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Firenze – Linea 31
Santissima Annunziata, Istituto degli Innocenti – Museo Gino Bartali

Ore 11:34, Santissima Annunziata, Istituto degli Innocenti. Lo Spedale degli Innocenti è il primo brefotrofio d’Europa che accoglie e alleva i neonati illegittimi, a differenza dell’orfanotrofio che accoglie invece gli orfani, minori abbandonati o maltrattati.

I sampietrini sconnessi  tracciavano disarmonicamente i contorni sfumati dell’incedere dei turisti, dei girovaghi, dei persi, di quei pochi che abitano ancora questo pezzo di Firenze consumato dalla storia, dai commenti, dalle esclamazioni di sorpresa. Tutto era avvolto in un silenzio caotico o  in un rumore silenzioso, un ossimoro che si adattava al ritmo della bellezza.
Brunelleschi ne aveva disegnato le linee.

Una ragazza che indossava un vestitino giallo canarino era assorta, come se tutto intorno a lei fosse distante, marcato dalla matita di un bambino appena arrivato all’istituto, un atollo in  mezzo a un oceano infernale, con il cuore custodito dentro una capanna di foglie sferzata a morte da venti monsonici.
Era assorta e lontana, seduta sui gradini all’angolo della scalinata, guardava la piazza, le spalle erano curve come se ci fossero su quelle gracili ossa tutte le lacrime degli ultimi, degli abbondanti, degli emarginati, di tutti quei bimbi percossi con le cinghie, picchiati fino al punto di colorare di rosso sangue le gambe, il busto, le cosce. Annodati con le viscere alla paura, alla morte, alla desolazione dell’abbandono, alla precarietà della vita che scorreva in loro come un fiume preistorico prosciugato in un’altra era.
Il vestitino giallo era un punto vivo nel quadro antico che la piazza mostrava, le gambe erano serrate, le mani chiuse. Tutto in lei era vivo, come se tutti gli incubi delle prime notti, dei tanti arrivati nei secoli, si fossero dischiusi dentro una diversa alba,  come se quel dolore si fosse diradato come  nebbia sotto un delicato sole di marzo.
Era come se quella ragazza avesse trovato una connessione con quelle mura, come se il respiro affannato e stanco dell’Istituto si fosse sincronizzato con il suo.
Era diventata un bolla di sapone attraverso la quale era possibile vedere i secoli passati, tutto il male che si era concentrato sotto le unghie dei maltrattati che erano scampati alla distruzione, proprio grazie a quelle mura protettive o almeno più accoglienti delle loro case, che avevano avvelenato per sempre il loro sangue sciogliendo e aggrumandolo, compromettendo il flusso, la loro immaginazione, i sorrisi  che non sarebbero mai più arrivati, le gioie che non sarebbero state mai più trattenute, rendendoli per sempre degli esclusi, allontanandoli dalla serenità, condannandoli per sempre alla tristezza, all’anima raminga in cerca di emozioni buone solo ad allungare il tempo, ad allontanarli dalla morte. Era come se le mura di quell’Istituto filtrassero tutto questo per renderlo a quelle gracili anime sotto forma d’amore, di voglia di vivere, era come se tutto quell’amore si fosse concentrato dentro gli occhi lucenti di quella ragazza con il vestitino giallo che sorrideva senza saperne il motivo.

Tutto in lei era vita: le gambe lisce, il ventre piatto, le orecchie appuntite, i capelli e le mani, le dita dei piedi e i  gomiti, tutto urlava e gioiva,  una scia di luce che salì con lei sul 31 e con lei scese alla fermata di Gino Bartali che senza sosta pedalava ancora, sudava, scalava le vette senza chiedere niente, con addosso la sola voglia di essere un uomo libero.

Ore: indefinita, fermata Museo Gino Bartali. 

Il bus riparte.


In copertina la foto è di Federica Giradi.

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È nato in Lucania nel 1986, vive e lavora a Firenze. Nel 2010 ha fondato la Rivista Letteraria L’Irrequieto, che da allora gestisce quotidianamente con dedizione. Condirettore di Radio Senza Frontiere. Co-fondatore di Light Magazine. Per fortuna è insonne. Cerca di sorridere. Fa troppe domande. Quando non cede alla tentazione di perdersi tra i decimali del Pi Greco, lavora. Scritti pubblicati sulla Rivista.

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