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Finora lo abbiamo sempre dato per scontato, io che scrivo e voi che leggete: siamo fra persone che conoscono la scrittura dall’interno almeno in parte e che si rendono conto della serietà di ogni microdramma, anche quando il tono è un po’ canzonatorio o autoironico. Di conseguenza, non ci formalizziamo di fronte ad iperboli o ad esempi che, per quanto calzanti, tendono a gonfiare un po’ la situazione.

Questo perché capiamo che in effetti il retroscena di un qualsiasi manoscritto è costellato di ostacoli come nemmeno una gara di atletica leggera lo è mai stata, e che scherzarci su è lecito dato che, nella realtà, la situazione non è di certo rosea. La faccenda si complica, però, quando il contenuto di un microdramma deve essere spiegato a chi non ha mai pensato di fare un mestiere simile.

A uno sguardo esterno, infatti, molto di quello di cui ci lamentiamo è o una barzelletta dal gusto poco brillante o una tragedia montata appositamente per autocommiserarsi e per convincere gli altri del fatto che la scrittura sia più una croce che una delizia.

D’altronde, nell’immaginario comune lo scrittore è una creatura privilegiata. Non ha necessità di uscire di casa per lavoro, né di seguire dei ritmi costanti e rigidi, imposti magari dall’alto. Può lavorare di notte, per esempio, e soprattutto può decidere o meno se proseguire con la stesura di un’opera o se concedersi una pausa. Può prenotare le vacanze con largo anticipo e addirittura viaggia spesso per lavoro.

Considerando tali premesse, non risulta facile convincere chi ha ben stampati in testa determinati pregiudizi del fatto che scrivere nasconda davvero delle zone d’ombra, come d’altra parte ogni attività umana finora inventata. I microdrammi appaiono come diversivi per oziare e per sfruttare le parole in modo leggero, che strizzino l’occhio a una determinata categoria e niente più.

Per cui, non risulta difficile immaginare il sorriso su certe facce nel momento in cui un post dedicato alle complicazioni di chi deve far quadrare le parole, anziché i conti, viene condiviso o anche solo nominato. Personalmente riesco perfino a figurarmi davanti un certo movimento del capo in segno di assenso, che tuttavia nasconde una lieve e beffarda presa in giro.

Non è un caso, dunque, che poco si sappia dei problemi degli scrittori, come di chiunque altro si serva di una forma d’arte come punto di partenza per dare luce a un prodotto finito inedito e accattivante. I creativi non sono descritti che nella loro genialità, nel loro estro, nella loro capacità di trasformare i dettagli più insignificanti in magnifiche manifestazioni della fantasia. E non si fa menzione dei loro triboli, come se il bacio di una musa li esonerasse da qualsiasi sofferenza.

Uscire dallo schema equivale ad andarsi a cacciare nell’ennesimo labirinto senza uscita, al centro del quale troneggia un microdramma paradossale e dei più impietosi. Se si difendono le trappole in cui incorre quotidianamente uno scrittore, ci si inimica il resto del mondo; se non si simpatizza per chi si sa in procinto di spegnere i dispositivi, gettare le penne nella spazzatura e volare fino all’altro capo del mondo a tempo indeterminato prima dell’arrivo di un esaurimento nervoso, ci si sente in colpa con sé stessi.

L’ideale consisterebbe in un lento ma tenace tentativo di diffusione di alcuni microdrammi, con annessa spiegazione e testimonianza quanto più diretta possibile della loro veridicità. Non smettere di difendere la bellezza di questo mestiere e, nel frattempo, di sensibilizzare alle sue grame dovrebbe essere quasi una missione, perché delle rubriche letterarie si continui lì per lì a sorridere, senza tuttavia dimenticare che dietro le quinte c’è parecchia fatica con cui confrontarsi e tanta pazienza e buona volontà necessarie per non soccombere di fronte alla precarietà e alle insidie di questo lavoro.

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La catanese Eva Mascolino, 24 anni, si è specializzata in Traduzione alla Scuola per Traduttori e Interpreti di Trieste nel 2018, concludendo gli studi con il massimo dei voti con una tesi di traduzione letteraria dal russo, dopo avere svolto tre scambi all'estero nel corso della sua formazione universitaria. Vincitrice del Premio Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie", collabora con riviste e magazine culturali (fra cui Sul Romanzo, Letteratitudine, Argo, L’Irrequieto, Sicilian Post), oltre a essere una copywriter e traduttrice freelance da quattro lingue per svariate agenzie multiservizi. Nel 2018 ha pubblicato il racconto "Vladimir’s Blues" con Aulino Editore, mentre con "L’uomo di colore" è stata in finale al Premio Chiara Giovani 2018. Attualmente vive a Catania, dove ha di recente svolto il ruolo di collaboratrice editoriale per la prima edizione del festival letterario EtnaBook.

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