di Gaia Compesato
La Sardegna è una macchia ispida
Di verde e di giallo e anche di viola
Irsuta e un po’ burbera, come Bruno da Muravera
Che ci ha aperto la sua casa
L’ultima del paese, in cima alla collina
costruita come nido d’amore su un antico mandorleto.
Ci ha sfamati come gatti randagi
Rifiutandosi, una volta finito, di farsi lavare i piatti.
È una terra che va a fuoco in silenzio
Senza fiamme o sirene
ma in spesse nuvole grigie, come pecore stanche
O in crepitii di caminetto
Vicino al quale si acciambella Nina la rossa
per il quarto pisolino del giorno.
La Sardegna sono i cani pulciosi di Lollove,
che insieme alle macchine sfasciate regnano sul paese
dove la chiesa chiude alle tre ma il sole tramonta piano.
Sono le rocce sanguigne di Arbatax che tengono per mano
Palazzoni abbandonati, coperti di piscio e bottiglie rotte
Il luogo ideale per una timida ammissione di colpa.
Sono gli allevamenti di ostriche di San Teodoro,
li abbiamo osservati in silenzio mangiando una mela sull’acqua
per poi fare l’amore avidamente, nascosti tra le frasche
sui sedili sul retro del furgone.
La Sardegna ulula la notte tra gli alberi di Santa Teresa,
volubile, fa sbattere le finestre con i suoi capricci.
Le sue grida sono un monito o un urlo di vittoria
le ascolto dal mio grande letto freddo,
è la mia prima notte senza di te e sono nell’occhio del ciclone;
la mia anima accoglie quieta la tempesta.
Qui le mie mani sono amare dalla buccia d’arancia
Ci affondo le unghie, le apro a metà rivelandone
La polpa dolce e le forme sensuali di vulva aperta.
Per andarle a comprare mi hai fatto guidare il tuo furgone
E io l’ho guidato, si, dritto contro un palo
Ma poi te le ho sbucciate con cura, le arance,
togliendo le pellicine e porgendoti uno spicchio per volta
Iniziandoti al rito silente della frutta a fine pasto
Che mi riporta sempre a casa da mio padre.
Il sole si alza presto sui fianchi larghi del meridione
Dove Ylenia fa a pugni con la sua nuova malattia,
Giovanni cresce la barba rossa mentre perde un amico,
Antonio ritrova il suo centro con l’aiuto di Xanax e Mare,
Margherita fuma da sola e ride di rabbia,
Sara si diploma con 8 anni di ritardo.
Moreno si apre una mano volando in skate giù da una collina.
La Sardegna sono i residenti della Valle della Luna
Tossici, traumatizzati, depressi, liberi, disadattati, spirituali
Così vengono chiamati e così si chiamano tra loro.
Vivono nelle grotte e lavano le padelle sporche con la sabbia
Lo fanno in piccoli gruppi, accucciati in riva al mare come vecchie massaie.
Il mio corpo nudo li osserva, il segno del costume tradisce che la mia
È una spavalderia nudista di circostanza.
Lo sconosciuto ci parla della vita fuori dal mondo
Io penso a come lui sia il primo uomo a vedermi nuda
Senza che io voglia essere desiderata;
la mia nudità non cerca più motivo di esistere, semplicemente è;
ed io con lei.
Quest’isola sono io che mi faccio lo sgambetto
Che mi pongo le domande sbagliate al momento sbagliato,
correndo con i pensieri a un futuro indefinito ma improvvisamente immediato.
Cerco goffamente un equilibrio tra la purezza del tuo amore
e la lussuria dei vent’anni, scatenata da quelli che battezzo
“gli uomini con la barba e gli occhi belli” con cui ogni tanto ho voglia di giocare
e da cui non accetto categoricamente la possibilità di un rifiuto.
Ti racconto di loro (di lui, di voi) una sera di occhi umidi e verità amare
Le sputo a fatica, mi si bloccano in gola come biglie di bile.
Poi ti addormenti con la testa sul mio petto, mentre ti accarezzo i capelli
E prego piano di non farti scappare.
La Sardegna è l’estate che arriva in un lampo,
la poesia di un libro di Baricco fatto trovare sul cuscino
E poi letto in riva al mare, con i seni nudi che si colorano di sole
È Debora senza h che viene da Bassano
Con i piedi sporchi e il sorriso grande da bambina,
che ci trascina a vedere Il tramonto, che lei chiama
“la palla di fuoco che annega”
o forse sono io che lo chiamo così e le metto in bocca le parole
come grosse caramelle.
La Sardegna è cogliere la luna in piazza nuova a Castelsardo,
riconoscere un elefante in una roccia a bordo strada,
parlare di comunismo e futuro passeggiando per Orgosolo,
è la pasta con vongole e pistacchi a Porto Torres,
il silenzio pregno e antico che abita la tomba di Santa Cristina,
dove mi chiedi di essere lasciato solo ancora un istante.
E’ una cagnetta abbandonata che ora zoppica e nessuno sa perché,
i fiori, tutti diversi, che ti infilo nel cappello per trasformarti in un giardino,
sono i paguri di Cane Malu che si arrampicano sulle nostre ichnusa al limone.
Sono le onde di Piscinas che nel loro sciabordio lasciano sulla sabbia schiuma delicata
come merletto, lo strascico di una sposa invisibile.
La Sardegna sono io, che ti regalo del corallo così che tu non ti possa mai dimenticare di lei.