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Di solito si pensa che impegnandosi a scrivere qualcosa si avrà una scusa perfetta per evadere dalla realtà quotidiana, esattamente come quando poi la stessa storia viene letta. Ci si appassiona alle vicende, si entra dentro la storia, ci si immedesima nei propri personaggi e si iniziano a vivere con loro lunghe notti in bianco, giorni frenetici, dialoghi serrati.

Anche quando si tratta di brevi racconti o di lunghe poesie la prima tentazione è quella di lasciarsi andare, prendendo per un attimo le distanze dai propri impegni quotidiani e calandosi in apnea in un altro universo, in cui cambiano i colori delle pareti di casa, i nomi degli amici più cari, le chiavi della macchina.

Conoscenti e familiari inizieranno a pensare che siamo ammattiti. Troveranno in noi alter-ego di cui non sapevano niente e che, a differenza nostra, bevono tè, fanno la doccia anziché il bagno, comprano i cavoli, si svegliano alle sei e mezzo del mattino, oppure addirittura vivono in un altro continente e sono di un altro sesso.

Ci immedesimeremo al punto che cambiamo gusti e mentalità, nella speranza che anche i nostri futuri lettori riescano nell’impresa. Che succede, però, se il protagonista che abbiamo selezionato è un antieroe? Cioè se, in altre parole, i primi a cui sta antipatico siamo proprio noi?

Scrivere di lui o di lei può rivelarsi più noioso del previsto, quasi snervante. Non possiamo immedesimarci in maniera totale, cosicché dobbiamo prendere le distanze mentre gli facciamo compiere scelte che non condividiamo e pronunciare frasi che sappiamo essere sbagliate. Da un lato ci diverte, dall’altro ci rende esausti. Ci disgusta e ci affascina, ci attira e ci repelle, finché non cominciamo a optare più per un sentimento che per l’altro.

E, se anche in un primo momento la sensazione prediletta fosse positiva, presto o tardi il microdramma del protagonista antipatico verrà a galla e ci trascinerà a fondo con sé. Il motivo è semplicissimo: finiremo per rispecchiarci nelle sue azioni, perfino quando non vorremmo, e questo ci farà sentire in imbarazzo e inadeguati. Sennò, prenderemo le distanze al punto da disconoscerlo in quanto nostra creazione e da smettere di sorriderne.

Ci chiederemo, allora, se non sarà lo stesso per i destinatari della nostra opera. Vorranno arrivare fino all’ultima pagina o lo abbandoneranno prima? Odieranno il libro perché hanno odiato il suo personaggio principale? Lo accetteranno ugualmente nel suo ruolo, capendo il significato di ciò che vorremmo trasmettere?

Le persone di cui ci fidiamo di più, consiglieri e in certi casi lettori in anteprima dei nostri manoscritti, spesso ci rassicurano al riguardo, dicendoci che il problema non si pone. E se fossero però di parte?, ci sussurra una voce all’orecchio. È il microdramma che non ci lascia in pace e che ci fa maledire il giorno ni cui abbiamo deciso di scrivere con un andamento leggermente diverso dal canone letterario più diffuso.

Di conseguenza, presto o tardi prendiamo una decisione. Qualcuno deve riscattarsi. O noi, che lasciamo tutto in tredici e abbozziamo una storia completamente diversa, con qualcuno di più edificante al timone. O i nostri lettori, provando un senso di soddisfazione e di rivalsa nel leggere la cruenta fine che gli procurerà il karma. Oppure, per dare una buona volta il colpo di grazia al microdramma anziché a chi ne è la vittima, il protagonista stesso, riscattandosi in un modo sorprendente e che metta d’accordo chiunque.

Quale? Ebbene, questa è un’altra storia – anzi, un altro (macro)dramma.

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La catanese Eva Mascolino, 24 anni, si è specializzata in Traduzione alla Scuola per Traduttori e Interpreti di Trieste nel 2018, concludendo gli studi con il massimo dei voti con una tesi di traduzione letteraria dal russo, dopo avere svolto tre scambi all'estero nel corso della sua formazione universitaria. Vincitrice del Premio Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie", collabora con riviste e magazine culturali (fra cui Sul Romanzo, Letteratitudine, Argo, L’Irrequieto, Sicilian Post), oltre a essere una copywriter e traduttrice freelance da quattro lingue per svariate agenzie multiservizi. Nel 2018 ha pubblicato il racconto "Vladimir’s Blues" con Aulino Editore, mentre con "L’uomo di colore" è stata in finale al Premio Chiara Giovani 2018. Attualmente vive a Catania, dove ha di recente svolto il ruolo di collaboratrice editoriale per la prima edizione del festival letterario EtnaBook.

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