di Moreno Hebling
Cara polmonite,
per venti giorni non ho fumato,
per dieci non sono uscito di casa
e per sei non ho bevuto caffè –
non sono uscito per andare a feste,
birre tra amici, mostre, incontri vari
e situazioni sociali
di pura abitudine o routine
grazie a te.
Mi ha dato un’occasione per disintossicarmi
dalle passeggiate tanto per fare,
dal parlare per sentito dire,
dal vedersi per pura cortesia,
dagli aperitivi senza motivo e quant’altro
di cui mi lamentavo tra me e me,
ed è stata una noia mortale.
Ti ringrazio però,
era da anni che volevo provarci,
avrei fatto però volentieri a meno
dello sballo da medicine
e delle dieci punture di Rocefin a chiappe alterne
che mi fanno sedere male
e deambulare per casa come un ubriaco
che, bello allegro, cammina qui e lì
in costante caduta, pendente verso destra,
tossendo come il motore a scoppio
di un vecchio trattore.
Avrei fatto a meno del sudore che puzza d’antibiotico,
non mi fa sentire in buone mani
e nemmeno dover prendere fiale su fiale
di fermenti lattici per evitarmi la candida
o altri effetti indesiderati da poco.
Però grazie a te, polmonite,
mi hai ripulito a tal punto dal mondo esterno
che pure il tragitto fino all’Angelo
mi è sembrato interessante:
c’erano macchine bianche
e macchine blu e gialle,
il prato era verde scuro per la pioggia,
e all’accettazione erano tutti tristi
più di me, ma non più tristi
delle facce nei bar e nelle vie
la domenica pomeriggio,
e non solo per la pioggia
ma per chissà che altro.
In confronto mi sento bene
e quasi fortunato. Il sole è bello
anche dietro una finestra
anche sotto una coperta
con un termometro sotto l’ascella.
E poi ho un sacco di tempo
e non ho dove scappare a fine cena
così che quasi mi va di restare a tavola
con mamma e le sue amiche
e ascoltarle parlare dei loro genitori
e dell’essere giovani negli anni settanta,
dell’università e del patriarcato culturale
che ancora si sentiva
mentre il clima si laicizzava,
o parlare degli scout del patronato Kennedy
che non indossavano la divisa ma solo il foulard,
degli amici che ai tempi si drogavano peso,
di quelli che si sono persi per strada,
che sono stati con donne di altri in segreto,
che hanno sbagliato matrimonio
o che altro,
e mi ricordano molto noi altri
che parliamo dei nostri sedici anni,
dei nostri genitori
che non ci capivano,
del Candiani e dei viaggi qui e lì
degli amici che spacciavano fermati dalla polizia,
di quelli che si sono persi per strada
o che hanno sbagliato fidanzata.
Cara polmonite,
mi hai dato tempo di pensare:
mi hai ricordato la bisnonna
che ci è morta, di polmonite,
ma era solo una costatazione di passaggio.
Alla fine, aveva novant’anni
e ne aveva una per polmone;
mi hai ricordato anche che c’ho un corpo
qui sotto, qui nascosto
sotto questa gioventù
che potrebbe non essermi sempre fedele,
ma lo si sapeva già.
C’è già gente rovinata
a cui mancano pezzi di questo o quello,
eppure mi permetto di lamentarmi;
mi hai pestato e sfiancato a tal punto
che in vasca da bagno
mi sono sentito una merda
tirando fuori dall’acqua una formica già morta.
Mi sono accollato la colpa
di essere arrivato troppo tardi per salvarla.
Si meritava un cenotafio, un mausoleo,
un effige e il funerale
che purtroppo non le ho fatto,
ma avevo anche la febbre a 40 –
e i maschi, quando c’è febbre,
fanno sempre la tragedia greca.
Ho avuto la decenza, però,
nonostante la febbre e la tosse
di non scrivere il testamento
e di non frignare troppo –
un grande passo avanti per il nostro genere.
Quindi grazie a te polmonite
che non mi hai insegnato niente
e come al solito ho imparato tutto da me.
Grazie che mi hai scalfito e abbattuto
ma ci rido già su ma non troppo
sennò ricomincia la tosse;
grazie a te
di tutto il tempo guadagnato per me stesso
in cui non ho fatto altro
che guardare il soffitto e sognare il mondo esterno
per vedere di ricordarmelo più dolce
e più luminoso e lindo
di quello che in realtà è;
e in definitiva
grazie a te, polmonite,
che mi hai dato una scusa e del tempo libero
per chiamare papà e parenti un po’ più spesso.
Alla fine a qualcosa credo tu sia servita –
ma in caso contrario
non me la prenderei nemmeno,
e la prossima volta
mi metterò una sciarpina.