La rubrica delle Irrequietudini d’Autore riprende e questa volta siamo in casa NNEDITORE, con Alessio Forgione e il suo romanzo Giovanissimi, che abbiamo trovato anche nella dozzina finale del Premio Strega 2020. Con già alle spalle un primo romanzo, Napoli mon amour, che sarà anche uno spettacolo teatrale, l’autore ci porta questa volta tra le ansie e le turbolenze emotive degli adolescenti che trascorrono le giornate tra le strade di Soccavo, un quartiere della periferia di Napoli, sempre in attesa di qualcosa: dell’amore, del motorino, di sé stessi o semplicemente dell’amico che tarda ad arrivare in piazza sulla panchina. Dopo aver letto il suo libro, facciamo ora ad Alessio delle domande per soddisfare qualche curiosità.
Un giorno, commentando un articolo, mi sono ritrovata a dire che Napoli, forse, è tutta periferia. Non in senso letterale, ovviamente, ma pensare a Napoli città dà comunque l’idea di un agglomerato di realtà diverse tra loro. Sarà la divisione in diversi quartieri, o magari è una concezione del tutto errata dettata da un preconcetto figurativo. Cosa ne pensi?
Per tanti versi, tranne alcune zone, Napoli è tutta una gran periferia o un grandissimo quartiere popolare.
Cito una parte del tuo romanzo:
“Quella zoccola di tua madre – mi disse.
Riprendendo a camminare mi chiesi se quella era una frase che avrebbe detto a chiunque o se l’avesse detta perché mi aveva riconosciuto”
Devo dire che qui mi sono sentita praticamente a casa. Magari speri che il lettore possa creare un legame col tuo romanzo ritrovando nelle vicende del protagonista un po’ della sua vita e altre romanticherie letterarie del genere, ma io ho sentito la connessione per la prima volta leggendo “Quella zoccola di tua madre”. Perché, soprattutto qui al sud, per centrare il colpo e andare a fondo con l’offesa tendiamo ad aggettivare la madre?
Perché la mamma, in un panorama di cose che cambiano e cambiando diventano diverse, dove quasi tutto è di poco conto o economico, la mamma è quella cosa, insieme ai propri morti, che proprio non può cambiare o venire toccata. Offendere una madre, in un contesto di più o meno di povertà diffusa, come quello dove sono immersi i personaggi di Giovanissimi, è offendere l’ultima cosa certa e sacra rimasta.
Un tema caro all’adolescenza è quello dell’amicizia. In una tua intervista mi pare di aver letto che sei stato felice di aver potuto trattare anche questo tema tra i tanti che permette il raccontare quel periodo della crescita. Lo so, ti senti sempre un adolescente, in fondo. Come tutti i trentenni, aggiungerei.
“Strunz – disse e mi sputò in faccia. La sua saliva si confuse con le mie lacrime e Lunno gli diede uno schiaffo che risuonò per chilometri e chilometri, per tutto l’universo, fin sopra la Luna.”
Consacriamo con questa frase l’amicizia tra Marocco e Lunno?
I trentenni che conosco io cercano di aver trent’anni in un mondo che ha cancellato la parola futuro dal suo vocabolario. Tocca riorganizzarsi, metterci una pietra sopra e comprendere che il posto fisso e una certa programmazione sono impossibili e non ci saranno, in definitiva, e quindi tocca ammettere che non miglioreremo o perpetueremo la condizione dei nostri genitori, ma che ripartiremo da quella dei bisnonni, subito dopo la Prima Guerra Mondiale.
Il resto non lo so, e forse non m’interessa nemmeno.
L’amicizia che in Giovanissimi lega Marocco e Lunno non è una semplice amicizia, di quelle sempre positive, ma è anche quell’amicizia che nasce in un mondo, quello sul finire degli anni ’90, e visto da una periferia, dove non era semplice trovarsi tra simili.
Marocco capisce di non essere come Lunno e che forse non gli piace nemmeno il suo modo di fare o pensare, ma non per questo rinuncia a passare il suo tempo con lui. Ne sono felice, perché è semplice essere amico delle persone che ti piacciono. Ed è bellissimo e difficile essere amico delle persone che non accetti completamente e che provi a capire, nonostante tutto, perché costretto dall’affetto, al quale non si comanda.
Da lettori tendiamo ad identificare l’autore col protagonista. C’è qualcosa di te in Marocco e negli altri personaggi?
Sì.
Il libro è diviso in cinque capitoli, cinque fasi: rifiuto, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione. Queste fasi fanno pensare ad un lutto, ad un torto subito. Leggendo l’intera vicenda si può trovare una motivazione, ma perché supporre quando puoi spiegarcelo tu?
No, invece. Sono i lettori che devono interpretare e provare a capire. Un romanzo che dice tutto, che spiega anziché raccontare, ovvero che non fa porre domande al lettore, non è un romanzo, ma un pettegolezzo. A me i pettegolezzi hanno sempre annoiato.
Proprio perché reputo il lettore sacro, è mio dovere non dirgli cosa pensare. Fa parte del gioco.
Ci sono dei riferimenti musicali nel romanzo, troviamo il nome di Battiato, quello di Baglioni. Ti chiediamo quindi di suggerire qualcosa da ascoltare, legato al tuo romanzo o alla sua stesura.
Uno dei riferimenti letterari di Giovanissimi, forse quello cardine, è il rap, anche quello contemporaneo, perché spesso sono narrazioni che provengono direttamente dalle periferie, senza filtri, composte da ragazzi e indirizzate ad altri ragazzi. Nell’ultimo periodo che revisionavo il libro ascoltavo molto Vale Lambo.
Tocca anche a te commentare le parole di un altro scrittore:
“Che ci si salvi l’anima scrivendo non è detto. Scrivi, scrivi, e già la tua anima è persa”
(Italo Calvino).
Be’, non so cosa esattamente voglia intendere Calvino.
Se pensa che tu scrivi e contemporaneamente i tuoi amici s’innamorano, magari fanno figli, oppure viaggiano, vanno in vacanza e gli succedono cose, mentre tu continui a star seduto alla tua scrivania, giorno dopo giorno a rivivere sempre lo stesso giorno, con le stesse abitudini, allora sono d’accordo. Però non mi lamento. Non mi piacciono le lamentele.
Ed infine la domanda, forse, più fastidiosa: c’è qualcosa che ti agita? Cosa ti rende irrequieto?
Tutto.
Associazione Culturale L'Irrequieto
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