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La settimana scorsa mi è capitato di avere una conversazione occasionale con l’amica di una mia amica, che si trovava di passaggio in città e alla quale mi sono presentata e ho raccontato un po’ di me. Dopo le solite informazioni sul nostro percorso accademico e professionale, ho finito per spiegarle che una delle mie specializzazioni è la traduzione letteraria, per quanto per lo più di narrativa lunga e breve per adulti e di poesia contemporanea. Nel sentirmi elencare tante specifiche, la ragazza in questione mi ha posto una domanda più che legittima: «Mi stai quindi dicendo che i traduttori letterari non sono tutti uguali?» – la cui risposta, prevedibilmente, è no.

Pensiamo per un attimo alla traduzione di Riccioli d’oro, per esempio, e proviamo a immaginare le più semplici strategie traduttive da applicare: addomesticamento, adattamento, traduzioni di toponimi e nomi propri, per citarne qualcuna. I lettori più piccoli, infatti, non necessariamente sanno cosa sia il porridge o il boulevard, non hanno mai visto un samovar e potrebbero non avere familiarità con gli aficionados. Certo, per seguire l’intreccio di alcune storie è fondamentale mantenere una determinata collocazione geografica e alcuni realia, ma generalmente fiabe e favole hanno un linguaggio tutto loro, che va conosciuto e mantenuto nel rispetto dei giovanissimi destinatari del testo.

Diversissimo è il caso dei classici della lettura, invece. Un atteggiamento ben diverso va mantenuto nell’approcciarsi alla traduzione di Proust, Dostoevskij, Cervantes o Chaucer, e le tecniche a cui si può fare ricorso non per forza tendono a facilitare la lettura, ma spesso addirittura a renderla più affascinante ed “esotica”, ovvero più aderente al periodo storico, alla mentalità, allo stile e agli intenti poetici dell’autore in questione. La faccenda si complica ulteriormente se stiamo lavorando a un classico scritto in versi, come può essere un’opera di Dante, di Puškin o di Rostand. Pensate che ne sarebbe della Divina Commedia o di Cyrano de Bergerac, se si eliminasse in partenza lo schema di rime o se si intervenisse sui versi in maniera analoga a quella che si applica a un racconto dei fratelli Grimm.

E non è tutto. Esiste poi una categoria cosiddetta “di evasione”, che al suo interno include diversi generi letterari. Penso ai polizieschi, ai fantasy, ai romanzi rosa, giusto per citarne un paio. E ciascuno di loro può essere a propria volta contenitore di altrettante sottocategorie, come accade per il celebre commissario Montalbano di Andrea Camilleri, scritto in un idioletto a metà tra italiano e siciliano di Porto Empedocle, o per la saga de Il Trono di Spade di G.R.R. Martin, ambientato in un universo medievale alternativo. Neppure i romanzi di Sophie Kinsella sono da meno, dal momento che per tutti questi libri l’equilibrio da trovare fra la godibilità della trama e i tratti distintivi di una certa penna è a dir poco complesso.

Di conseguenza, ho provato a spiegare questo mosaico di situazioni all’amica della mia amica e ho visto gradualmente i suoi occhi illuminarsi e incupirsi, nell’apprendere le molteplici sfaccettature del mestiere e, allo stesso tempo, nel rimanere turbata dalle sue innegabili difficoltà. Il consiglio che ho dato a lei è quello che di solito do a chiunque mi ponga qualche domanda in merito, ovvero procurarsi il breve saggio La voce del testo. L’arte e il mestiere di tradurre, scritto da Franca Cavagnoli ed edito da Feltrinelli, e immergersi in un intero universo di scoperte.

Toccare con mano le diverse croci e delizie di chi opera nell’ambito letterario, infatti, non è utile soltanto agli addetti ai lavori, che senza dubbio trovano comunque spunti e consigli preziosi all’interno del volume, ma anche per tutti i lettori curiosi ed esigenti, che vogliono valutare in autonomia l’adeguatezza della traduzione di un testo imparando a distinguere le strategie più idonee da quelle meno calzanti, le insidie più nascoste da quelle più manifeste. È imparando a leggere con spirito critico, rammenta infatti la stessa Cavagnoli, che si riesce a riconoscere la voce più profonda di un testo.

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La catanese Eva Mascolino, 24 anni, si è specializzata in Traduzione alla Scuola per Traduttori e Interpreti di Trieste nel 2018, concludendo gli studi con il massimo dei voti con una tesi di traduzione letteraria dal russo, dopo avere svolto tre scambi all'estero nel corso della sua formazione universitaria. Vincitrice del Premio Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie", collabora con riviste e magazine culturali (fra cui Sul Romanzo, Letteratitudine, Argo, L’Irrequieto, Sicilian Post), oltre a essere una copywriter e traduttrice freelance da quattro lingue per svariate agenzie multiservizi. Nel 2018 ha pubblicato il racconto "Vladimir’s Blues" con Aulino Editore, mentre con "L’uomo di colore" è stata in finale al Premio Chiara Giovani 2018. Attualmente vive a Catania, dove ha di recente svolto il ruolo di collaboratrice editoriale per la prima edizione del festival letterario EtnaBook.

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