di Giulio Natali
“Sai che mio fratello più grande mi ha detto un segreto?”.
“E quale?”.
“Davide, Mattia, rientrate, forza, la ricreazione è finita”, li richiama Vittoria.
“Sì, maestra”, un sospiro di disappunto rinvia la confidenza alla prossima occasione.
Il biondo raccatta un camioncino a rimorchio sull’erba ingiallita per il torrido sole dei primi di giugno, mentre Mattia scende di nuovo dallo scivolo e poi corre in classe insieme al compagno. Sulla porta trovano, per l’ultima volta, l’immagine della coccinella. Il prossimo anno scolastico insieme ad altri quattordici coetanei si tramuteranno in ranocchi, il nome scelto per chi si prepara a balzare verso le elementari.
“Dove andrete, a settembre?”, chiede appunto Renata, l’altra maestra, ai ranocchi di oggi.
“Alla scuola dei grandi!”, rispondono all’unisono con un sorriso fatto di dondolanti denti di passaggio. Poi si mettono in fila per ricevere una pergamena arrotolata. La direttrice si congratula e stringe mani come se premiasse con la medaglia olimpica. “Grazie”, gracidano, anche se avrebbero preferito un ovetto Kinder come dono. Ma non si dice, è già chiaro che le piccole ipocrisie pagano più della sincerità. Come quando Vittoria parla torva al cellulare: tutti sanno che con il marito non va per la possessività di lui, però nessuno fiata. D’altronde la scuola è fatta per insegnare a vivere. E per crescere. Sanno bene, quei bimbi, il significato della pergamena: da domani giochi, filastrocche e lacrime dell’asilo saranno relegati in un angolo della memoria. Non immaginano invece che tanti ricordi, frammentari e in parte stravolti, ricompariranno sotto forma di tic e fobie più avanti – anche molto più avanti – quando meno se lo aspetteranno. Davide e Mattia guardano la scena che li vedrà protagonisti tra un anno, applaudono a comando e annusano l’odore di cucinato. Mirella ha preparato pasta al pesto senz’aglio, la sua specialità. Se riesce nel miracolo di servirla cotta a puntino, miglior congedo prima dell’estate non può esserci. Tutto parla di vacanza, i grembiuli lasciati a casa, i pantaloncini indossati e i ginocchi sbucciati in bella vista. Il profumo dei gelsomini, puntale come ogni anno, è una sentenza. Gianfranco, il bidello, suonerà la campanella alle tre, un’ora prima del consueto, così alle quattro il parco comunale sarà affollato sulle altalene e sulle panchine. Prima però, in piena digestione, si va tutti nel salone della ginnastica per il consueto spettacolino e i saluti finali. Questo è l’anno di Cappuccetto Rosso. Vittoria fa la mamma, Renata – che aspetta di sapere se il governo rinnoverà l’opzione donna per andarsene in pensione – si camuffa da nonna e non ha bisogno di trucco eccessivo. Gianfranco indossa il costume del lupo e Mirella si colora due baffi marroni, pronta, sotto una coppola a scacchi, a impersonare il cacciatore. Non le serve altro, perché i modi spicci li ha già di suo. La protagonista non può che essere Sofia: bionda, occhi azzurri, faccia tosta e nipote della direttrice. Il profilo perfetto per ricoprire il ruolo della bambina disubbidiente e sfrontata. Gli altri ranocchi paiono meno entusiasti, pure loro tra gli attori ma relegati a comparse. Alcuni fanno gli alberi, altri interpretano case sparse aggiunte senza pudore dalle maestre al racconto originale, a chi va peggio capita di fare la siepe, mezz’ora chino sulle ginocchia come i loro nonni sui ceci sessant’anni prima. Almeno all’epoca veniva chiamata con il vero nome, punizione.
E poi ci sono gli spettatori. Davide, Mattia e tutte le coccinelle sono seduti a gambe incrociate sul pavimento di gomma blu. Le femmine ingannano l’attesa giocando a mestieri, i maschi emettono suoni gutturali e si spintonano. I coccodrilli, quelli più piccoli, sono in prima fila con un occhio aperto e l’altro pronto al sonnellino delle due, interessati alla recita senza disdegnare la pennichella in alternativa. A ridestarli ci pensa la voce fuori campo della direttrice che annuncia l’inizio dello spettacolo. Dieci secondi di silenzio e parte una musica. “I sogni son desideri”, canta Cenerentola. Completamente fuori tema, ma Renata non ha trovato il cd giusto nella libreria della sala riunioni. Si alza il sipario. Ecco la mamma parlare a Cappuccetto Rosso già pronta a incamminarsi con il cestino di vimini, ecco Cappuccetto Rosso fare di testa sua e incontrare il lupo, e ancora ecco la bestia papparsi nonna e nipote e addormentarsi. Mentre Gianfranco dentro al costume finge di russare con talento sospetto, Mirella fa due passi avanti dalle quinte, pronta ad entrare in scena per il lieto fine. Quel fifone di Mattia chiude gli occhi e poggia la testa impaurito sulla spalla di Davide, che da bravo ometto guarda invece fisso la scena. E poi spalanca la bocca meravigliato. Uno sconosciuto irrompe sul palcoscenico ansimando e spinge via la cuoca. Non fa “pum pum” con il dito indice rivolto al lupo come dice il copione, ma preme il grilletto del fucile che ha con sé e centra in pieno l’addome del bidello. Arrivano le sirene, delle autoambulanze e dei carabinieri. E a seguire si precipitano i genitori, scioccati e allibiti appena avuta notizia del fatto.
“Ha detto cose tipo Scopare… Così impari… Mia moglie… ”, dice Davide alla mamma quasi incredula di poterlo accarezzare proprio come aveva fatto la mattina al cancello della scuola.
Mattia ha invece riaperto gli occhi giusto in tempo per vedere una pozza di sangue formarsi sulle assi di legno del palco e un cadavere peloso portato via.
“Ma sono uscite vive dalla pancia la nonna e Cappuccetto Rosso?”, chiede sul seggiolino dell’auto ai suoi quando gli agganciano la cintura di sicurezza.