Piccoli strappi senza importanza nel tessuto spazio temporale
di Tristan Marsili
Louis fa una pausa. Apre la bocca, inspira.
«Vi chiedo solo questo».
La metropolitana continua a correre, il vagone ondeggia, immagini sfocate e scure si susseguono oltre i finestrini.
Louis dà una rapida occhiata ai passeggeri più vicini: la ragazza in abito da sera che ha fatto una smorfia con la bocca appena lui ha iniziato a parlare, l’uomo che si è nascosto dietro il giornale, i gemellini che hanno continuato a dormire nel passeggino cullati dal movimento del treno. Abbassa lo sguardo a terra, prende fiato di nuovo.
«Vi chiedo solo questo», sussurra.
«Vi chiedo di privarvi di un quarto di dollaro per donarlo a me. Per voi sarà ben poca cosa, ma per me avrà un valore altissimo, credetemi. Un unico misero quarto di dollaro.»
Scandisce le parole chiare e forti, senza paura nella voce. Dopo una pausa studiata, aggiunge: «Grazie!».
Rimane ancora per un momento con sguardo a terra, un attimo che gli sembra durare una vita.
Se ogni giorno tutti gli ospiti della lunga tratta sotterranea che attraversa la città di New York mi regalassero un quarto di dollaro, aveva pensato Louis la sera prima, considerati i 6 milioni di persone che ogni giorno prendono la metropolitana… E poniamo che ognuna di queste persone mi dia un quarto di dollaro un giorno della settimana… Ma facciamo anche una sola volta al mese… In breve tempo potrei… Cosa vuoi che sia per loro un quarto di dollaro…
Così aveva pensato Louis la sera prima, con gli occhi beffardi che luccicavano, sfogliando la pagine di un giornale che aveva trovato rovistando in un cassonetto e che gli sarebbe servito per imbottirsi il letto di cartone quella notte. Non si era fermato a pensare che, comunque, non avrebbe mai potuto intercettare tutti quei milioni di persone. Era andato troppo in là con i calcoli. Eppure, era la sua speranza.
Si aggiusta sulle spalle il cappotto, si dà una leggera pacca sul petto, afferra il cappello e lo porge davanti a sé, tenendo il braccio disteso ma non troppo. Louis passa così davanti ai sedili dei passeggeri, e anche davanti alle persone in piedi. Con risolutezza, sfila davanti alla ragazza in abito da sera che ha fatto una smorfia appena lui ha iniziato a parlare; sfiora l’uomo che si è nascosto dietro al giornale e che ora, fingendo di non vederlo, ha appena calzato una bombetta; oltrepassa i gemellini che, cullati dal movimento del treno, continuano a dormire nel passeggino; passa davanti a un giovane dottorando in Culture Native dell’America Centrale che ha fatto tanta strada per arrivare fin lì dall’Italia, e poi a una signora che non bada ad altro che a reggersi ai mancorrenti, temendo che i suoi mezzi tacchi ortopedici possano non reggerla. Passa davanti a tutti, Louis, e arriva in fondo al vagone, dove rimane immobile per un po’, sguardo fisso sul vetro del finestrino posteriore, dove non vede che il suo riflesso.
Infine, quando una voce metallica annuncia l’avvicinarsi della prossima fermata, torna indietro, fino a dare le spalle a tutti i passeggeri. Inspira profondamente, si rimette il cappello vuoto e, lentamente, si volta. Louis si volta e li vede. Lì vede lì, davanti a sé.
Lara è una donna ancora affascinante, nonostante siano passati diversi anni. Veste sempre abiti eleganti che le coprono le gambe ma che lasciano scoperta la fessura del seno. Ha una grande azienda da mandare avanti e, in questo lavoro, l’immagine è tutto.
Non può permettersi distrazioni, né per perdersi dietro al marito, che l’ha abbandonata per la sua segretaria – un ignobile cliché, pensa lei –, né per perdersi dietro al figlio, che ha abbandonato l’università per fare il musicista di strada in giro per il mondo e vivere di elemosina.
Non è così che dovevano andare le cose, pensa Lara. Eppure, è così che le cose sono adesso.
È la quinta volta da quando è iniziata la scuola che il padre di Brad e Jonathan viene convocato dai professori. C’è da non crederci. Cos’hanno fatto stavolta?
«Ormai sono diventati intrattabili, insensibili alle regole», spiega l’uomo all’insegnante. «A casa si chiudono in camera con lo stereo a tutto volume ed è impossibile parlarci.»
C’è anche da dire che non è colpa loro, ma di quella puttana della madre che è sparita lasciandolo da solo con due gemelli a cui badare.
Cos’hanno fatto stavolta? Hanno frugato nella borsa della professoressa e quindi nel portafoglio, da cui hanno sottratto un quarto di dollaro.
Il padre ride: almeno l’avessero fatto per un bottino più consistente…
«Ma non c’è da temere», assicura all’insegnante, tornando subito serio.
Quella sera li avrebbe messi in riga una volta per tutte.
A Raffaello piace definirsi un uomo semplice. Quando è arrivato in questa terra piena di speranze pensava solo a godersi il presente. Ora invece dovrà avere lo sguardo lungo, programmare con anticipo le lezioni, gli incontri con i suoi studenti, con i colleghi e anche con gli editori. Una cattedra in Culture Native dell’America Centrale non è uno scherzo, dice alla ragazza che cammina accanto a lui a Central Park. Passeggiano mano nella mano fino al laghetto che ha visto sbocciare il loro amore. Allora Raffaello infila una mano in tasca e afferra un quarto di dollaro. Si girano entrambi, spalle al laghetto, e l’uomo getta la moneta alle spalle: «Che ci porti fortuna!»
Quella di Margaret è una tomba sobria, come quelle vicine, una lapide di pietra chiara con un breve epitaffio in eleganti lettere nere. Tutt’intorno c’è un’erba così soffice che vi si potrebbe camminare scalzi, sognando di galleggiare. Ed è quello che fa la sua nipotina ora: corre, salta, fa capriole, incurante che quello sia uno dei terreni più cari e lussuosi dove essere seppelliti in tutta la città di New York. La bambina sfiora le lettere in rilievo sulla lapide e cerca di scandirne il suono, ma ancora non sa leggere bene. Poi prende dai capelli il fiore che, quella mattina, la mamma le ha permesso di acquistare alla bancarella con un quarto di dollaro, direttamente dai suoi risparmi. Lo deposita davanti alla tomba di Margaret. È un po’ sgualcito, ma lei lo trova bellissimo.
Winston ha iniziato a indossare la bombetta quando aveva 35 anni, e non ha mai smesso da allora. Ora di anni ne ha un po’ di più e la bombetta è praticamente tutto ciò che gli rimane. A essere sinceri, non è tanto il fatto che sia troppo vecchio per trovare un altro lavoro, è semplicemente che non sa fare nient’altro a parte leggere un giornale. Gli sembra di aver trascorso la sua vita giocando e, in effetti, è ciò che ha fatto. Ha giocato in borsa per tutta la vita, e si è giocato tutto, fino all’ultima moneta. No, non proprio l’ultima moneta. Si fruga nelle tasche: toh, un quarto di dollaro.
Winston scoppia in un riso amaro, mentre sente le vibrazioni della metropolitana che passa sotto di lui. Cosa diavolo potrà mai farsene di un misero quarto di dollaro.