Numero 67 – MARZO/GIUGNO 2022

“Sai che mio fratello più grande mi ha detto un segreto?”.
“E quale?”.
“Davide, Mattia, rientrate, forza, la ricreazione è finita”, li richiama Vittoria.
“Sì, maestra”, un sospiro di disappunto rinvia la confidenza alla prossima occasione.

Il biondo raccatta un camioncino a rimorchio sull’erba ingiallita per il torrido sole dei primi di giugno, mentre Mattia scende di nuovo dallo scivolo e poi corre in classe insieme al compagno. Sulla porta trovano, per l’ultima volta, l’immagine della coccinella…

Non accendere la luce, disse sua moglie. Perché, rispose il marito. Non chiedere, disse lei. Non devi chiedere. E non accendere la luce. Va bene, rispose il marito. Promettilo, disse la moglie…

Chi mi ama
qui si sdraia
in quest’estate orizzontale
e non ardisce spostare
me moritura nell’afa
e nell’incanto fatale..

Grigia metallizzata. Pulita. Lavata di sicuro sabato mattina, che non si lavora. Mercedes. Decappottabile. Ha anche un suv, probabilmente nero, ma se devi uscire a cena con una separata…

Eli pensava in cerchi. Le avevano insegnato a raggruppare ogni cosa in cerchi concentrici. Nel primo c’era lei.
In classe i cerchi erano disegnati su una lavagna a parte, perché imparassimo a usarli anche noi.
Primo cerchio: Eli. Secondo cerchio: mamma, papà, l’amore.
In quello degli amici, il terzo, c’erano anche dei maschi, e a me non andava giù…

Ornito mi aveva chiesto un cambio turno. Doveva fare un provino per una pubblicità del Mulino Bianco. Mica ci camperei ancora, però potrebbe essere un primo passo, mi aveva confessato davanti alla macchinetta del caffè… 

Cara polmonite,
per venti giorni non ho fumato,
per dieci non sono uscito di casa
e per sei non ho bevuto caffè-
non sono uscito per andare a feste, birre tra amici, mostre, incontri vari

e situazioni sociali

La Sardegna è una macchia ispida
Di verde e di giallo e anche di viola
Irsuta e un po’ burbera, come Bruno da Muravera
Che ci ha aperto la sua casa
L’ultima del paese, in cima alla collina
costruita come nido d’amore…

Mi dirigo all’appuntamento, le campane di una domenica di ottobre ridondano in lontananza, sono le otto del mattino e vedo Rosario Villari che sta già litigando in una piega di Via della Croce Bianca. Schiaccia il clacson, per farsi sentire da quelli che giocano a carte dall’altra parte della piazza, ai tavoli del bar. E anch’io che cammino, rifacendomi ancora una volta gli stessi conti in testa, mi fermo a guardare. Dal finestrino della sua Fiat 124 rossa, Villari stende il braccio per maledire gli antenati della vittima con cui ha scelto di prendersela stamattina. Ho ancora il fischio delle ruote nelle orecchie, il puzzo di bruciato dei freni mi si infila dentro al naso. La nebbia si sta aprendo come le tende di un teatro…

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