccarono, scesero insieme rimanendo in balia del vento, flagellati a sangue da fruste invisibili, spogliati dalla bufera, scaraventati a terra come corpi senza forza, senza luce e mentre il vento allontanava quei due corpi senza meta che sorridevano alla vita, quel ragazzo, come tanti, chiuse gli occhi e cadde “come corpo morto cade.”
La foto è di Felix Mittermeier.
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Interessante il ruolo del ragazzo (un Dante – spettatore) che sul finale viene meno. Se si considerano i due sconosciuti come due adulteri, lo spettatore potrebbe essere potenzialmente o concretamente un adultero a sua volta e la sua reazione finale una forma di umana compassione verso i due sconosciuti e ammirazione verso i due adolescenti. Ma lo spettatore potrebbe essere anche una persona che non ha mai ceduto, probabilmente per mancanza di coraggio o per altri motivi, ai suoi istinti e, vedendo i due adolescenti e poi i due sconosciuti aprirsi alla vita, è travolto da un eccesso di emozioni che non riesce a gestire. Da qui lo svenimento. Finale enigmatico su cui riflettere. Grazie
Il finale è da brividi, la caduta del Ragazzo credo riprenda l’effettivo canto di Dante (il quinto) e sua la caduta figurativa, il ragazzo come il Poeta vengono travolti dalla passione che vedono, dalle emozioni. Un Paolo e Francesca moderno. Complenti all’autore.