Il punto zero

di Pierandrea Ranicchi

 

Fanculo cari colleghi arrivisti. Godetevi il vostro niente in tagli da dieci, venti, cinquanta, cento euro. Godetevi una casa che non abitate. Una famiglia di cui non fate parte. Una cravatta da girare due volte intorno al collo, quando vi accorgerete, e magari sarà tardi, di essere solo un numero come quelli che tallonate.
A me saranno sufficienti questi dieci metri, né più né meno, a occhio s’intende. Calcolo uno spazio proprio io che a malapena riconosco la distanza che ho sempre preso da me stesso, da ciò che mi allontana da quella normalità che mi ha scansato, o che ho schivato, in quel prima ma forse non in questo dopo, in quel là ma forse non in questo qua, o meglio, dovrei dire, laggiù, perché questa è una discesa definitiva: per azzerare tutto.
Il tempo è un bastardo ma riesce anche a dispensare buone dritte: a me ha suggerito che l’unico modo, per liberarmi e disfare questa matassa di inedia e non senso, è quello di fare questo passo in più, senza pensarci troppo.
Arrighi, il dottor Arrighi: il pediatra. Quasi un luminare per alcuni. Per i miei tanti detrattori, sì perché le regole sono regole e chi non si uniforma questo diventa, «uno fuori dalle righe». Colleghi cari, anzi carissimi soprattutto per chi siede nelle sale d’attesa dei vostri studi, siete voi fuori rotta, fuori tempo massimo per imboccare la direzione che forse non avete mai contemplato, troppo presi a pedinare titoli che servirebbero a dare, non a ricevere. Clienti, così dovreste chiamarli: stupido io ad averli sempre considerati pazienti? Pazienti con voi sicuro: troppe volte avrebbero dovuto indicarvi la strada per andare a quel paese: il navigatore non serve, il percorso per arrivarci è tracciato attorno a quello stesso Giuramento di Ippocrate che avete aggirato.
La blasonata Università, certo, sulla carta, può fare di una persona un medico, ma è nel dopo che lo diventa, in base alle scelte.
I bambini: la mia scelta sono stati loro, le loro menti, la loro dopamina dal turnover alterato, agli stimoli desensibilizzata, in un attorcigliato girovagare per incantati e, di sogni, sovraffollati sentieri adrenergici, noradrenergici, gabaergici, colinergici, serotoninergici, dopaminergici: l’attenzione zavorrata dall’iperattività, ADHD in altre parole, il mio principale campo d’interesse. A cosa serve tutto questo, ora? A poco e niente dato che sto per andare oltre.
«Cosa sta facendo? Le devo chiedere di procedere, per cortesia» la voce della hostess di volo mi strattona all’ora e al qui, invitandomi, con piantonato garbo, a scendere la scala d’imbarco.
Sono l’ultimo, volevo galleggiare un po’ sull’afa dell’aeroporto di Kinshasa, prima di andare incontro all’idrocefalia, alla malnutrizione, alla malaria, agli elminti, all’AIDS, forse anche a Ebola: l’opaco sotto questo accecante sole, ma anche il mio nuovo punto zero.


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