Bearzone.it
di Giorgio B. Scalia
Hunter: ehi! Anni, città?
Orso: ciao, Torino 30 anni
Hunter: anch’io Torino, 26. Zona?
Orso: preferisco non dirlo
Hunter: ok tranquillo. Dichiarato?
Orso: no. Tu?
Hunter: sì, ed ero in cerca di un orsetto come te
Orso: come sei?
Hunter: 1.73, magro, senza barba, depilato, capelli biondi tinti. Tu?
Orso: 1.84, muscoloso, testa rasata, barba, molto peloso
Hunter: mi mandi una tua foto? Voglio vedere i tuoi pettorali
Orso: non lo so, così, subito?
Hunter: sono curioso 🙂
Orso: scusa, sono un po’ timido
Hunter: sei attivo o passivo? Cosa ti piace?
Orso: versatile tu?
Hunter: anche
Orso: Mi piace il bondage. Sono un orso cattivo, sai…
Hunter: Allora ti castigherò come meriti.
Orso: Sarebbe bello. Hai avuto molti ragazzi?
Hunter: abbastanza e tu?
Orso: vergine
Hunter: davvero, come mai?
Orso: diciamo che non ho ancora trovato quello giusto
Hunter: fidanzato?
Orso: sì, da 5 anni. Lei sta a Milano, non riusciamo a vederci spesso
Hunter: è la tua prima volta su Bearzone?
Orso: mi collego spesso
Hunter: e non hai mai incontrato nessuno, anche solo per una sega?
Orso: no. Non m’inspiravano fiducia
Hunter: studi o lavori?
Orso: faccio il barman. E tu?
Hunter: faccio psicologia a Palazzo Nuovo.
Orso: hai fatto il classico?
Hunter: sì, e tu?
Orso: pure
Hunter: dai, ora che ci conosciamo meglio, mi mandi una foto? 🙂 Voglio vedere quanto sei grosso
Orso: faccio crossfit e da poco mi sono messo pure a scalare.
Hunter: Fatti vedere, dai, ti puoi fidare. Sono la persona più discreta del mondo. Voglio solo divertimi un po’ con te
Orso: mi prometti che poi cancelli tutto?
Hunter: ok
L’Orso mi manda la foto del suo torace, è scolpito e ricoperto di peli rossi. Sento il cazzo che mi pulsa nelle mutande, la punta tutta è bagnata.
Hunter: vorrei avvinghiarmi ai tuoi pettorali e ficcartelo tutto dentro
Orso: mi piacerebbe provarlo. Lo desidero da sempre. Mandami tu una foto
Gli mando un selfie. L’ho fatto di fretta, ho troppa voglia che mi veda nudo. Messo così mi sporgono le ossa del bacino e poco più giù il mio pelo nero, poi la foto si ferma.
Orso: mi fai impazzire! Adoro gli skinny come te. Posso confessarti una cosa?
Hunter: dimmi, orsacchiotto
Orso: quando entro in chat comincio a tremare come se avessi freddo. Mi batte la mascella. Sono paralizzato dai brividi. Tento di riscaldarmi, e dopo un po’, come se nulla fosse mi passa. Ti è mai capitato? Secondo te sono malato?
Hunter: non sei malato. Hai solo paura
Orso: ?
Hunter: paura di scoprirti troppo eccitato da ciò che desideri
Orso: io vorrei provare, ma
Hunter: Tutti abbiamo avuto paura. Anche io ci sono passato, ai tempi del liceo
Orso: brutto periodo quello
Hunter: puoi fidarti di me. Sono pulito e molto discreto. Vorrei conoscerti e stare un’oretta insieme a te. Poi scomparirò. Promessa
Orso: sei molto dolce <3
Hunter: sono fatto così 🙂
Orso: ti odio…
Hunter: perché 🙁 ?
Orso: per quello che mi dici e come me lo dici. Nessuno qui mi ha parlato come fai tu. Non so se a parlare è la fiducia che mi ispiri o l’eccitazione, ma ho deciso, voglio incontrarti stanotte. Puoi?
Hunter: ma sono le 3! Facciamo domani, ti lascio il mio numero.
Orso: non voglio il tuo numero, meglio non lasciare prove. Sento che se non lo faccio adesso non lo farò mai più. Vediamoci ora!
Hunter: Allora sei davvero cattivo. Dove stai?
Orso: Porta Palazzo.
Hunter: Ospiti?
L’Orso e io ci incontriamo a piazza della Repubblica, accanto al padiglione della carne. Lo riconosco subito, come mi aveva detto, porta un cappello arancione e degli occhiali da sole specchiati. Gli faccio un cenno da lontano e si avvicina. È una bestia. Se volesse, potrebbe uccidermi con un pugno. Cammina nervoso a testa bassa, ha paura che qualcuno possa riconoscerlo, lo vedo. Sta sei passi avanti a me e ogni tanto si volta facendo finta di niente per controllare se sono ancora dietro di lui. Si ferma accanato a un portone con la scusa di allacciarsi una scarpa, ma porta le infradito. È il segnale, quella è casa sua. Le chiavi gli tintinnano in mano. È tutto sudato. C’è un caldo asfissiante stanotte, ma lui non suda per questo, lo so. La canottiera che indossa aderisce al suo torace scolpito e io non vedo l’ora di togliergliela.
La casa è buia, col tetto basso, troppo piccola per un omone come lui. L’appartamento sembra una grotta, c’è freddo, l’aria condizionata mi congela il sudore sulla fronte. L’Orso accende un lumino all’ingresso e con quella sola luce a guidarci andiamo in fondo allo stretto corridoio, anche qui sta sempre davanti a me e si volta per vedere se ci sono. Ha sempre il cappello e gli occhiali da sole. Penetriamo il buio e arriviamo in camera da letto, sulla piccola scrivania ci sono il computer con la chat ancora aperta e il suo telefono. La scrivania sta sotto a un oblò, a un paso dal letto. Entra la luce gialla della strada, tagliata dalla croce di ferro che protegge il vetro. Sento la porta chiudersi alle mie spalle e subito dopo il suo fiato caldo sulla nuca. L’Orso mi posa la mano sulla spalla. Provo un’emozione spaventosa ma familiare. Quella manona pesa tanto che mi si piegano le gambe e mi ritrovo seduto sul letto accanto a lui. Accende la luce del comodino e finalmente si leva cappello e occhiali. Anche se non ha più i ricci rossi e porta la barba lunga, lo riconosco. Non le ho mai dimenticate quelle pupille viscide. La saliva mi evapora in gola, le caviglie mi si squagliano, come a sedici anni. È Gianmarco Peroni, l’incubo della terza A del liceo Gramsci. Lo stesso ragazzino che quel giorno di scuola mi ha fatto desiderare di morire. Poco prima dell’uscita andai in bagno, ma per paura di trovarlo lì che fumava andai in quello delle ragazze. Afferrai la maniglia della porta e sentii le sue mani possenti posarsi sulle mie spalle da uccellino. Mi buttò dentro con un calcio, caddi a terra e lui mi si lanciò addosso, provai a liberarmi, scalciai, tirai pugni, ma Giammarco era di una stazza troppo grossa per le mie braccia secche. Mi piantò i polsi a terra e strinse forte. Sentii le ossa scoppiare e urlai.
«Zitto Davide, o ti ammazzo!». Gianmarco mollò la stretta e mi baciò sulla bocca, il mio cazzo diventò duro all’istante e me lo stritolò come per soffocarlo. Serrai la mascella per il dolore. Lui si rialzò e mi pestò l’anfibio sulla pancia poi guardandomi fiero mi sputò in faccia. Giammarco uscì dal bagno delle ragazze e io mi raggomitolai per il dolore e la vergogna, ma finalmente era andato via e potevo piangere. La campanella suonò l’uscita. Mi sciacquai la faccia sporca di lacrime e di sputo. Aprii la porta e ad attendermi c’era tutta la scuola. Ridevano, mi additavano, mimavano mossette di ragazza. «Frocio!», urlavano sogghignando. «Ti credevo diverso», mi disse sconsolato il mio compago di banco. «Sei un checca», strillò una ragazza dalla quarta C. «Giammarco ti picchia e a te diventa duro, sei un malato», ragliò per tutti un ragazzo con il quale giocavo a calcetto. «A Davide Regis piace la banana!», si misero a cantare in coro, dopo che quello stronzo di Giammarco li aveva istigati con questo motivetto. Rimasi immobile e senza riuscire a dire niente, con una smorfia triste che mi apriva la faccia. «Vieni qua che ti do un pugno e magari ti faccio sborrare», mi disse Giammarco con tono sdolcinato poi rise. Trovai la forza e scappai da sotto i loro sguardi. A spintoni raggiunsi i cancelli e mi misi a correre, senza sapere dove stavo andando. Scappavo e basta, come se lui fosse dietro di me.
«Aspettami qui, vado un attimo in bagno. Sono tutto sudato. Fai come se fossi a casa tua», mi dice Giammarco ed esce dalla camera lasciando la porta aperta. Mi alzo dal letto e quando lo sento girare le chiave afferro il suo telefono. Illumino lo schermo sotto il lume del comodino, vedo il tratto del suo dito che aveva tracciato una W e sblocco il telefono. Ho sempre l’orecchio puntato al corridoio, sento l’acqua soccorre. Apro la fotocamera e scatto delle foto a tutta la nostra chat. La chiave gira, la porta del bagno si apre, riposo il telefono come l’avevo trovato e vado alla porta della camera. «Senti, ma perché non prendi la corda da sexy scalatore che ti annodo come un maialino. Ti va?», gli dico con la voce più da troia che riesco a fare. «Vado a prenderla», mi risponde tutto contento. Mi spoglio e lo aspetto disteso sul letto. Giammarco arriva con una lunga corda e me la porge dandomi una carezza. Incomincia a spogliarsi e mi dice, con la voce che quasi gli trema: «Legami al letto, baciami, afferrami il cazzo. Fammi tuo».
«È proprio quello che stavo pensando», faccio schioccare la corda e lui, ubbidiente, allarga gambe e braccia per farsi immobilizzare.
«Piano, così mi fai male, è troppo stretta».
«Ma che divertimento c’è se il gioco non è serio? Fai il bravo orsetto, ci penso io a te», dico leccandomi le labbra, lui mi sorride mentre noto che il suo cazzo che s’ingrossa e dopo pochi minuti l’ho legato per sempre.
«Scopami come un animale», mi dice disperato dall’eccitazione.
«Aspetta, accendo più luce».
«Sì, accendi, accendi e vieni subito qua».
«Che fai? Dai ordini? Qui comando io», e mi piego a novanta sulla scrivania. Mentre lui si perde a guardarmi il buco del culo, io apro la fotocamera del suo telefono. Lo appoggio bene allo schermo del computer e inizio a registrare. Prendo la federa dal cuscino caduto a terra e con un paio di forbici che trovo nel portapenne, mi faccio due buchi per gli occhi e la indosso.
«Ma che fai?».
«Fai il bravo che ora tocca me fare il cattivo», con un saltello mi tuffo a letto e comincio a fargli una sega. Giammarco ringhia di piacere e stringe il culo inarcando la schiena.
«Sì, sì continua, più forte!», mi ordina tutto eccitato mentre il suo telefono filma ogni cosa. Mi faccio leccare le palle poi il culo. Me lo scopo per una ventina di muniti mentre lui guaisce: «Oh mio dio, sì, sbattimelo tutto dentro».
Finisco, e gli sborro sulla pancia pelosa. Afferro i nostri cazzi e li sego insieme. Pochi minuti dopo viene anche lui e fa un verso come se gli avessi sparato.
«È stato bellissimo. Ora slegarmi. Ti va una sigaretta?».
«Grazie Giammarco, non fumo».
«Come sai il mio nome?», non gli rispondo e prendo il suo telefono. «Che fai? Mollalo subito». Salvo il video, mi volto verso di lui e scatto una foto ai suoi addominali sborrati. «Cazzo, smettila di farmi foto!».
«Tranquillo Giammarco, questa è poi basta», dico scattando una foto della sua faccia con il mio cazzo bagnato schiacciato sulla sua barba.
«Slegami o t’ammazzo, frocio di merda!». Mi siedo sul bordo della scrivania mentre Giammarco si agita inferocito. Entro nel suo profilo Facebook e pubblico tutto: le foto della nostra conversazione, il video della nostra scopata e le foto.
«Guarda Giammarco. Guarda cosa c’è sulla tua bacheca tutta crossfit e scalate del cazzo. Vedi? Ora sì che hai condiviso davvero una parte di te. Guarda!», e gli sbatto il telefono davanti agli occhi, «Ti riconosci?».
«Perché l’hai fatto? Ti prego, ti pago, ti darò tutto quello che vuoi! Ma leva subito quello schifo dal mio profilo», piange come se fosse caduto in una tagliola, a me viene un sacco da ridere quando per un momento penso che potrebbe morire di lacrime. Poi, come gli avevo promesso, sparisco per sempre.