In un mondo sempre più tecnologico e collegato da un capo all’altro, è indispensabile che uno scrittore sappia porsi e proporsi a chi lo legge. Questo, per quanto dispiaccia, non passa solo attraverso le pagine dei libri che si pubblicano, ma anche da una serie di documenti che si inviano e scambiano di continuo con più figure.
In calce a un’intervista o in una quarta di copertina, per esempio, può essere richiesto l’invio di una breve biobibliografia, che riassuma le date principali della vita dell’autore e che ne elenchi le pubblicazioni e le più importanti partecipazioni a eventi di carattere culturale.
Oppure, in casi diversi, può essere addirittura necessaria una breve lettera di presentazione, magari da allegare a un curriculum vitae o a una proposta editoriale, agli organizzatori di una fiera letteraria o a potenziali collaboratori.
Il fatto è che filtrare l’essenziale non sempre risulta semplice. Dopo data e luogo di nascita, infatti, è meglio specificare subito dove si vive o passare prima in ordine cronologico a indicare la propria formazione? Se si è già andati in stampa con più di un’opera, le si deve elencare tutte con tanto di casa editrice e anno di prima edizione?
E poi: se si è apparsi in riviste o se si è membri di associazioni culturali dal nome lunghissimo, va inserita la dicitura pere intero? Ed è meglio scrivere in prima persona o in terza, nell’ipotesi in cui non si ricevano indicazioni? Ci si deve rivolgere a sé stessi con la formula il/la sottoscritto/a, il/la qui presente o con io?
E non finisce qui. Si risulta più efficaci se si è autoironici o se ci si prende molto sul serio? Se si utilizza uno stile lineare o se si passa per qualche metafora ben assestata? La sintesi paga sempre o ci sono occasioni in cui dilungarsi e spiegare nel dettaglio un determinato passaggio del discorso è preferibile?
Tutti dubbi amletici la cui risposta può variare sulla base del contesto e dei destinatari, cosicché è impossibile sia riciclare quanto si è già strutturato in passato sia applicare un metodo di riferimento valido universalmente, che ci sollevi da ogni difficoltà e che renda l’autopresentazione esente da microdrammi.
Per cadere sempre in piedi, una buona strategia è chiedere preferenze e linee-guida a chi commissiona certi paragrafi. Nel caso delle lettere di presentazione vere e proprie, invece, tanto vale attenersi all’etichetta standard ed evitare eccessivi picchi di originalità, a meno che non si voglia evidenziare un aspetto importante e farlo risaltare appositamente.
Se due alternative sembrano andare altrettanto bene, la via più giusta rimane la più scorrevole e diretta, quella che fa a meno di fronzoli e di autocompiacimenti, quella che non prevede salti temporali o informazioni implicite, quella che non ripete dati già forniti e che si rivela più accattivante anche da un punto di vista fonico, oltre che del contenuto e della forma.
Elementare, no? Se non fosse che indicazioni così generiche, come d’altronde se ne trovano dappertutto in rete e come già da soli si riesce a concepirne, sono utili solo nel 5% dei casi, cioè quando la complessità della richiesta è pari a zero e si può scampare il pericolo con le proprie forze e con scarsa fatica. Nel resto delle circostanze, questi consigli non serviranno naturalmente a nulla, e il microdramma se ne starà lì appollaiato a guardarci mentre cerchiamo di risolvere un rompicapo che per definizione non ha via d’uscita.
Nei secoli dei secoli, visto che ci si prova da tempo immemorabile a stilare delle linee-guida appropriate e non ci si è ancora riusciti.
Associazione Culturale L'Irrequieto
, Firenze-Paris @2010-2018
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