L’attesa di una macchia
di Alessandro Xenos
«C’è una persona che vuole vedere la casa»
disse l’uomo dall’accento del mare.
Io mi volsi
e lo guardai con la disperazione
di chi non ha più niente per cui pregare.
Lo feci entrare.
Il sorriso
si distese pian piano sulle sue guance
e il mio cuore
pian piano si strinse.
«Prego, signore, entri!
Vedrà che bei vani ampi ha questa casa!»
Il signore entrò.
Il suo grugno mi parve di averlo già visto,
ma i suoi occhi mi dissero di no.
Avevo dodici anni
e quell’estate morii
nella mia casa.
L’uomo si fece avanti
e poggiandomi la mano sulla testa
mi chiese
«Ehi, piccolo, ma sei solo in casa?
Non c’è nessuno che badi a te?».
Mi feci rosso e poi salmone
e con tutta la bile che avevo in corpo
risalii con le mie parole
tutto quell’ammasso di grasso e muscoli
fino al ciuffo che si poggiava sugli occhiali
«C’è mia madre, di là nel letto,
ma grazie a te presto dovrò farmi badare da una bara!».
Avevo dodici anni
e quello fu un giorno indimenticabile.
Il signore nuovo di zecca
si ammaccò
e le sue labbra iniziarono a vibrare
come un’auto con la batteria scarica all’avvio.
Il gran sorriso non si mosse
e con tranquillità disse
«Proprio, qui, sulla destra c’è una stanza a-do-ra-bi-le!»
Era camera mia.
Sapeva fare bene il suo lavoro, lo stronzo!
Entrammo tutti.
Abbagliato dalla bellezza del lucernaio
mi ricordai d’aver promesso a Paola
la mia vicina
che un giorno l’avrei portata sul tetto
per guardare la città.
Non mi importava di Paola in realtà.
«E’ stupenda! Qui potrò scrivere il mio romanzo
in santa pace!» esclamò l’uomo.
«Perfetta per qualsiasi tipo di lavoro in casa!
se lo lasci dire, signor Bini,
non se ne trovano di stanze così luminose in questo piccolo borgo».
Chiusi gli occhi,
ma sentii comunque
lo sguardo d’intesa tra i due
passare sopra la mia testa.
La bara di mia madre due anni più tardi
fu la mia ultima casa
e il suo sublime odore
lo porto ancora sulle mie dita.
Ho una birra tra le mani
e ogni tanto la porto alla bocca
per trovar pace dall’afa
di questa notte.
Qui seduto
con le gambe incrociate nel buio
ricordo tutto com’era in quel luglio
e non accenderò la luce.
L’estate mi ha offerto un facile passaggio
nella finestra sul tetto
e la mia stanza è l’unica
in cui non ci dorme nessuno.
Rifletterò
sul periodo di rotazione sinodico del sole
e poi deciderò.
27,2753 giorni di attesa per rivedere una macchia.
Forse non vale la pena aspettare.