In altre parole di Eva Luna Mascolino
Istantanee (Marcel Schwob)
Ci sono, in rue de la Roquette, due siepi di luci e, sotto, due strisce di luce perse nella nebbia, doppia illuminazione per una salita sanguinosa. La nebbia rossa si aggrappa ai lampioni e si diffonde in un alone. Un piazzale si apre in mezzo agli uomini, delimitato dalle figure nere dei sergenti della città; più lontano dagli alberi magri, una porta illuminata in modo sinistro, dove si scorge un arco; sullo sfondo, finestre velate di vapore, con candele accese – e ancora gente, che si precipita in avanti sotto il calpestio dei cavalli. Davanti alla porta un lampione a gas, in fondo al piazzale, vicino a cavalieri smontati, alla testa dei loro cavalli, avvolti nei cappotti; e la fiamma illumina vagamente quelli che sembrano essere due pilastri rotondi di rame rosso, sormontati da una sfera luminosa, con sotto una pallida macchia.
Quest’ultima si trova in un rettangolo di barriere su cui si appoggiano delle file di uomini; e, vicino al macchinario, si agitano delle ombre. Due strani furgoni, trafitti da spioncini e finestre quadrate, l’uno di fronte all’altro di traverso; l’uno ha portato la lama, l’altro porterà l’uomo. Poi le braccia alzate, i punti rossi dei sigari, colletti di pelliccia sparsi qua e là. Il tutto immerso in una notte umida.
Gradualmente si diffonde una luce grigia che cade dal cielo, disegna una linea di creste sui tetti, delle figure pallide sulle persone, taglia le barriere, toglie i gendarmi incollati ai loro cavalli come ombre, mescola il rilievo dei furgoni, scava le rientranze porte, fa con i pilastri di rame ampie scanalature, con la macchia pallida uno strumento triangolare lucido, ricoperto da un blocco scuro cucito con tre punte bianche, con la sfera lucida una puleggia da cui cade una corda, crea intorno a lei dei montanti sanguinolenti, mostra vicino al suolo una tavola obliqua e due mezzelune separate. I gendarmi montano a cavallo. I sergenti della città si stringono gli uni agli altri. Si vedono vagare in giro i pompon rossi delle guardie municipali.
«Mano alle spade!». Dai raggi bianchi zampilla un tintinnio di foderi, la porta si apre sui cardini e l’uomo appare livido tra due punti neri. Testa calva, lucida, viso rasato, angoli della bocca incavati come quelli dei vecchi della casa centrale, la camicia con un largo taglio, una giacca marrone sulle spalle, cammina con coraggio; e i suoi occhi vivaci, preoccupati e indagatori si posano tutti i volti; la sua figura si rivolge a tutte le figure con un movimento composito che sembra fatto di mille tremori. Le sue labbra sono irrequiete; qualcuno dice che borbottino: «La ghigliottina! la ghigliottina!». Quindi, con la testa china, gli occhi penetranti fissi sulla linea della bascula, cammina come una bestia che tira l’aratro. Improvvisamente colpisce la pedana, e dalla sua gola si alza una voce sottile e acida, come un tintinnio incrinato, con una nota crescente e acuta sulla parola assassino, ripetuta due volte.
Un battito sordo; una manica del cappotto con il segno bianco della mano sul montante sinistro della ghigliottina; una scossa confusa; un getto di persone verso la fontana insanguinata che deve schizzare; il cestino marrone lucido gettato in uno dei furgoni; tutto ciò a trenta secondi dalla porta della prigione.
E, in rue de la Roquette, correndo a tutta velocità, l’auto di padre Faure in testa, poi due gendarmi, il furgone cade, tre gendarmi in coda; sui marciapiedi sono ammassate le cattive figure che si rivolgono verso la cavalcata, con delle ragazze che ghignano tra i capelli. I tre gendarmi, di ritorno dalla ghigliottina, trotterellano verso l’avenue de Choisy, il cappello inclinato in avanti, lasciando volare nel vento il lembo del mantello con i suoi risvolti rossi – fino al campo di rape, nel nuovo cimitero di Ivry. Una fossa oblunga, scavata nell’argilla, mucchi di fango giallo e appiccicoso, gettato per strada, sbadiglia tra le zizzanie verdi: sulla cresta del muro, una gamba qua e una là, una fila di esseri umani, con il cappello in testa, aspetta il cestino.
Il furgone si ferma; viene sollevato il carro funebre di vimini marrone; un uomo senza testa viene messo in una scatola di legno bianca, le mani legate, pallide come cera trasparente, con il lato interno rivolto verso l’esterno; si aggiusta una testa, la figura viene alzata verso la luce, esangue, con gli occhi chiusi, dei lividi neri, un grumo scuro sul naso e un altro sul mento. Questa testa è piantata contro una schiena, su cui si aprono delle mani; e, quando si cerca la punta dei piedi, si trovano delle scarpe. Lì sopra ci sono delle pozzanghere di segatura.
Degli uomini inchiodano sulla scatola un coperchio di legno bianco dagli spigoli vivi; provano orrore nel ricordare le scatole di biscotti, e su quell’albero si leggono delle lettere nere macchiate: prezzo, 8 franchi. Ha il torace già nella fossa, gli si butta dentro altra argilla; è finita.
L’assistente del boia andrà a bere una bottiglia di vino bianco lì di fronte; c’è un giovane che ha gli occhi di velluto, le mani rosse, un’aria fredda e modesta, e che ha montato la ghigliottina. Ci sono i conducenti del furgone, che non si stupiscono più di niente. C’è un uomo grasso, con un dolman di astrakan di lana nera, che solleva la testa delle persone decapitate da ventisei anni; e quando gli viene chiesto se, una volta scesa la lama, ci sia vita in quelle membra, ci sia qualche percezione dentro quelle teste, arriccia con un dito la busta blu di un pacchetto di biscotti e dice: «Non lo so; non ho mai visto muoversi niente: quando fa molto freddo la pelle della testa, il cuoio capelluto, ondeggia così…».
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Eva Luna Mascolino ha 24 anni e si è specializzata in Traduzione alla Scuola per Traduttori e Interpreti di Trieste nel 2018, concludendo gli studi con il massimo dei voti. Ora è una traduttrice e interprete freelance, che coltiva il sogno di portare (o riportare) in Italia opere letterarie da tutte le lingue che conosce. Ogni mese tradurrà per noi un racconto dall’inglese, dal francese, dallo spagnolo o dal russo, accompagnandoci alla scoperta di culture, periodi storici e generi sempre diversi fra loro.