di Michele Punturieri
La notte era da poco cominciata e, caldo a parte, prometteva niente male.
Prima corsa completata e 30 euro in saccoccia, per lasciare in aeroporto un’accoppiata di argentini dal sorriso molto acceso e dalla mancia molto facile.
Tipi come loro andavano clonati. Senza se e senza ma. Il mondo e l’esistenza, specie quella sua, ne avrebbero giovato.
Si accodò ai suoi colleghi fermi in sosta lì al Rossio. Spense il quadro. Si mise a osservarli. Mentre stavano appoggiati alla fiancata di un tassì ad aspettare un’altra corsa. Paulo Fonseca con Marcelo e Abelardo. Nel ronzio della città. Sigaretta tra le labbra e mille chiacchiere da bar che si perdevano nell’aria.
Preferiva starne fuori.
Ogni volta che poteva.
Da buon lupo solitario, si bastava in abbondanza. E dentro alla sua Dacia, aveva già una comfort-zone rassicurante e protettiva.
Era Jorge.
Jorge Alves.
Di anni 41.
Con licenza di tassista.
Sulle strade di Lisbona.
Dal pacchetto tirò fuori una Gitanes. L’accese e aspirò. Profondamente. Si mise in sintonia con la frequenza preferita tra le tante dalla radio. Rock Forever. I classici del genere a go-go h24. Angie degli Stones s’impossessò dell’abitacolo. Jagger era un dio, non c’è che dire. Quella timbrica gracchiante, a tratti cruda e sofferente, toccava molte corde provocando vibrazioni. Nell’anima e nel corpo. Reclinò di qualche grado lo schienale. Aspirò dalla Gitanes, un braccio al finestrino e poi si abbandonò, completamente, all’ impregnarsi di quei doni.
Il grande rock dei seventies.
Le luci della notte.
Tabacco e nicotina.
I suoni di Lisbona.
Ci fosse stato poi anche un cicchetto di Ginjinha, non lo avrebbe barattato, quel momento, per qualsiasi eternità di qualsivoglia paradiso. Fosse in cielo oppure in terra.
Fanculo Catarina. Fanculo a quella troia che lo aveva scaricato con la scusa di una pausa. Come se l’amore si potesse relegare a una pausa caffè o all’intervallo tra i 2 tempi di un Benfica-Sporting Braga.
Gli anni spesi insieme, cancellati by WhatsApp. Con un semplice messaggio che, più o meno, recitava:
Trascinarsi in questo modo rende tutto senza senso.
Ho bisogno di staccare.
Per riflettere e capire se sia il caso di trovare
un buon motivo per riprendere.
Le piaceva il melodramma. Quella frase lo provava. La realtà era che in fondo, la puttana, aveva fame di altri cazzi. Di altri culi cui aggrapparsi. E altri idioti da fiaccare coltivando amori tossici. Di quelli le cui scorie si smaltivano a fatica e le cui tracce, distruttive, rimanevano indelebili sul fisico e nel cuore.
Sbloccò il fedele Samsung. Trovò l’interessata e pigiò l’icona OK, lanciando la chiamata. Ci vollero due squilli.
«Perché continui a insistere?»
Il tono era glaciale. Profondo e distaccato.
«Perché non dovrei farlo?»
«Perché ci ho messo un punto».
«E io sono alle virgole».
«Dovresti rassegnarti».
«Dovrei ma non ho voglia. E aspetto un altro round».
«Non credo l’otterrai».
«Sei solo una puttana».
«Non meriti risposta».
«Da chi ti fai scopare? Scommetto da Fernando. Oppure è Tiago Souza? Avrei dovuto fargli il culo, a quei bastardi! Già da molto tempo…»
«Sei malato. È guerra persa. Necessiti assistenza».
«Maledizione, TI AMO!! Non posso cancellarti!»
«Impegnati di più. Vedrai che ci riesci. Di certo non sei il primo. E l’ultimo è distante…»
Cinica. Impietosa. Del tutto indifferente.
Sentì che riattaccava. Senza appelli da concedere. A lui che reclamava soltanto un’altra chance in un confronto senza storia.
Era inutile. Le donne, o certe donne, vincevano comunque. Quando amavano con forza e, soprattutto, se smettevano di farlo. Maestre senza pari. Sapevano colpire. Mirando ai punti deboli da lucidi cecchini. E quando non bastava, godevano a umiliarti. Lasciandoti impotente col tuo ego proverbiale. Ridotto in mille pezzi o a dimensione di batterio.
Si sporse al finestrino e scatarrò con decisione. In bocca troppo amaro. Veleno misto a fiele in dosi multiple e massicce. Decise di abdicare. Il mondo, d’altra parte, pullulava di altre donne. Non c’era che da scegliere. La prossima compagna di un amore a lieto inizio. E dalla fine deludente.
Se solo fosse Jagger. Avrebbe camminato sulle strade dell’amore per vederle, fino all’orlo, andare a fondo nelle lacrime. Per lo meno, ne avrebbe approfittato per plasmare le sue pene trasformandole in canzoni.
Cambiò stazione radio. Mentre fuori, in quell’istante, il vecchio stronzo di Fonseca aveva appena caricato un altro pollo da spennare. Mise in moto e procedette, lentamente, ad avanzare nella coda dietro al taxi di Abelardo. Secondo le statistiche, di lì a tre quarti d’ora, avrebbe riacquistato il piazzamento in prima fila. La sigla terminò e il notiziario prese il via. L’edizione della notte. Si fermò ad ascoltarlo, curioso delle news.
Sentì la voce insulsa dello speaker blaterare di politica, vaccini, morti celebri. In mezzo a terremoti e finte guerre commerciali tra gli yankee e i cinesi. Il mondo andava a rotoli. Gli umani messi all’angolo. Eppure, chissà come, riuscivano ogni volta a fare salvo il culo entrambi. Gli umani ed il pianeta. E a volgere quel culo verso i prossimi millenni.
La cronaca incalzò. Il caso del momento che teneva per le palle tutto quanto il Portogallo. I due quattordicenni evaporati giù all’Alfama, nel cuore di Lisbona. Dissoltisi nel nulla in un banale giovedì. Di ormai un mese prima. Faccenda complicata. Non c’era un testimone e tantomeno un sospettato. Gli sbirri sotto stress che brancolavano nel buio. I vicoli del barrio setacciati palmo a palmo. Parenti e poi amici, turisti e vicinato. Chiunque, in qualche modo, potesse offrire indizi, era già stato interrogato. Eppure ancora niente. Quei figli di puttana sembravano spariti. Le tracce cancellate. La pubblica opinione si affidava alle preghiere. Gli sbirri alla fortuna. E Marlowe e Sam Spade se la spassavano di brutto. Cazzo, loro sì che avrebbero da un pezzo sbrogliato la matassa. Scovando i due pischelli e riportandoli affanculo tra le cosce delle madri.
Detective alla Marlowe. In pieno stile hard-boiled. Il prossimo mestiere, appeso il taxi al chiodo, sarebbe stato quello. Un lurido ufficetto per ricevere i clienti. La bionda d’ordinanza sempre accesa tra le labbra. Revolver in fondina e via per bassifondi, tra bettole retrò, un bourbon dietro l’altro e il classico contorno della bambola fatale. Magari ci scrivevano una serie: Detective Jorge Alves, il fiuto non perdona.
La voce lo distolse da quel film. Maschile, fastidiosa, rauca.
«Hey fratello, come butta? Ce l’hai un mozzicone?»
Jorge l’osservò senza fiatare. 30 anni, sporco, bianco. Un trio di cani al seguito e zainetto sulla spalla. Il tanfo che emanava gli salì per le narici. Alcol dei peggiori. Comprato a buon mercato in qualche spaccio bengalese. Trovò le sigarette. Ancora un altro paio. Le porse al vagabondo e fece cenno di sloggiare. Quello gli obbedì e indietreggiò senza obiettare.
Lo vide allontanarsi nella notte lisbonese, a passo barcollante e i tre randagi fidi al fianco.
Un cristo derelitto in mezzo al resto degli umani. Chi con un lavoro, un tetto saldo e un conto in banca. Chi le pezze al culo e un domani da inventare.
Tutti alla ricerca, spesso vana, di qualcuno o di qualcosa. Forse di una strada.
E di un motivo consistente per decidersi a seguirla.
Rimase ad aspettare. Pensando a Catarina che scopava con Fernando. Un fremito fulmineo gli percorse braccia e gambe, riportandolo al presente.
Nessuna alternativa. La mente era una trappola che andava governata. A costo di fallire e rassegnarsi alla follia.
Le valvole di sfogo. Strumenti benedetti grazie a cui si andava avanti. Che fossero la pesca, i francobolli o il bungee-jumping. Oppure due bambocci rimorchiati giù all’Alfama con la scusa di un affare. Condotti dal quartiere in una anonima topaia, resi innocui a suon di rum e segregati giù in cantina per concludere il cliché. Giocattoli di carne a uso pieno ed esclusivo. Su cui far ricadere torti, delusioni, frustrazioni e colpe altrui. Su cui infierire duro praticando, in libertà, qualunque genere di abuso. Ripulendo dalla mente oscuri demoni in attesa e ogni embrione di pazzia.
Il gioco delle parti. Le prede e i predatori. La lotta di ogni specie per difendere la base. Ciascuna col suo ruolo. Pedine al loro posto in un perfetto marchingegno.
Le cose funzionavano così. Da secoli o millenni.
Decise che a cambiarle non sarebbe stato lui.