Accade spesso che la scrittura si trasformi in un incubo non mentre il genio creativo è in azione (o non riesce a entrare in azione), bensì nel momento in cui si pensa che il peggio sia passato. L’opera è compiuta, le revisioni sono già state fatte, il formato del file è corretto, la versione cartacea c’è o ci sarà presto, che sia in veste ufficiosa o ufficiale.
In altre parole, succede quando abbiamo abbassato la guardia, quando crediamo che il nostro lavoro sia finito e che ormai si tratti solo di pochi dettagli e di un margine di tempo limitato prima di passare al prossimo progetto o, quantomeno, di chiudere quello in questione.
Il più delle volte, però, questa sensazione di completezza e di liberazione è un’illusione bell’e buona, che rischia di farci perdere concentrazione e pazienza proprio a un passo dal traguardo, mentre invece dovremmo mantenere attenzione e nervi d’acciaio. È infatti possibile che in piena notte ci venga in mente un elemento che avevamo sbadatamente trascurato e che, per esempio, ciò ci costringa a sistemare da capo l’impaginazione.
Oppure, che alcune modifiche non siano applicabili direttamente nel nostro PDF di fiducia, neppure con l’aiuto di tutorial per principianti e analfabeti. O ancora, che un taglia-incolla dopo l’altro alteri determinati parametri che avevamo impostato in alcune sezioni del documento e che lì per lì rischiamo di non notare neanche.
E che dire di quando non siamo noi ad accorgercene, bensì collaboratori che ci avevano già confermato che fosse tutto in regola e che ci avevano dato l’autorizzazione di procedere? Finché siamo noi i responsabili dei nostri errori, per impostazione psico-sociologica siamo più propensi a non piangere sul latte versato, ma se ad essere implicati sono dei terzi diventiamo isterici nel giro di trenta secondi.
Un microdramma da restarci secchi, per dirla senza troppe attenuanti. Così letale da farci preferire, nei non rari momenti di sconforto che sopraggiungono a schiera, gettare la spugna ed emigrare verso i tropici per una vacanza rigenerante, senza apparecchiature elettroniche, e-mail, bozze, tipografie e correzioni.
Peccato che poi, razionalmente, riflettiamo sul fatto che potremmo permetterci una fuga dai nostri incubi informatici e dalla pioggia di refusi solo rimanendo dove siamo a perdere la vista fra un carattere microscopico e l’altro. E così ci arrangiamo per non cadere in depressione e per non dovere privare il mondo delle sue scorte di valeriana prima che il grande passo sia compiuto.
Proviamo a sminuire il nostro microdramma sperando che lui si lasci convincere dalle nostre argomentazioni, dalla stoicità con cui stringiamo i denti e tentiamo di risolvere smottamenti dell’indice, note a piè di pagina che si rifiutano di stare a piè di pagina, paragrafazione che all’improvviso usa simboli incomprensibili per comunicare con noi e margini alternati fra lato pari e lato dispari.
Tutto quello che ci guadagniamo, tuttavia, è un microdramma ancora più accanito, che ci rimane alle calcagne fino all’ultimo istante, e una crisi nervi sempre sul punto di scoppiare. E a salvarci dalla disfatta rimane solo la prospettiva del biglietto aereo in cui investiremo i nostri guadagni, per poi ritrovarci anche sull’orlo anche della crisi economica ed essere costretti a ricominciare da capo a scrivere qualcosa.
Associazione Culturale L'Irrequieto
, Firenze-Paris @2010-2018
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