“Spoiler” è una parola che è entrata nell’uso comune da qualche anno, ovvero da quando si è diffuso non solo il format delle serie tv di ogni tipo e durata, ma anche quello di parlarne col resto del mondo senza necessariamente assicurarsi di non anticipare futuri risvolti della trama a chi è rimasto indietro con la vicenda. In realtà, però, il concetto in sé di spoiler esisteva anche prima, benché avesse altri nomi.
Pur chiamandolo così per comodità e per seguire certe tendenze, chi è abituato a leggere e a scrivere saprà che alcune soffiate su colpi di scena e capitoli ancora inesplorati sono ricorrenti. E, se dalla prospettiva di chi legge è fastidioso, da quella di chi le storie le inventa lo è ancora di più.
Pensiamo, per esempio, ad amici che insistono per scoprire i passaggi più succulenti di un manoscritto non ancora terminato, al quale stiamo lavorando o per concluderne la prima stesura o le revisioni successive e le operazioni di editing. Magari accenniamo qualcosa sul contenuto, nominiamo qualche personaggio, accenniamo alle atmosfere generali… Ed ecco la fatidica domanda: “E poi?”. O ancora peggio: “Allora come finisce?”.
Allora sarebbe meglio aspettare di sfogliarlo personalmente per scoprirlo, vorremmo rispondere, o ancora peggio sarebbe meglio farci prima concludere in via definitiva il volume per assicurarci che quello che diciamo rispecchi effettivamente quanto si troverà nelle ultime pagine.
Se il microdramma dello spoiler si limitasse alla curiosità morbosa di chi ci circonda, comunque, non sarebbe neppure così grave. Il problema serio arriva quando ci rendiamo conto che delle nostre ispirazioni abbiamo bisogno di parlare, pur di condividerne l’esistenza effettiva con qualcuno.
Se limitiamo allo stretto indispensabile i dettagli, tuttavia, rischiamo di non coinvolgere abbastanza e di non fare specialmente comprendere la portata della storia, le relazioni fra fabula e intreccio e le prospettive da cui affrontiamo ogni tematica. Con il rischio che seguirci in riflessioni e interrogativi diventi un’impresa troppo titanica per essere compiuta, a prescindere dalla buona volontà di chi prova ugualmente ad ascoltarci fino alla fine.
Se ci lasciamo troppo andare con le informazioni, invece, possono verificarsi due situazioni alternative. La prima: ci rendiamo conto che lo sviluppo, in realtà, non ci piace granché e lo modifichiamo in itinere, confondendo non poco il nostro interlocutore e facendo perdere il filo del discorso prima a lui che non ha abbastanza dimestichezza e poi noi, stremati da cambiamenti di cui intanto non stiamo prendendo nota e che ci sfuggono costantemente.
La seconda: la nostra idea ci continua a piacere, ma più la descriviamo e più la sentiamo perdere vigore, come se dirla ad alta voce prima di averla conclusa sulla carta abbia ne abbia all’improvviso esaurito la linfa vitale. E così, più ci avviciniamo all’epilogo e più ci distacchiamo emotivamente dalla nostra creazione, perdendo la voglia di scriverla o di correggerla e pensando che la sua vita si sia già esaurita nella nostra narrazione orale in diretta.
Ed ecco il microdramma dei microdrammi, quello per il quale ci si sente soli se non si parla e svuotati se lo si fa, quello in cui o l’interesse degli altri è troppo o il nostro diventa poi troppo poco, quello che fa del problema un vero e proprio nemico: più simile a un fantasma quando cerchiamo di aggirarlo e a un fantasma quando lo affrontiamo di petto, ma comunque ugualmente pericoloso.
E il giusto mezzo nel caso dello spoiler dove sta? Forse solo nello spoilerare che uno spoiler ci sarà, senza però rivelare quale o in che senso, in che punto o per quale ragione, a discapito di chi o per causa di cosa, in modo da assecondare almeno in parte le domande che riceviamo e da non snaturare intanto il carattere inedito ed entusiastico del nostro lavoro. Peccato che si riveli più facile a dirsi che a farsi e che trovare la corretta misura non è come misurare cento grammi di farina su una bilancia da una cucin… Ops, spoiler!
Associazione Culturale L'Irrequieto
, Firenze-Paris @2010-2018
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