Mukbang
di Francesco di Gennaro
La parola Mukbang è una crasi tra
“mangiare” e “broadcast” nella lingua
coreana: 먹는 (meokneun) “mangiare” e 방송
(bangsong) “trasmettere”.
Il vento mosse la lampada sulla scrivania e il ragazzino andò a chiudere la finestra di corsa. Domata la corrente tiepida, poté risistemare per bene l’illuminazione che picchiava sul piano. Prese un panno asciutto dalla tasca dei pantaloni e lo sfregò sui bordi umidi di un paio di piatti.
La videocamera interna del computer era pronta a riprendere il set che gli brillava davanti; nitido, senza traccia di ombre, perfetto come una cartolina.
Il giovane ricontrollò un’ultima volta la composizione assicurandosi che l’inquadratura escludesse oggetti impropri. Si sedette vicino al monitor e afferrò il mouse. Un paio di click e spostò il cursore sul tasto REC.
Il quarto video della settimana era in diretta streaming con la giusta velocità di connessione e in perfetto orario, quello del pranzo.
Passarono circa due minuti dall’inizio della registrazione e poco a poco affioravano i primi spettatori. Dietro soprannomi impensabili e altri meno originali si celavano volti di tutte le età. Tra questi c’era quello di Valerio con lo sguardo perplesso e incollato allo schermo. La voglia di studiare gli era passata coi primi languori di stomaco, così se ne stava sul letto col portatile ad aspettare che la pigrizia lo lasciasse libero di alzarsi e cucinare. Che stava osservando? Gli vennero in mente format televisivi scoperti anni fa ma nulla di simile a ciò che aveva davanti: un adolescente Coreano che divorava quantità industriali di cibo.
Piatti di carne, pesce, contorni, tutti all’apparenza ben cucinati, gli sfilavano sotto il naso come una catena di montaggio. Lui ingurgitava e passava veloce alla portata successiva. Su un lato del ripiano erano accantonate stoviglie e contenitori vuoti. Il tutto accompagnato da biascicamenti e rumori di apprezzamento. Ogni tanto si fermava per deglutire qualcosa e anche in questo caso la scelta era ampia: dai frappè ai cocktails alla cioccolata calda. Spesso la scelta della bevanda non si abbinava affatto con la vivanda da smaltire. L’espressione di Valerio oscillava tra il disgusto e l’ammirazione verso quel gesto goliardico. Pensò che il teatrino fosse un atto di grande coraggio o un disperato bisogno di soldi. E di soldi ne avrebbe fatti se avesse continuato così; in dieci minuti il numero degli spettatori continuava a crescere fino al raggiungimento di migliaia di utenze. Il sito era ben sponsorizzato e il video poteva interrompersi da un momento all’altro per mostrare un paio di annunci pubblicitari. Gli affari andavano bene considerando la giovane età del divoratore ma, come lui, tanti altri avevano aperto canali proponendo un format simile se non uguale. Le differenze tra l’uno e l’altro erano prettamente stilistiche: una ragazza aggiungeva intermezzi di cabaret, altre mangiavano seminude o in abiti formali, chi coinvolgeva parenti, amici, partner e altre cose di questo tipo.
*HAI INIZIATO UN VIDEO IN DIRETTA*
«Che diamine guardi?», disse il coinquilino che si era infilato nella stanza senza bussare prima alla porta.
«Me lo chiedo anche io», replicò Valerio «ho aperto un link di un amico. Ti va qualcosa da bere? Vedi sotto la scrivania, c’è il mini frigo.»
Fece spazio all’altro studente affittuario e proseguì indicando il ragazzino sullo schermo.
«Lo pagano per mangiare.»
«Chissà se è un lavoro a tempo pieno», disse il compagno «comunque non tocco niente dal tuo frigobar, mi fa troppo schifo che tieni le lattine vicino agli avanzi di lasagna.» aggiunse.
«Ma ci pensi… Pagare rette universitarie e affitto standosene online. Se non vuoi ingozzarti, puoi giocare in diretta.»
Il coaffittuario notò che c’erano libri sparsi in tutta la stanza. Una pila di libri per terra accanto al divano abbastanza alta da raggiungere il comò.
«Chi ce l’ha il tempo di elemosinare su internet?», disse sorridendo «probabilmente neanche studiano.»
Intanto fuori il cielo iniziava a coprirsi e i piccioni cercavano riparo sotto porticati e finestre delle palazzine per studenti inabitate.
«Be’, sono giovani e faranno sicuramente altro e lontano dagli occhi degli spettatori come impegnarsi per prendere una laurea, innamorarsi oppure pagare le fottute bollette.» Valerio fece una breve pausa adocchiando la macchinetta del caffè.
L’abitudine lo portava a compiere riti calcolati sul secondo. Il suo orologio interno gli suggeriva che era esattamente l’ora del caffè; un paio di minuti per ripulire il filtro e mettere il macinato fresco, aggiungere acqua, accendere il fornello. Un rito che conduceva a un altro rito: lasciava la tazzina vuota coi sedimenti scuri e via sui libri di nuovo.
«Io, ad esempio, da stamattina ho solo studiato. Come tutti gli altri sono rimasto assopito nella mia concentrazione. Non c’è nessuno che mi pagherebbe per farlo. È noioso osservare chi tiene la testa china per ore, non trovi?»
«C’è odore di pioggia nell’aria, me ne torno in camera» sbuffò il compagno, «ho lasciato i panni stesi ad asciugare stamattina.»
«Aspetta, ti preparo un caffè se lo vu…»
Chiuse la porta dietro di se e, in quell’attimo, il ragazzo si rese conto che la faccenda dei panni era una buona scusa per defilarsi. La loro breve conversazione era stata sporcata dalla parola “studio”. Tanto nobile quanto ripugnante nell’ora dedicata alla pausa.
Spense il computer e tolse le briciole del pranzo cadute sugli appunti e sulla scrivania. Raccolse ai piedi di quest’ultima un grosso tomo dalla copertina logora che aveva acquistato da un ragazzo qualche mese prima.
*DODICI NUOVI FOLLOWERS*
Finì prima di quanto si aspettasse, aveva letto e ripetuto per bene il capitolo compreso tra un evidenziatore e la carta di una gomma da masticare. Avanzava un po’ di tempo. Si vestì in fretta e non trovando il pettine sistemò i capelli con le mani, poi scese.
L’aria era fresca e per le strade i commercianti restavano dietro le loro vetrine a controllare l’inventario. Alcuni maneggiavano i lucchetti delle saracinesche, l’ultimo rito della loro giornata.
Non sono stanco, non sono stanco, ripeté in mente. Ormai l’atto era compiuto, era fuori casa ma le facce sfinite dei negozianti gli suggerivano di tornare indietro. Non sono stanco.
Girò per un vicoletto pieno di gerani che spuntavano dalle ringhiere di un pianerottolo, poi imboccò una stradina e si ritrovò su Via Piscio, così ribattezzata per il tanfo che emanava ogni sabato sera. Giunse nei pressi della libreria comunale che ospitava un piccolo angolo ristoro dove era solito scambiare due parole con i vecchi seduti ai tavolini del bar.
Il suo amico rugoso distendeva come sempre i piedi sulla sedia dinanzi a lui e, quando gli passavano intorno allegri coetanei in cerca di un posto, lui alzava il mento e con la mano faceva “Sciò sciò”.
Non appena mise a fuoco, con le poche diottrie che gli rimanevano, la sagoma di un giovane che gli veniva incontro, subito ritrasse i piedi e con la punta del bastone spostò la sedia per farlo accomodare.
Questa volta fu Valerio con un cenno a dirgli che non si sarebbe fermato. Lo salutò con garbo e disse: «Vecchio, ho da decidere ancora cosa mangiare per cena e mi chiudono tutti se non mi do una mossa.»
«Ti inviterei volentieri da me se il pasto non fosse preparato dalla mensa di un ospizio di merda», rispose l’anziano mostrando la dentiera.
Lo studente sorrise a sua volta poi cambiò espressione toccandosi la fronte.
«Che c’è? Hai studiato molto anche oggi, non è così? Ai miei tempi non si studiava così tanto.»
«Ai tuoi tempi non si facevano un sacco di cose a cominciare dal sesso prematrimoniale.»
«Per l’amor del cielo…Ah ma se ora avessi la tua età, cosa non farei.»
«Ora ti saluto di nuovo ma domani sarò felice di offrirti un caffè.»
*SEDICIMILA VISUALIZZAZIONI*
Alle undici di sera passate la vaschetta di merluzzo surgelato annegava sul ripiano del cucinotto e le gocce cadevano poco alla volta dalle pieghe della busta della spesa. Poco più in basso, il forno lasciato a scaldare a centotrenta gradi emetteva una luce arancione fioca e nel buio la ventilazione sembrava lamentarsi della griglia vuota.
Lo studente rimaneva disteso dall’altra parte della parete a cibarsi gli occhi di gente che mangiava online. Abbassò il volume delle casse interne ricordandosi che il coinquilino si era lamentato la sera prima per lo stesso motivo. Prima di staccare, lesse un paio di commeFnti sotto il video tradotti automaticamente dal russo e dal francese e provò un senso di impotenza nell’aver studiato solo l’inglese. Fece due colpi di tosse. Si rigirò nelle lenzuola come se volesse ricostruire un guscio che lo proteggesse dalle sue carenze nelle lingue straniere. Era ugualmente a disagio e senza riparo come il merluzzo crudo rimasto nella plastica ormai spogliato del ghiaccio.
Perché non lo faccio anch’io? Un video a settimana non mi costa nulla. Se domani vedrò il vecchio potrei chiedergli di mangiare qualcosa con me e registrare. È un format diverso… forse. Valerio rimuginava spostandosi nel suo spazio minuscolo.
Tastò il materasso in cerca del cuscino. L’afferrò con fermezza e ci affondò rapido la testa come una bomba a pochi metri dal suolo e poi “BOOOOM”, riposo.
Fu buffo che al mattino, mentre cercava nel cassetto un paio di mutande pulite, trovò sul fondo una vecchia videocamera regalatagli dai genitori qualche compleanno fa.
*CARICAMENTO VIDEO IN CORSO*