Numero 6

Un viso di pioggia

di Donatello Cirone

 

Chris dad di Giacomo Braccialarghe
Chris dad di Giacomo Braccialarghe

Era la pioggia che le teneva in vita. Quella pioggia che scendeva dolcemente e lentamente giù per il vetro come se volesse accarezzare il viso di sua  madre assorta nei suoi pensieri. Guardavamo la valle che si gonfiava, che assorbiva tutta quell’acqua, ogni goccia si confondeva per diventare qualcosa di più grande, ambrosia sacra del ciclo della vita. Guardavano la valle, e oltre, verso le cime dei monti sgraziati, disegnati da un Dio cieco e andavano ancora più oltre, correvano spensierate mano nella mano fra il granturco ancora da seminare, sprofondavano nelle sabbie umide per riemergere con le serpi ai primi caldi. Cadeva la pioggia e abbeverava tutti, parroci fedifraghi e ninfette timide, entrava nelle mutande di giovani e pudiche vergini per levare via il velo della vergogna, lavava  la boccuccia sporca di bianco di commendatori e moralisti, spurgava le uretre di sindaci e nuovi podestà, sempre pronti a vendere l’orifizio altrui per un posto al tavolo della porchetta, e tornava sempre pura alla terra, nella terra. Si infrattava, si nascondeva fra le caverne per riposarsi, un lungo viaggio millenario. Giuliana guardava sua madre, la guardava dentro e cercava di cavarle via qualche sofferenza senza mai riuscirci. Lidia ferma, immobile guardava la valle dalla finestra, le lacrime dal  suo viso scendevano alla stessa velocità delle goccioline che scorrevano sul vetro, piangeva come si piange mentre si bacia la cassa da tumulare di un grande amore, lo faceva silenziosamente, senza singhiozzare,  senza nessuna percettibile smorfia, i suoi occhi non erano nemmeno lucidi, non perdevano colore né intensità, le sue labbra si toccavano con delicatezza, i muscoli del suo viso erano rilassati, solo due lunghi fiumi colavano dai suoi occhi per finire a terra, ogni tanto Giuliana catturava qualche lacrima per berla, sperando, nella sua ingenuità, di catturare qualche demone custodito in essa. Piangeva Lidia,  e la valle si disperava,  i pioppi si passavano cianuro tendendosi i rami spogli, le quaglie covavano uova di struzzo e le lucciole si strappavano il ventre contro i rovi.

Giuliana amava la pioggia e amava sua madre, Lidia amava la pioggia e amava sua figlia, e non appena Giuliana presa da un’angoscia fitta iniziava a piangere Lidia come per magia smetteva di farlo e la valle tornava assolata, i pioppi rinverdivano e le lucciole riposavano fra i petali delle rose, le quaglie tornavano a covare pallottole e l’arcobaleno saliva in cielo.

La valle pregna di vita e sazia d’amore riposava nell’attesa di una nuova pioggia e di un nuovo arcobaleno.


freccia sinistra freccia