Gli scrittori che vivono nel XXI secolo, oltre a vivere microdrammi legati prettamente alla loro professione, devono per forza di cose confrontarsi anche con un altro grande nemico, che forse condividono con altri mestieri ma che per definizione li riguarda da vicino: la gestione dei social network.
Essere presenti su internet, infatti, è fondamentale per trasmettere un’immagine di sé al passo con i tempi e accattivante, oltre che per diffondere il proprio punto di vista in maniera capillare e per raggiungere quante più persone possibili, sia fra quelle interessate a scoprire ciò che scriviamo sia fra quelle con cui potenzialmente aprire dibattiti culturali di un certo spessore.
Per riuscirci, però, servono più skill di quanto si creda. Avere dimestichezza con video e foto, in primis, dato che l’impatto visivo è fondamentale in più di una rete sociale, da Instagram a Facebook, passando per YouTube. E chi ci dice che chi scrive sia anche in grado di usare una macchina fotografica più o meno professionale, o che abbia amici un filo più capaci nel settore?
C’è una grande percentuale di “parolieri” che magari non sa ritoccare neanche luminosità e contrasto, chi non sa mettere a fuoco gli oggetti giusti, chi è una frana con le prospettive o con le riprese, e così via. Se prova ugualmente, rischia di coprirsi di ridicolo; se lascia stare in partenza ed elimina dal proprio orizzonte un profilo su determinati canali, rischia di rimanere tagliato fuori da certi giri.
E non finisce qui, dato che il secondo ingrediente principale per sfruttare bene la vetrina dei social sono… Le parole. Un gioco da ragazzi, direte allora voi. Eppure no, anche stavolta le difficoltà non mancano, e verosimilmente non serve parlare con un esperto di marketing e comunicazione per crederci. Catturare l’attenzione, essere efficaci e servirsi del famigerato storytelling richiede una dose per quanto minima di consapevolezza e di know-how, che di sicuro gli scrittori non apprendono leggendo Proust.
Di conseguenza, tweet e post rischiano di essere troppo lunghi, troppo noiosi, troppo scontati, troppo pomposi o troppo autoreferenziali, quando non sono troppo poco emozionali, non abbastanza espressivi o palesemente finti. Il risultato? Ore e ore di sforzo per creare la frase perfetta su LinkedIn o su Google+ potrebbero risultare vani, e il successo in libreria non corrispondere ai follower sulle piattaforme online.
Chi riesce a destreggiarsi, poi, saprà che comunque i problemi persistono anche in una fase più avanzata di conoscenza del Web. Fra le questioni più annose merita una menzione speciale quella del copyright. Citare altri su internet è da considerarsi una violazione dei diritti d’autore, per esempio? E, se sì, perfino quando li si cita? E, se no, perché una simile ingiustizia?
Ogni sito ha le sue regole e in Italia la SIAE tenta di proteggere chi scrive anche dalle insidie della rete, eppure per non incorrere in guai bisognerebbe informarsi al riguardo, onde evitare di contenziosi con la casa editrice con cui si è firmato un contratto o con quella che ci aveva chiesto massima riservatezza sulle nostre bozze, intendendo implicitamente anche nel mondo virtuale.
Insomma, pubblicare qualcosa mentre si è connessi è pericoloso e non pubblicare niente lo è altrettanto, essere controcorrente può apparire come un vezzo e seguire le masse come una moda, e intanto chi scrive rimane sospeso a mezz’aria, con questo microdramma a incombere come una spada di Damocle sulla sua testa.
L’unico modo per sbarazzarsene consisterebbe nel dedicarsi a stilare per primi un vero e proprio galateo/manuale della scrittura nei profili World Wide Web. È solo che poi sarebbe legale condividerlo in bacheca?
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Un articolo non solo veritiero, ma divertentissimo!
Grazie, Valentina, felice di averti strappato un sorriso! 🙂