Carmencita (questione di punti di vista)
di Diego Cabras
Ore 06:00
È ancora buio fuori, fa anche freddo visto che ieri sera nessuno ha chiuso la finestra della cucina; io non ho dormito bene, mi sono sentita pesante tutta la notte perché nel casino che c’è stato dopo cena nessuno mi ha svuotata né lavata. Tutto intorno a me c’è solo silenzio, ogni cosa è addormentata.
All’improvviso arriva Fabrizio, lo sento camminare a piedi nudi in corridoio; è strano perché di solito non si alza così presto. Forse deve andare fuori città per lavoro, oppure anche lui ha dormito male. D’altronde ieri sera se ne sono dette di tutti i colori, chissà di che umore sarà stamani… Speriamo bene, perché mi piace tanto quando fischietta di primo mattino!
Lo sento che va in bagno, ora tira l’acqua e poi viene da me; eccolo!
Non sorride ma forse è solo ancora mezzo addormentato; ora mi apre e mi fa girare la testa come una trottola, mi diverto sempre un sacco, è come se iniziassimo la giornata danzando, forse il momento preferito in tutto il giorno. Adesso mi lava bene e l’acqua fresca mi sveglia definitivamente, che bellezza!
Finalmente mi sento a posto, Fabrizio ha finito di prepararmi e l’aroma del caffè fresco mi pervade tutta… Esiste un modo migliore al mondo per risvegliarsi?
«Quella stronza…».
Direi che Fabrizio è ancora arrabbiato, me lo aspettavo, ma me ne dispiaccio un po’ lo stesso; lo vedo che mette lo zucchero nelle tazzine per ingannare l’attesa. Ne ha preparate due, quindi, nonostante tutto, anche stavolta l’ostacolo è superabile; ieri sera ad un certo punto ho creduto che non ci fosse più niente da dire tra quei due.
Mi metto a borbottare per attirare la sua attenzione, non ho ancora finito ma voglio provare a distrarlo un po’; in effetti si alza dalla sedia e viene da me, mi guarda con aria dubbiosa, poi abbassa la fiamma mettendosi in paziente attesa, lui sa cosa bisogna fare.
Fatto! Ora mi sento pronta.
Spegne il fuoco e mi prende in mano, mi porta fino al tavolo e mi inclina versando nelle tazzine il mio dono quotidiano per loro. Finita l’operazione, mi ripone sul fornello ormai spento e mi guarda con affetto. In effetti, credo di essere l’unica a fare qualcosa col cuore per loro ogni mattina. Oddio, per loro… Casomai per lui!
Cecilia non è che mi sia mai piaciuta un granchè, come d’altronde, prima di lei, non mi piaceva Sara. L’unica con cui andavo d’accordo era Alessia perché mi trattava con cura, come se fossi stata sua; queste sciacquette non hanno la minima idea di come vada lavata, curata o preparata una caffettiera per farla felice e farla vivere a lungo. Con Fabrizio è diverso, io e lui stiamo insieme da più di dieci anni, direi che sono stata l’unico punto fermo della sua vita da adulto. Mi trovò sullo scaffale di un vecchio negozio di elettrodomestici, stavo un po’ nascosta dietro tutte quelle moka nuove, coloratissime e di design; io ero un modello un po’ vecchiotto e démodé ma lui non ebbe il minimo dubbio, la sua passione per il vintage lo fece innamorare di me a prima vista. Da allora non ci siamo mai separati: abbiamo fatto insieme quel viaggio in Perù arrampicandoci sulle Ande, siamo stati via due mesi e io mi divertivo tantissimo lassù su quegli altopiani ad altezze vertiginose, dove mi bastava meno di un minuto per fargli avere un caffè buonissimo; non ci siamo separati nemmeno quando è andato a fare quel master a Milano né quando ha deciso di cambiare vita e trasferirsi in Egitto. Ora siamo tornati in Italia già da un po’… Ma io sono sempre qui accanto a lui.
Lo guardo con affetto mentre gira il cucchiaino nella tazzina e sorseggia piano il suo caffè, lo conosco talmente bene che vedo già il suo umore che cambia e migliora un sorso alla volta. Adesso è certamente più soddisfatto e disponibile a fare pace, quindi prende la seconda tazzina e si dirige verso la camera da letto per portarlo a Cecilia… Non so quanti uomini così siano rimasti al mondo!
Il mio primo impegno della giornata è concluso, adesso posso dormicchiare un po’, soddisfatta.
Ore 09:35
La luce adesso inonda la cucina, mi sono svegliata da qualche minuto e mi guardo intorno: finora sono l’unica ad aver fatto qualcosa, ogni cosa intorno a me è inerte e lo rimarrà ancora per un po’ di ore.
Cecilia si sveglia finalmente, certo deve essere bello non aver nulla da fare tutto il giorno; Fabrizio è fuori a lavorare da quasi due ore e lei si presenta solo adesso, come se fosse la padrona di casa!
Arriva in cucina in slip e reggiseno, mi guarda rendendosi conto che non sono stata smontata dopo il lavoro di stamattina presto e sbuffa: «Uff, che palle!».
Fabrizio stamani è uscito prestissimo e quindi non ha avuto il tempo di aspettare che mi raffreddassi per smontarmi e lavarmi, dunque mi ha lasciata così, nelle mani di questa incapace. Mi prende in mano e fa tutta una serie di versi strani cercando di aprirmi; sono stata chiusa per bene e ora lei non riesce a svitarmi.
Finalmente ce l’ha fatta, estrae il filtro gettando il caffè vecchio nel lavandino anzichè nella spazzatura e poi si limita a sciacquare appena la guarnizione prima di riempirmi di nuovo; credo che sappia benissimo quanto mi dia fastidio non essere pulita a dovere, tutte quelle croste di caffè vecchio non mi permettono di fare un lavoro come si deve, né di dare un buon aroma. Visto che questo è il mio unico lavoro, ci tengo particolarmente a dimostrarmi all’altezza nonostante l’età.
Come volevasi dimostrare, non solo mi ha lasciata sporca e mi ha riempito con poca polvere, ma non mi ha neanche stretta come Dio comanda, quindi ne approfitto per farle uno scherzetto: aspetto che mi metta sul fuoco e vada in bagno a cambiarsi per cominciare a far uscire l’acqua dalla filettatura, poi appena il caffè sale lo faccio borbottare il più possibile in modo da sporcare tutto il piano cottura. Lo ammetto, ogni tanto sono un po’ cattiva!
La sento tornare di corsa e accorgersi del macello che ho (ha) combinato.
«Che casino… stupida caffettiera!».
Ecco, se prima potevo nutrire un po’ di benevolenza nei suoi confronti, adesso se l’è giocata tutta; spero che il caffè sia cattivissimo!
Guardo il tostapane e il microonde che sghignazzano e mi godo il mio trionfo, sono la più anziana qua dentro e ci tengo in particolar modo a far capire a tutti chi è la vera padrona della cucina.
Cecilia si versa quel che è rimasto del liquido bollente nella tazzina e lo beve restando in piedi, un’altra cosa che non andrebbe mai fatta, poi però decide di riconciliarsi con me svuotandomi e pulendomi per bene. Ora, smontata e messa sullo scolapiatti a sgocciolare, la guardo già con maggiore bonarietà, mentre si veste ed esce per la sua corsa mattutina; non è poi quel mostro di ragazza che sembra e, d’altronde, ha solo ventisei anni, che pretendo?
Ore 10: 45
Eccola tornata dalla corsa; sorrido cercando di mettermi un po’ in mostra, non si sa mai che decida di usarmi di nuovo, ma niente, come mi aspettavo si dirige prima verso il frigo e poi verso l’estrattore che mi guarda trionfante: io sto qui in pezzi sopra il lavello, mentre lui si agita tutto per spremere arance e carote come se non ci fosse un domani. Trovo certe dimostrazioni davvero di cattivo gusto; che ci sarà poi di energetico in un succo di frutta lo sa solo Dio, vuoi mettere un bel caffè? Appena finito di buttar giù quel beverone, si spoglia e gira per casa nuda come mamma l’ha fatta prima di infilarsi sotto la doccia, mentre io guardo con un certo disprezzo l’estrattore rimasto lì tutto sudicio e pieno di grumi, abbandonato come un cassonetto dell’umido in miniatura. Nel momento esatto in cui Cecilia si chiude in bagno e l’acqua comincia a scorrere, il cellulare che ha lasciato sul tavolo inizia a suonare: ci guarda a turno con una certa aria di urgenza, non fa che vibrare nella speranza che qualcuno lo prenda in mano e risponda, ma niente. Ci riprova almeno altre due volte ma lei è ancora sotto la doccia, non può sentirlo e nessuno di noi qui in cucina è in grado di aiutarlo, poveretto… Alla fine, esausto, rinuncia.
Dopo un bel po’ Cecilia esce finalmente dal bagno avvolta in un asciugamano grande come tutto il Molise e con un turbante in testa; ha l’aria rilassata e felice, finché non prende lo smartphone in mano: «Oddio, la Bibi, chissà che voleva… Mannaggia». Armeggia un po’ col cellulare che finalmente può assumere un’aria soddisfatta: «Pronto Bibi? Ciao tesoro… No, ero in doccia e non ti ho sentita. Dimmi tutto… Ma nooo, che ci vai a fare lì? Vieni qui da me che ti aspetto. A dopo tesoro!».
Cecilia mette giù e corre a vestirsi, dopo neanche venti minuti suonano alla porta ed arriva questa Bibi; entra in cucina e porta come una ventata di allegria vestita con una gonna da zingara, una camicetta a fiori e una miriade di bracciali e braccialetti che tintinnano in continuazione. Anche il fatto che sia più grande di Cecilia, direi sui quarantacinque anni, me la rende immediatamente più simpatica, come per un’identificazione tra signore un po’ ‘stagionate’.
Le due si siedono sugli sgabelli del bancone e iniziano a chiacchierare fitto fitto di una qualche loro amica che avrebbe fatto non so cosa a non so chi quando la più giovane si interrompe: «Scusa tesoro, non ti ho nemmeno offerto qualcosa. Lo vuoi un centrifugato di arancia e carota?».
«Neanche morta!».
Sempre più simpatica.
«Un caffè allora?»
«Un caffè sì, lo prendo volentieri».
Mi ringalluzzisco subito, quella donna mi piace da quando ha messo piede in casa e non vedo l’ora di farle il mio caffè migliore; guardo speranzosa Cecilia che si alza e… Si dirige verso la macchinetta dell’espresso. Che delusione!
La accende e poi torna dall’amica in attesa che sia pronta per poterci infilare dentro quelle stupide capsule. Certo, da una così non è che mi potessi aspettare nient’altro, ma ci rimango male lo stesso. Guardare quella macchina tutta tronfia, che ci mette un’ora per scaldare l’acqua a dovere solo per ottenere della brodaglia mi fa male al cuore… Se ci fosse stato Fabrizio, lui avrebbe fatto una bella moka forte, poco ma sicuro.
Sì, ci son rimasta proprio male e mi sembra che tutti gli elettrodomestici mi guardino come a prendermi in giro, come a dirmi: «Ha preferito lei a te, ah ah ah!».
Umiliata, chiudo gli occhi e tappo le orecchie facendo finta di dormire nuovamente.
Ore 13:30
Eccoci, è quasi ora di pranzo, Bibi non c’è più e la sciacquetta sta preparando qualcosa di macrobiotico e sicuramente immangiabile in attesa che Fabrizio torni dal lavoro, è l’ora di svegliarsi aspettando il mio momento di darmi da fare. I fornelli, il microonde e il Minipimer hanno il loro effimero momento di gloria, ma io so di essere l’unica chiamata a risollevare lo spirito degli abitanti di una casa diverse volte nell’arco della stessa giornata.
Sento le chiavi che girano nella porta:
«Ciao amore, sono tornato!». Dunque è nuovamente di buonumore. «Uff, che giornata! Ho corso come un pazzo per tutta la mattina. Che c’è di buono?».
«Ti ho fatto il tofu con i funghi shiitake e i germogli di soia, che so che ti piacciono».
Fabrizio sorride e annuisce e io non posso che ammirare la sua forza d’animo; ben mi ricordo quando, dopo le serate fuori coi suoi amici, arrivavano tutti a casa ubriachi (magari anche un po’ fumati) a prepararsi una spaghettata aglio, olio e peperoncino all’una di notte, che veniva seguita regolarmente dal mio fortissimo caffè anti-sbronza. Quelle sì che erano cene… Ricordo che già una decina di anni fa qualcuno dei suoi amici lo prendeva bonariamente in giro a causa mia: «Nooo, ma quella è Carmencita, la caffettiera di Carosello, ce l’aveva la mia nonna quando ero piccolo. Dove l’hai trovato quel reperto storico? Sei sicuro che non esploda?».
Ma lui mi ha sempre difesa: «Hey, guarda che come fa il caffè buono questa qui non lo fa nessuno, io non me ne separo mai, me la sono portata dietro in ogni parte del mondo».
Lo so di essere vecchia, mica sono stupida, sono stata disegnata e creata più di cinquant’anni fa; nel mondo di oggi, in cui tutto cambia ad una velocità incredibile, sono una specie di dinosauro. E proprio per questo non posso che essere affezionata e profondamente grata a questo ragazzo – lo so, ormai è un uomo ma per me resterà sempre un ragazzo – che ha deciso di legarsi indissolubilmente a una vecchiona come me.
Attendo paziente che finiscano di mangiare quella schifezza, anche la padelle stanno facendo delle boccacce disgustate, e arrivi il mio momento:
«Brava, era proprio buono».
Bugiardo.
«Ce lo facciamo un caffettino ora?».
Evvai!
«Ok, accendo la macchina dell’espresso».
Orrore. Non permetterai mica un simile affronto, vero?
«No, tranquilla, faccio io una moka, che mi piace di più. Ci metto solo un minuto».
Ecco, ora si ragiona. Per un momento ho avuto paura. Con la coda dell’occhio vedo quella stupida macchinetta di design che mi squadra con odio e le faccio una linguaccia.
Mi prende in mano (che belle mani forti che ha), mi riempie il serbatoio con l’acqua minerale e non con quella del rubinetto piena di calcare come fa sempre Cecilia, riempie il filtro con la polvere di caffè pressandolo bene in modo che venga bello cremoso e infine mi stringe come Dio comanda per far sì che durante la risalita del liquido non ci sia nessun calo di pressione che pregiudichi la totale fuoriuscita del caffè; dulcis in fundo, mi mette sul fuoco a fiamma media e non al massimo, in modo che salga lentamente e senza bollire. In definitiva fa di tutto per mettermi in grado di lavorare al meglio delle mie possibilità, e io di questo lo ringrazio ogni giorno.
In queste condizioni ci metto due minuti per tirar fuori un prodotto di primissimo ordine, mi permetto anche un leggero borbottìo (senza schizzi) per avvertire che sono pronta e perché comunque mette sempre allegria. Lo guardo con interesse mentre versa il caffè nelle tazzine e gira lo zucchero; nonostante i tanti anni passati insieme, questo per me è sempre un momento di una certa tensione.
«Aaahhh… questo sì che è un caffè!».
Ecco, adesso posso ritenermi soddisfatta; mi guardo intorno, un po’ tronfia forse, per vedere se qualcun altro degli abitanti della cucina ha ancora qualche dubbio su chi è che comanda qui.
Lo guardo uscire di casa per tornare al lavoro con un po’ di rimpianto, mi aspetta un altro pomeriggio con quella lì.
Ore 18:15
Sono sul fornello dall’ora di pranzo, Cecilia è uscita di casa subito dopo Fabrizio e non è ancora tornata, nel lavello ci sono i piatti che mi guardano sconsolati in mezzo a quell’acqua torbida in attesa di qualcuno che li salvi. All’improvviso si sentono le chiavi nella porta e finalmente possiamo sperare che la ragazza sia tornata a casa e ci lavi; invece è Fabrizio che evidentemente è uscito un po’ prima dall’ufficio.
«Ceci? Amore?».
Chiama un paio di volte ma lei ovviamente non c’è; arriva in cucina e vede che ancora c’è la tovaglia sulla tavola e tutte le stoviglie da lavare, per non parlare della sottoscritta:
«Ma cazzo! È possibile? Non ha niente da fare tutto il giorno e finisce che i piatti li devo lavare io!».
Si toglie la giacca, arrotola le maniche della camicia e si mette al lavoro: prima i piatti, poi bicchieri e posate, infine passa a me; mentre sta grattando via il caffè vecchio dalla guarnizione con una forchetta, stando bene attento a non rovinare la gomma, rientra la sciacquetta tutta allegra.
«Ciao amore».
Stai attenta bimba, ché secondo me adesso è nervoso.
«Dov’eri? Qualcosa di così urgente da lasciare tutto sporco nel lavello?».
«Eh, avevo appuntamento con Sara, dovevamo andare a cercarle un top per la serata di domani.”
«Vabbè, ma cazzo, tra poco più di un’ora arrivano Marco e Giulia. L’ho incontrato oggi in riunione e siccome dobbiamo finire di discutere alcune cose l’ho invitato a cena con la fidanzata».
«Ma no, ero già d’accordo con Sara e Mirko che ci saremmo visti da Momoyama per mangiare giapponese!».
«Disdici, io Marco devo vederlo per parlare di lavoro e poi l’ho invitato a casa. Che faccio, gli dico che non li voglio più qui?».
«Ma porca miseria, perché dobbiamo disdire proprio il mio di appuntamento?».
«Te l’ho detto, perché il mio è di lavoro e quindi più importante».
«Questa me la paghi, non ti è bastato tutto quello che mi hai combinato ieri sera? Eh?».
«Anche troppo, guarda. Però stasera è davvero importante, ti prego».
«Ok, chiamo Sara. Però che palle!».
Si baciano come per fare pace e a me un po’ dispiace perché Cecilia in effetti mi sta antipatica, però contemporaneamente sono felice per Fabrizio che l’ha spuntata.
«Stasera cucino io, ci vuole una bella carbonara; se servo a Marco il tofu prima mi ride in faccia e poi me lo tira fuori dalla finestra».
«Carboidrati e uova? Gesummaria!».
«Se vuoi per te faccio un’insalata».
«Meglio, va’. È anche per questo che ti amo!».
Altro bacio, questa volta allegro e in punta di piedi.
Ore 23:05
Comincia ad essere tardi, la cena è finita e sono tutti a tavola che parlano e ridono; è comparsa anche una bottiglia di amaro, per cui dovremmo essere arrivati in fondo. Sono stanca, non ho più l’età per far così tardi la sera, però devo tenermi pronta perché da un momento all’altro potrei essere chiamata in causa. I piatti sono ancora sulla tavola mentre la pentola è sui fornelli, tutta sporca e anche lei stanca. Via, devo tirarmi su; se conosco i miei polli, tra poco verrà offerto un giro di caffè:
«E allora Marco, lo vuoi un caffettino per concludere?».
Eccoci.
«Mah, mi andrebbe in realtà ma non so se sia il caso, mi sa che comincio ad invecchiare, se bevo il caffè la sera tardi poi faccio fatica a dormire».
Sono un po’ basita, Marco non è la prima volta che viene a cena, ormai lo conosco, e non ha mai rinunciato a bersi una tazzina dopo cena; da un lato mi dispiace perché amo rendermi utile, dall’altro quasi quasi sono contenta perché mi si stanno proprio chiudendo gli occhi. Mi faccio forza in attesa di un verdetto finale.
«Beh, se hai un decaffeinato però lo bevo volentieri!».
«Certo che ce l’ho! Lo tengo per i vecchietti come te».
E ti pareva. Decaffeinato poi… puah!
Fabrizio si alza, mi prepara ed io mi sottopongo a questa umiliazione con spirito di servizio, anche se noto che la macchinetta dell’espresso mi guarda ridendo sotto i baffi. Sa benissimo quanto odio il decaffeinato.
Appena il caffè sale borbotto un po’ per avvertire, ma di malavoglia, con un suono volutamente sgradevole; Fabrizio viene da me e mi fa versare il contenuto nelle tazzine, sorride ma io so che sotto sotto la pensa come me su questa brodaglia che sta servendo… Sa che mi merito di meglio.
Finalmente la cena è finita, gli ospiti salutano e se ne vanno in buon ordine mentre Cecilia e Fabrizio tornano lentamente in cucina con l’aria un po’ sfatta, anche io sono esausta. Li guardo mentre considerano la tavola piena di roba sporca per non parlare del lavello. Li sento che discutono se pulire e rimettere in ordine adesso o domattina, poi entrambi ammettono di essere un pochino sbronzi e che non ne hanno assolutamente voglia. Mi preparo mestamente a passare un’altra notte sul fornello senza essere stata svuotata nè lavata, presagendo già la pesantezza di stomaco che mi procura il caffè vecchio nel filtro e non mi fa dormire nonostante la stanchezza. Poi però:
«Aspetta Ceci, lavo solo la caffettiera, ché domattina poi mi fa più fatica».
Lo sapevo; sapevo che non mi avrebbe lasciato così un’altra notte. Ha usato la scusa della fatica mattutina tanto per giustificarsi con Cecilia, ma io so che in realtà l’ha fatto per me.
Felice, mi faccio prendere in mano ed aprire, godendo poi dell’acqua fresca che mi risciacqua tutta e della cura che mette, come sempre, nel togliermi ogni più piccola incrostazione. Il nostro è un rapporto speciale, che una fidanzata non può certo capire, altrimenti rischierebbe di diventarne gelosa; esausta ma felice, mi lascio riporre sullo scolapiatti conscia di averlo servito bene anche oggi e allo stesso tempo consapevole del fatto che lui conosce l’impegno che ci metto ogni giorno per essergli utile. Dopotutto, credo di amarlo. Li guardo avviarsi verso la camera da letto e chiudo gli occhi serena ed orgogliosa del mio lavoro.
Domani si ricomincia da capo.