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Come sempre, mi piace analizzare i fatti quando non fanno più tendenza. Quando scompare il rischio di confondersi con la viralità talvolta superficiale di una notizia, quando c’è stato il tempo e il modo di riflettere sull’entità di un episodio. Oggi è il turno di Elisabetta Savigni Ullmann, l’interprete che lo scorso 16 ottobre ha fatto il giro del Web per l’espressività del suo viso durante una conferenza stampa tenutasi allo Studio Ovale della Casa Bianca tra Sergio Mattarella e Donald Trump.

Non è la prima volta che testate di tutto rispetto sbagliano titolo per leggerezza o per scarsa informazione preliminare e definiscono la professionista di turno una traduttrice, perpetrando una confusione tra mestieri che non giova a nessuno. Altre sono, però, le considerazioni su cui vorrei soffermarmi in questa occasione, come ad esempio quella apparsa su Libero: «E alle spalle del presidente americano ecco la biondissima traduttrice italiana, impegnata a tradurre per il presidente della Repubblica quanto detto da Trump»*. Biondissima? La signora? Mi domando se termini simili sarebbero stati utilizzati con la stessa nonchalance se al suo posto fosse stato seduto un uomo.

«Alla signora Elisabetta spettava l’ingrato compito di tradurre il rant di Trump»**, si legge invece su Esquire. Di nuovo lo stesso appellativo, stavolta seguito solo dal nome di battesimo della donna, come se si stesse trattando della casalinga della porta accanto con cui si scambia un saluto di cortesia al mattino. Per non parlare dell’espressione «spettava l’ingrato compito», che la rende quasi una vittima in una situazione che, invece, è stata concordata preventivamente per lavoro con il consenso della diretta interessata e previo pagamento.

«È ovviamente un’interprete professionista e si era preparata per l’incontro, il che significa che sa chi è Trump, di cosa è capace e come parla», fa notare Bérengère Viennot, traduttrice francese e autrice del pamphlet La lingua di Trump, pubblicato in Italia da Einaudi. «Ma è ovvio che, per quanto tu possa essere preparato, il presidente degli Stati Uniti è sempre in grado di sorprendere il pubblico col suo trumpismo»***, aggiunge poi l’esperta in un’interessante intervista apparsa su Wired, sottolineando che Trump non è un oratore come un altro – o, per meglio dire, non è un oratore tout court.

La sua formazione è tutt’altro che politica, così come il suo modo di relazionarsi alla persona con la quale sta comunicando non è modulata sulla base di sesso, età, religione, lingua, etnia, cultura o ruoli sociali: la sua rimane una parlata “sporca”, semplicistica, in cui i nessi logici tendono a essere sottintesi o inesistenti, e che non conosce né il rispetto interpersonale né la diplomazia, figuriamoci quindi l’adeguatezza formale e lessicale diffusa in certi contesti ufficiali. Il risultato è tragicomico, nel senso che suscita spesso il sorriso incredulo e amaro di chi lo ascolta, scatenando contemporaneamente indignazione e rifiuto per una forma di interazione spesso inaccettabile e incompetente, violenta e razzista, parziale e vaga.

Ciò non significa che chi interpreta un suo discorso faccia bene a scomporsi, sia ben chiaro. L’impassibilità e la distanza emotivo-ideologica dal cliente sono caratteristiche essenziali di chi svolge tale professione, così come chi traduce le sue dichiarazioni per un giornale ha imparato con il tempo quanto dichiarato saggiamente da Viennot: «Prima provavamo a tradurlo come tutti gli altri politici – quindi magari correggendo piccoli errori qua e là, per assicurarsi che la frase suonasse chiara – ma ci sbagliavamo di grosso, non avevamo capito. Donald Trump è gli errori che fa, e se provi ad appianare ciò che dice lasci fuori una parte del messaggio»***.

Focalizzarsi in modo tanto ossessivo su Elisabetta Savigni Ullmann, quindi, di per sé non porta a niente. Magari la sua era solo intensa concentrazione, magari nel suo sguardo c’era invece il segno di uno sconcerto temporaneo rispetto alle dichiarazioni appena sentite, che è involontariamente sfuggito al suo autocontrollo. Sta di fatto che a restare impresse dovrebbero essere le sciocchezze pronunciate dal presidente americano in sé e per sé, nei confronti delle quali determinati periodici farebbero meglio a spendere due parole di analisi, anziché sostituire la loro missione a una divulgazione video di bassa leva e di scarsissima utilità.

* Cfr. Donald Trump, frasi confuse: le smorfie della traduttrice di Sergio Mattarella (consultato l’ultima volta il 29/10/2019)
** Cfr. Perché Elisabetta, la traduttrice allibita di Trump, è tutti noi (c.s.)
*** Cfr. Una traduttrice spiega cosa significa dover tradurre Trump (c.s.)

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La catanese Eva Mascolino, 24 anni, si è specializzata in Traduzione alla Scuola per Traduttori e Interpreti di Trieste nel 2018, concludendo gli studi con il massimo dei voti con una tesi di traduzione letteraria dal russo, dopo avere svolto tre scambi all'estero nel corso della sua formazione universitaria. Vincitrice del Premio Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie", collabora con riviste e magazine culturali (fra cui Sul Romanzo, Letteratitudine, Argo, L’Irrequieto, Sicilian Post), oltre a essere una copywriter e traduttrice freelance da quattro lingue per svariate agenzie multiservizi. Nel 2018 ha pubblicato il racconto "Vladimir’s Blues" con Aulino Editore, mentre con "L’uomo di colore" è stata in finale al Premio Chiara Giovani 2018. Attualmente vive a Catania, dove ha di recente svolto il ruolo di collaboratrice editoriale per la prima edizione del festival letterario EtnaBook.

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