Da quando computer, smartphone e tablet ci fanno compagnia sia a casa che in giro per il mondo, scrivere è diventato oltremodo semplice. Non c’è bisogno più bisogno di maledirsi in tre lingue diverse per avere dimenticato di portarsi dietro una penna mentre si fanno file interminabili alle poste o dal dentista, per esempio. Non c’è bisogno di accendere la luce o di alzare la persiana, quando si vuole annotare qualcosa un attimo dopo essersi svegliati, e non serve nemmeno più comprare un quaderno di riserva prima che arrivi il weekend, quando quello che si sta usando è a corto di pagine.
O meglio, si può continuare benissimo su questa strada, che sia per nostalgia o per una questione di maggiore comodità personale, ma in casi di emergenza si è consapevoli di potere contare su soluzioni più immediate, che non richiedono peraltro né inchiostro né fogli di carta. Basta un blocco note, un’applicazione sincronizzata con tutti i propri dispositivi, un social network, una chat con un amico di fiducia – il tutto su schermo retroilluminato e che, il più delle volte, non dà più fastidio con il ticchettio della tastiera – e in un attimo ogni intuizione è memorizzata nero su bianco dentro uno spazio virtuale protetto.
L’altro lato di questa accattivante medaglia, però, consiste in uno dei microdrammi più temuti da qualsiasi scrittore al mondo, nel momento in cui un misto di sfortuna e di previdenza riescono casualmente a diventare alleati. Non sono rare, infatti, le volte in cui i programmi che stiamo usando crashano senza preavviso, senza salvare le nostre ultime modifiche o peggio ancora facendo tabula rasa di tutti i contenuti che avevamo archiviato fino a un attimo prima.
Succede con Word, con Pages, con Evernote, con Onenote, con Drive, con Dropbox, con Facebook… E poco importa se si stia usando un Mac pagato più di mille euro o un vecchio Samsung con sistema Android 4.4, la catastrofe è sempre senza ritorno. Anche perché, magari, era da un po’ che non si faceva un backup o che non si aggiornava la versione del documento in uso. Il risultato? Non c’è esperto che possa venirci incontro e fare sputar fuori al nostro ultimo arresto anomalo le righe che eravamo riusciti a buttare giù con tanto sforzo. Si inghiotte tutto la tecnologia, facendo scomparire dalla faccia della terra l’idea fulminante che ci era venuta in mente poco prima e che non siamo più in grado di ripescare a memoria.
Di solito, prima di arrendersi si fa qualche ultimo tentativo disperato. Si riavvia il dispositivo, si tenta un ripristino, si aprono impostazioni avanzate mai degnate di uno sguardo e si cerca su Google un qualche tutorial dettagliato che ci sveli come tornare a una versione del nostro file precedente all’incidente. Inutile dire che è fatica sprecata e che, tanto, continueremo a essere lo zimbello dei forum in cui chiederemo aiuto digitando venti punti esclamativi di seguito, come a voler sottolineare che stavolta la perdita è seria e il nostro microdramma pure.
Passata la stizza iniziale, non restano che due soluzioni capaci di farci superare il trauma: la prima consiste nell’iscriverci a un gruppo di crashisti anonimi, composto da utenti recidivi che non salvano mai da nessuna parte i propri paragrafi, ma che con il tempo hanno affinato dei metodi straordinari di autorassegnazione, uniti a delle tecniche di respirazione grazie a cui sono in grado di evitare istinti suicidi e sfoghi violenti sugli oggetti circostanti.
L’altra soluzione, invece, consiste in un cambiamento di prospettiva: far prendere al dialogo andato perduto una piega completamente nuova, cambiare l’intera strofa di un componimento finché non si trova un’altra coppia di rime o concludere un capitolo e fare cominciare il successivo in anticipo possono essere delle buone strategie per liberarsi da una certa sensazione di smarrimento e di stallo. In più, munirsi di un caro vecchio taccuino in cui inserire almeno un paio di parole-chiave di tanto in tanto, oppure stampare a intervalli regolari le ultime pagine del documento che si tiene aperto, sono delle ottime misure sia per eliminare alla radice il microdramma sia per evitare l’avanzare di un tragicomico esaurimento nervoso.
Parola di ex crashista anonima.
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