Sull’avambraccio destro aveva tatuato ‘fearless’.
Era il titolo della sua canzone preferita tra quelle che aveva registrato nel suo primo EP autoprodotto, la stava cantando giusto in quel momento, sul palco del Siddharta, mentre io la guardavo oscillando nell’oscurità in mezzo a una ventina di persone, con la maglietta sudata e la pelle delle braccia resa viscida e appiccicosa dal sudore degli altri. Era il pezzo più lento dei suoi, simile ad un galleggiare elettrico. Come se essere ‘senza paura’ dovesse per forza significare essere riflessivi, introspettivi, «spalancare gli occhi verso l’interno di noi», cantava Isa in inglese, invece che fuori, era la sua soluzione per risultare “interi”. Avevamo diciotto anni, Isa era alta quasi 1,80 e con gli anfibi New Rock arrivava almeno a 1,90, stringeva il microfono sospirandoci dentro le parti più dolorose…