Bella la primavera, stiamo dicendo tutti in ogni parte d’Italia. Bello il fatto che si allunghino le giornate, che ci sia il sole per strada, che anche le allergie al polline ci facciano compagnia quando non avremmo abbastanza motivi per annoiarci. Bello, a meno che non siamo scrittori.
Appena arriva la stagione dei fiori, infatti, l’unica cosa di cui avremmo voglia è rimanere a passeggiare fino a tardi, goderci la brezza leggera vicino al mare, al fiume o al lago, osservare certi panorami al tramonto e approfittare della luce e del cielo sereno per scattare fotografie, stare in compagnia o darci a qualunque altro dei nostri passatempi. Con ritmi più lenti e con maggiore svogliatezza.
Chiaramente proviamo a conciliare il nostro istinto con gli impegni a cui adempiere, e così portiamo con noi qualche dispositivo elettronico e ci ripromettiamo di essere produttivi, di sederci a gambe incrociate da qualche parte a scrivere lo stesso, senza rimanere indietro con storie o articoli né lasciare volare via la nostra ispirazione.
Peccato che le distrazioni siano molteplici anche fuori casa: i gabbiani, gli insetti, il vento stesso, i passanti, i rumori, i turisti, e poi la fame fuori pasto che spinge a fare uno spuntino o a bere qualcosa, l’amico incrociato per caso che si sofferma a chiacchierare, l’amico con cui si era trovato l’angolo perfetto per concentrarsi che non è molto in vena di rimanere in silenzio, e così via.
Restare a casa è spiacevole, il cuore si stringe a guardare la finestra o il balcone e a pensare che non ci si può muovere di lì, eppure nel momento in cui ci si avventura ugualmente si finisce in un’impasse che sarebbe impossibile non definire un microdramma.
Poco male, si penserà, rimangono altre tre stagioni durante le quali darsi da fare e che, per lo meno, non fanno sentire gli scrittori fuori luogo. E invece. In estate, infatti, il caldo diventa afoso e le mani sudano anche solo ad esistere, figuriamoci ad essere utilizzate per comporre qualcosa – il che vale ancora di più per l’estro creativo, ça va sans dire.
In autunno, poi, la pioggia rende malinconici e fa perdere di vitalità a molte idee, che rischiano di conseguenza di ritrovarsi a propria volta annacquate. Fra una pausa tisana e un pisolino, inoltre, i tempi sembrano stringere e le giornate corte non aiutano a dare il meglio di sé quando alle cinque è già notte e pure la mente vorrebbe andare in stand-by.
E niente di peggio del periodo invernale, in cui il troppo freddo atrofizza perfino le sopracciglia e i riscaldamenti esageratamente sfruttati (oltre che generare ansie da bollette salate) spingono ad accendere la televisione e a vedere un film, a prendere anche una copertina e a rimandare ciò che richiede lucidità mentale al momento in cui il calduccio apparirà meno confortevole. Ovvero in primavera, quando il microdramma prenderà nuovamente la forma di cui sopra.
Dal momento che anche il clima sembra tramare contro chi fa della scrittura un mestiere a tempo parziale o pieno, sembrerebbe che il ritiro spirituale in una torre d’avorio o una spugna gettata in maniera teatrale sul pavimento siano le uniche due vie di scampo. A meno che non si decida di giocare il tutto per tutto e di reagire con la tecnica del contrattacco: in primavera si scrive di notte, quando per strada non ci si vuole star più, e in autunno ci si alza all’alba per sfruttare la luce naturale. In estate ci si piazza dentro il frigo e d’inverno si sposa una stufa con cerimonia accelerata.
Dopodiché, se nemmeno sfidare la temperatura con le sue stesse armi e assecondare il moto di rivoluzione terrestre riesce a lenire il problema, si passi senza ulteriori indugi alla terapia d’urto. Rimandare fino all’ultimo istante, fino a quando si scriverà per ansia e non per piacere, e si passerà in una sola mossa dal microdramma del clima a quelli della scarsa concentrazione e delle scadenze. Chissà che l’en plein non porti a preferire un confronto efficace col primo che con gli altri due.
Associazione Culturale L'Irrequieto
, Firenze-Paris @2010-2018
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