Ci sono dei mestieri, come quello dello scrittore, che non richiedono delle conoscenze specifiche in un settore della conoscenza. Certo, sono necessarie delle competenze pratiche e teoriche mirate, è imprescindibile avere qualcosa di cui parlare e trovare una forma accattivante, più o meno codificata e che riesca ad essere seguibile da parte di un pubblico almeno mediamente vasto. Ma non ci serve sapere montare una lampadina o eseguire contabilità, per fortuna.
Questo fa sì che chi scrive non sia forzatamente un esperto né di fisica nucleare né di botanica, che non sia obbligato a sapere risolvere un’equazione di terzo grado e che non sia un intenditore di scherma, salvo casi davvero fortunati.
Da un lato, la sua natura lo porta a una condizione di curiosità perenne, che gli fa osservare situazioni per altri normalissime con occhio attento e scrutatore. È così che nascono le idee più brillanti, sviluppate attorno a dei nuclei sempre diversi e sempre inediti per chi impugna la penna di professione: basta un dettaglio in più o una leggera deviazione dalla norma perché si spalanchino le possibilità più remote e si manifestino le tendenze creative più strabilianti.
Dall’altro lato, tuttavia, il suo perenne stato di estraneità a questo o a quel settore non gli dà mai il tempo di informarsi in maniera conveniente su un macrotema specifico e lo vede continuamente bisognoso di ricerche, informazioni e approfondimenti.
Un microdramma che per alcuni è parecchio frustrante, dato che metà del tempo lo si impiega a decriptare un dizionario specialistico e l’altra metà a convincersi che l’uso di un termine è adeguato al contesto, anche se non suona per niente familiare e se non si ha la benché minima certezza di averne capito la valenza.
Per assicurarsi di non commettere errori ci si potrebbe rivolgere a qualcuno di qualificato e domandare conferma e dettagli di utilizzo, altrimenti si potrebbero approfondire le ricerche in autonomia e impiegare i migliori anni della vita fra un’enciclopedia e un’illustrazione con didascalia. Chi è alla ricerca di certezze e non vuole rischiare figuracce, sa inoltre di potere sempre contare su testi già scritti in manuali o in riviste specializzate, per fortuna disponibili online il più delle volte in formato integrale e gratuitamente.
Ancora una volta, tuttavia, il limite fisico di tali soluzioni risiede nelle ore e nella concentrazione da investire, che nella quotidianità di uno scrittore sono le prime a scarseggiare: perché alla fine della fiera l’effetto risulti naturale e scorrevole, dunque, senza dubbio saranno richiesti molti sforzi e la capacità di non prendere a pugni i propri dispositivi elettronici nel tentativo di sfogare ogni frustrazione repressa.
Il colmo dei colmi, quando si è finalmente terminata la stesura e chiediamo a terzi di valutare il risultato delle nostre fatiche erculee, consiste nella fatidica domanda: Ma cosa intendevi dire qui? Forse sono io che non conosco il linguaggio tecnico dell’ambito in questione, però davvero non riesco a seguirti. Oppure: ma si dice così al 100%? Io credevo che l’espressione fosse quest’altra.
E il peggio si verifica nel momento in cui qualcuno esordisce addirittura con la fatidica frase: Perché non hai fatto ricorso a un termine specifico, anziché mantenerti sul vago con parole da profano? E chiunque sia sopravvissuto al microdramma dei tecnicismi in corso d’opera si renderà conto che, di fronte ai paradossi del mestiere da spiegare a chi è esterno ai nostri problemi, non c’è resilienza che tenga.
E, per cambiare campi semantici, nemmeno batteri lattici che ci proteggano dalla fermentazione malolattica, economie di gamma opposte alle economie di scala o membrane plasmatiche posizionate lungo il perimetro esterno di una cellula. Tutto ci condanna, insomma, o all’approssimazione o alla mancata comprensione, e niente ci permette mai di arrivare alla conclusione con serenità e con la garanzia di non essere presi di mira da chi ci leggerà. Prima ci si rassegna e prima si smetterà di disperarsene.
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Io credo che il mestiere dello scrittore sia come quello dell’attore. Un attore deve interpretare un poliziotto un papà un delinquente un gay un etero un seduttore un timido un orafo un meccanico un carrozziere e tutto quello che vogliamo, ma come? Essendo CREDIBILE. Non deve certo ESSERE tutto quello che deve interpretare.
Articolo interessante, comunque!
Anche perché mi riguarda…
Concordo assolutamente! La difficoltà (e la bellezza) di questi mestieri risiede proprio nella necessità di essere flessibili, di sapere interpretare questo o quel ruolo, di calarsi in dei panni sempre diversi e sempre interessanti.
Spesso è una sfida ardua (e da qui l’autoironia), però è sempre affascinante fare del proprio meglio e scoprirsi ogni volta arricchiti un po’ di più.
Grazie della lettura e del feedback, alla prossima settimana con un nuovo microdramma 🙂