Saudino
di Massimo Dilevrano
Saudino teneva sul palmo delle mani i capelli di sua sorella Giulia: una lamiera d’acciaio, pesante, profumavano di chincaglieria e di pompelmo fresco. Li respirava a pieni polmoni, quasi fossero una foresta di pini secolari entro i quali bearsi nel gioco delle ombre sommesse, del velluto che si scioglieva tra le mani. Li stringeva forte, quei capelli, come cavi di acciaio, assaporandone il gusto sensibile e l’idea che dietro quel ammasso di paglia ci fosse una donna bellissima e non sua sorella. — Te la ricordi la mamma? — gli chiese, frugando con le punta delle dita, tutta la lunghezza dei capelli, in un movimento ostinato. — Ahi! Mi fai male Saudì, stai fermo con quelle mani — ma lui continuava, su e giù, su e giù a rastrellare quelle corde da fienile — Era solo un nodo, non ti preoccupare, te lo sciolgo subito. Allora te la ricordi? —. Giulia lo guardò nello specchio, il corpo leggero e striminzito, la testa ben fatta che si muoveva ad agio verso la sua, sovrapponendosi. — L’avessi conosciuta, Saudì. Eri troppo piccolo, appena nato. Quanto mi manca. — Saudino taceva il suo vero desiderio e Giulia lo capì, quando non sentì più le sue mani muoversi in un gioco innocente, sui suoi capelli. A Giulia e Saudino, la superfice dello specchio sembrava sterminata, un valle indomabile di vernice bianca, svuotata dalle ruvide pareti della stanza. I loro corpi erano assenti. Su quella superfice si muovevano soltanto le loro teste vivaci, le mani di Saudino, i capelli di Giulia, gli sguardi e i volti di entrambi contratti da una verità che stentava a venire a galla.
Giulia si sorprese a studiare le sue labbra, a fissarle, nello sforzo di dire qualcosa, anche solo una parola o un’espressione che rivelasse a Saudino la verità sulla loro madre, senza rischiare di fargli del male. Dimenticò per un momento la presenza di suo fratello e si concentrò solo su se stessa.
Saudino ricomparve nella superfice dello specchio. Aveva in mano una Barbie, la stringeva forte, in vita, accanto al volto di sua sorella, condannando il tumulto dei capelli di Giulia a spegnersi nel gioco di luci che filtravano dalla finestra e che si assiepavano lungo la chioma fulgida della bambola. — Era bella come questa, la mamma? — Giulia sentì il suo segreto tracimargli dalle labbra, incontenibile, ma face in tempo a fermarsi un attimo prima di vomitargli tutta la verità addosso. Saudino sapeva che Giulia gli nascondeva qualcosa. Il silenzio doveva essere rotto. Della Barbie che teneva in mano ne fece un’arma. Iniziò a battere un tempo tutto suo. Il corpo plasticoso della bambola diventò un metronomo, nei palmi alabastri, da bambino. — Vuoi giocare con me? — Giulia si toccava di continuo un ciuffo di capelli, facendolo pendere sulla bocca e mordendolo aiutandosi solo con le labbra — a cosa giochiamo? — gli biascicò — a sasso, carta, forbice con pegno. Quando si uno dei due vince, taglia un ciuffo di capelli dell’altro —. Giulia, perplessa, guardò la testa di suo fratello: era rada, un prato nero corvino, lucido — ma tu hai i capelli corti — gli rispose. — Puoi tagliarli alla Barbie, se ti va — Giulia disapprovò subito, senza pensarci, ma Saudinò cominciò lo stesso a giocare. — Sasso, carta o forbici, sasso, carta o forbici — le mani dei due fratelli si incrociarono, uno mimando una forbice e l’altro col palmo aperto la carta. Saudino esultò, ritraendosi con tutto il corpo dal volto di sua sorella — allora? Taglio, taglio, taglio — Giulia balzò dalla sedia, con uno scatto fulmineo, per fermare Saudino, che proteggendosi dall’urto di sua sorella, riuscì a fendere la chioma fibrosa della bambola, in un colpo solo, sfigurandola. Giulia, disperata, piangeva, mentre suo fratello continuava a giocare senza fermarsi. — Sasso, carta o forbici, sasso, carta o forbici —. Ormai, forte della vittoria, tagliava, Saudino, tagliava più che poteva sino a quando Giulia non vide nel volto della Barbie il volto di sua madre, — smettila! Smettila! — gli urlò.
Saudino gettò le forbici a terra, tese la bambola verso la finestra minacciando sua sorella — dimmi com’è morta la mamma o la butto via! — Giulia da un punto preciso di quella valle di vernice bianca che pareva indomabile, per i loro sguardi da bambino, si scagliò sul braccio di suo fratello, strappandogli la bambola dalle mani e con tutta la forza che aveva in corpo, la gettò dalla finestra, urlando — Ecco, come è morta nostra madre! —