Capriccio del mare

di Antonio Panico

L’acqua del mare lambisce i bordi di un vecchio molo di cemento. Apostolos e Spyros sono seduti sul bagnasciuga di sassolini color argilla. Alle spalle soffia il vento che passa attraverso i pini e gli ulivi. Il clima è piacevole in quest’estate che sta finendo, il lido è chiuso e il vento, a ogni soffiata, fa stridere le amache pazientemente attorcigliate e attaccate agli alberi. Spyros e Apostolos fumano uno spinello e bevono un nescafé frappé con latte. Guardano l’acqua, le manovre delle onde che impattano sul molo, e si domandano qual è il futuro di quell’opera di cemento, adesso che non c’è nessun porto, nessuna imbarcazione da attraccare. Spyros dice che è un molo che esiste dai tempi di Pericle. Apostolos si fa uscire il fumo bianco dalle narici e ride forte: << È un porticciolo che costruirono a metà anni Settanta per le barchette dei pescatori.>> I due ritornano in silenzio, l’acqua leviga il cemento a un ritmo lentissimo, mentre i molluschi sulla superficie creano, nel tempo, una decorazione anarchica e linda; un capriccio del mare.

<< A fare i tuffi, questo molo servirà a fare i tuffi. >>

Dice Spyros succhiando dalla cannuccia vuota, con la cannella che gli è arrivata fino ai baffi, appena accennati sulla pelle abbronzata. << Un giorno la superficie sarà troppo liscia! >> lo interruppe Apostolos, << e non ci si potrà tuffare senza rischiare di rompersi la schiena.>>

L’acqua è trasparente, con il sole del tardo pomeriggio diventa verde smeraldo e il fondo marino sembra potersi vedere anche da lontano, dalla spiaggia dove sono seduti Spyros e Apostolos. C’è alta marea, adesso le onde si arrampicano aggressive sul vecchio molo di cemento. Il fluire e defluire del mare leviga la superficie ruvida e rapisce la fantasia dei due amici seduti sul bagnasciuga, intronati dall’hashish e dal sole che se ne scappa dietro la collina.

<< Se sale il livello del mare, nel giro di qualche decennio, il molo farà parte del fondale e addio tuffi, addio nottate a pescare. >> Apostolos rise, ma questa volta un po’ preoccupato, come se fosse angosciato dalla sparizione di quella mostruosa opera di cemento nel bel mezzo della bellezza marina. Si tolse la maglietta e, senza dire nulla, andò a tuffarsi per poi riemergere più in là, oltre la linea immaginaria della fine del molo. Spyros ne approfittò per rubarsi un po’ di caffè, poi ritornò a guardare il vecchio molo, i maniglioni arrugginiti che resistono all’erosione, i gradoni ricoperti di gusci e alghe.

<< Se lo guardi bene sembra un materasso di cemento. Al centro è piegato. >>

Apostolos non disse nulla, si asciugò il viso con la maglietta e corrugò la fronte per verificare l’informazione. Pensò che avesse ragione. Il molo aveva una sorta di spaccatura al centro che produceva una piegatura, un incidente che non dovrebbe capitare a un’opera di cemento di tale consistenza. Poi accese ciò che restava di quella canna, non si dissero niente, ma entrambi trovarono nelle sinuosità dell’isola di Sifnos che si vedeva da lontano qualcosa di attraente, nell’odore di pino caliente qualcosa di eccitante. << E se volessimo aspettare che questo cemento ruvido diventi pietra liscia? Quanti anni credi che dovremmo restare qui? >>

<< Buona domanda. Ma con quest’acqua così salata penso ce la caveremmo in una quarantina d’anni.>> Rispose Spyros, che disse quaranta ma pensò fosse più realistico quattrocento: lo disse per non deludere il suo amico che ormai credeva nell’evenienza: all’idea di un molo inutile di pietra dolce e levigata. Adesso Apostolos osserva il moto perpetuo delle onde. Un’onda riporta Spyros sulla superficie. Se ne sta qualche minuto steso nella risacca e guarda il cielo che piano piano si annuvola, dice:

<< Le nuvole vanno più piano delle onde del mare. >>

<< E non sono circolari. > > Disse pronto Apostolos, che a fumare vicino al mare diventava più lucido e sensibile.  << Io ci farei un chiosco, venderei caffè, cocktail e gelati a chi si butta dai panfili. >> Incalzò Spyros mentre si scrollava le gocce d’acqua dai riccioloni induriti dal sole.

<< Io ci metterei una dinamite e vaffanculo molo. >> Disse Apostolos raccogliendo un sasso che tirò sulla superficie di cemento, proprio nel punto in cui le onde si ritirano per ricadere nel mare.

Iniziarono allora una gara che aveva come obiettivo quello di colpire con le pietre i maniglioni arrugginiti che, in un’altra epoca, erano serviti per attraccare le imbarcazioni.

Nessuno dei due ci riuscì, ma fu grazie a questa gara che si accorsero di una crepa laterale nel cemento che creava quell’effetto materasso, una depressione al centro del molo che faceva intravedere un futuro di deterioramento per quell’opera. La marea era sempre alta ma le onde si erano ritirare di qualche metro. Non invadevano più il molo ma si scontravano su questo, con la spuma che dilagava sulla superficie fino a formare un laghetto all’altezza della depressione centrale. All’improvviso, nella quiete del tardo pomeriggio, si sentirono le risate di due ragazze che scendevano da un dirupo che portava alla baia. Una era mora, un’altra era bionda. Apostolos pensò che fossero figlie di qualche greco emigrato in Australia. Portavano entrambi un pantaloncino giallo e Spyros pensò che fossero piccole e sorelle, ma forse lo pensò perpigrizia o per la vergogna che provava dopo aver fumato hashish. Le tizie si tolsero i pantaloncini e si buttarono in acqua. Una aveva un costume due pezzi turchese, un’altra un pezzo unico nero che fece trasalire entrambi. Apostolos fu il primo a buttarsi in acqua. Spyros lo seguì ma senza grande convinzione; aveva la bocca secca ed era tentato di bersi l’acqua del mare. Le tizie nuotavano verso il molo, in orizzontale, e ad ogni onda andavano sotto e poi risalivano ridendo. Loro due andarono invece in verticale, con la spina dorsale che usciva appena dall’acqua.

Quando le raggiunsero le ragazze erano già sedute sulla punta del molo, più facile da raggiungere con l’alta marea. Le tizie muovevano le gambe come due bambine, guardavano esterrefatte il fondale e, a vedere quei due che arrivavano esausti dalla nuotata verticale risero ancora più forte: come per burlarsi degli sforzi che i maschi sono disposti a fare davanti a un paio di gambe. Le due avevano le facce delle greche ma, tra di loro, parlavano in inglese. Apostolos disse loro di buttarsi, quelle si guardarono e risero ancora di più. Poi quella di sinistra, quella che indossava il costume nero, fece loro segno di salire fino a che un’onda non urtò forte contro il molo e obbligò le tizie a mettersi in piedi. La forza dell’onda spinse indietro i due amici che si sentirono avviliti e optarono per raggiungere la riva, con una decina di bracciate veloci. Adesso le tipe stavano all’inizio del molo, in piedi, e sembravano meno divertite di prima. I cavalloni venivano giù potenti, si stendevano su tutta la superficie di cemento e impedivano alle ragazze di fare i due gradoni per arrivare alla riva.

Dal bagnasciuga Apostolos urlò di tuffarsi, che non c’erano scogli, era solo un vecchio molo, ma quelle non si decidevano e, ad ogni onda che lambiva veemente il molo, sembravano poter perdere l’equilibrio. Anche Spyros disse loro che buttarsi sarebbe stato più prudente che scendere quei due gradoni, una sorta di pedana di cemento che, di notte, aiuta i pescatori a raggiungere la loro posizione. Le urla dei ragazzi e delle ragazze attirarono poi l’attenzione di un uomo sui cinquanta, con la testa rotonda e il fisico robusto. Il tizio scese da una fuoriserie nera e andò sulla spiaggia camminando a gambe larghe, come se non avesse mai deambulato in vita sua sulla sabbia. Era il padre delle tizie o di una delle due, questo Apostolos e Spyros non lo capirono. L’uomo andò verso la riva e, immergendosi con l ’acqua fino alle ginocchia, allungò prima una mano a una e poi a un’altra. Una volta giù le tizie ripresero a ridere e, coprendosi la bocca, guardarono i ragazzi che nel frattempo si erano messi seduti, come quando speculavano sulla storia e il futuro di quel molo.

<< Chi sono quei due? Ricordatevi che i greci vogliono solo fare i Pascià.>>

Disse l’uomo che, a netto del suo aspetto virulento, continuava a camminare con le gambe larghe, come se avesse un palo in culo. Apostolos e Spyros si guardarono e senza dirsi niente camminarono verso la strada sterrata, dove avevano parcheggiato il motorino. Lungo il tragitto, a turno, esaltarono i corpi di quelle due ragazze, in una descrizione che rischiava di sconfinare nella fantasia o l’idealizzazione. Apostolos giurava di aver visto i peli neri del pube che si bagnavano sotto il costume della mora, mentre Spyros giurava che la biondina, quella con il costume d’un pezzo, avesse un culo di un marmo delicato, levigato durante anni dalle onde del mare. Risero, contenti ed eccitati diedero qualche colpo di clacson che, a quell’ora della sera, tagliò tutta la campagna. Da lontano Sifnos sembrava una donna dalla schiena dritta e i seni solidi, imperturbabile nella burrasca che soffiava sopra le Cicladi. Spyros e Apostolos avevano le facce rivolte verso il mare che si gonfiava, sulla cui superficie si vedevano le creste bianche delle onde scomparire qualche secondo dopo essere nate. Pensarono al movimento delle onde, a come la tempesta accelerasse quel moto di presenza e assenza.
Poi una fuoriserie, forse la stessa dove viaggiavano le ragazze, sorpassò il motorino. Dai sedili posteriori videro quelle gambe bianche affusolate, i piedini appoggiati ai finestrini; dallo stereo suonava Mi mou xanafýgeis pia  a massimo volume e loro dietro, attaccati al cofano che quasi sbattevano, a godersi i loro sogni levantini; le aspirazioni da Pascià che si alimentano davanti al mare.



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