In altre parole di Eva Luna Mascolino
Nelle mani della domestica (Miguel de Unamuno)
Grazie a Dio stava finalmente per concludere quella sua vuota esistenza da scapolo ed entrare in una nuova vita, o meglio, entrare nella vita reale! PerchĂ© il povero Vicente non poteva tollerare piĂą la sua solitudine. Da quando era morta sua madre viveva da solo, con la domestica. Lei, la domestica, si prendeva buona cura di lui; era intelligente, discreta, premurosa e, pur non essendo precisamente bella, aveva due occhietti che le illuminavano il viso, però… No, non era questo; non si poteva vivere così.
E la sua fidanzata, Rosaura, era incantevole. Alta, robusta, bionda, camminava come una dea, con la fronte sempre rivolta verso il cielo. Aveva una bocca che faceva venire voglia di vivere a chi la guardava. Tutta la sua bellezza stava nello splendore della salute.
Certo, una cosa che Vicente notava e che, sebbene lo aiutasse ad accendere il desiderio, congelava dall’altra parte il suo amore, era la riservatezza di Rosaura. Non aveva mai ottenuto da lei certe familiarità , in fondo innocenti, che si permettono i fidanzati. Non era mai riuscito a darle un bacio.
«Dopo che saremo sposati, dopo, tutti quelli che vorrai» gli diceva. E Vicente, tra sĂ©: «Tutti quelli che vorrò… Non è forse un modo per disdegnarli? Non è come chi si chiede: “Quanto mi costeranno”? …». Vicente aveva il presentimento che valessero solo le carezze che avevano un costo.
Rosaura lo amava? Lo amava davvero? Era così terribilmente discreta! Era così superiore! Tutta la sua preoccupazione non sembrava che quella di farsi valere, di farsi rispettare. E a questo sembrava la spingessero ancora di più i consigli della madre, la futura suocera di Vicente, un’ostetrica insopportabile con le sue pretese aristocratiche. Di fronte alla brava signora non si poteva parlare di due terzi delle cose di cui vale la pena parlare; di fronte a lei le malattie non potevano essere chiamate con il loro nome. Ed era lei, senza dubbio; era quella madre professionale a dire a Rosaura: «Figlia mia, fatti rispettare». Lei, d’altra parte, sembrava avere conosciuto solo il rispetto di suo marito, il padre di Rosaura, che era morto di noia.
Rosaura lo amava? Eppure… era così bella! Con quei suoi occhi tanto luminosi, le sue labbra ancora piĂą luminose, quelle labbra di colore brillante e fresco che facevano venire voglia di respirare piĂą forte e piĂą profondamente a chi la guardava.
Era giĂ arrivata la vigilia del matrimonio. Ignacia, la domestica, aveva detto a Vicente:
– Signore, anche se lei si sposa, io resterò qui…
– Naturale, Ignacia!
– E se la signora volesse un’altra domestica?…
– No, non lo vorrà .
– Chissà …
E la povera ragazza pensava che non sarebbe stata compatibile con quella signorina tanto signorineggiante.
Tutto era pronto per il giorno del matrimonio, quand’ecco che il giorno prima Vicente cadde da cavallo e si ruppe una gamba. Il dottore disse che non poteva alzarsi almeno per un mese.
A casa della sposa l’incidente provocò irritazione. – Ora che era tutto pronto, che avevo comprato tutto! – esclamava la signora.
– La cosa è molto semplice – disse il padrino di Vicente, – la sposa va a casa dello sposo e si sposano lì…
– Come? – esclamò la signora. – Mentre è allettato?
– Certamente; non vedo alcuna difficoltĂ nel celebrare un matrimonio mentre una delle parti è sdraiata. Potrebbero benissimo tenersi la mano e scambiarsi i voti. E dato che la ragazza dovrĂ rimanere lì da allora in poi…
– Mia figlia non andrĂ a sposarsi a casa del fidanzato, men che mai mentre è allettato e con una gamba rotta…
Rosaura sperava intanto che il fidanzato restasse zoppo per sempre.
Il povero Vicente, ancor più che per la rottura della gamba, soffrì per il comportamento della sua fidanzata. Andò a trovarlo, sì, ma come per un compromesso. Sperava che avrebbe accettato di sposarlo di corsa, o che, per lo stesso motivo, sarebbe andata a fargli da infermiera. E così provò a suggerirlo.
– Da infermiera! – gridò la signora madre, – ma quell’uomo è pazzo! Che idea avrĂ di mia figlia? Una ragazza nubile che va a prendersi cura di uno scapolo, anche se fosse il suo fidanzato ufficiale e nelle condizioni in cui è, con la gamba rotta. Che indelicatezza dei sentimenti!… D’altronde, se uno non capisce certe cose…
Il povero Vicente non ebbe altro ricorso e altro conforto che la povera Ignacia. La ragazza aveva raddoppiato la sua cura e sollecitudine. Lo medicava e curava con una casta serenitĂ , come una sacerdotessa. Vicente cercava di non lamentarsi. E in effetti, quando la povera domestica gli cambiava le bende o gli sistemava la postura della gamba, le sue mani non sembravano nemmeno quelle di una donna, quanto piuttosto le delicate ali di un angelo.
– Quanto ci vorrĂ , Ignacia…
– Abbia pazienza, signore, chĂ© secondo il medico dovrebbe tornare come nuovo, senza zoppicare, e la signorina Rosaura la aspetta…
– Mi aspetta…, mi aspetta…
– Ieri l’ho rincontrata e si è fermata a chiedere di lei con tanta preoccupazione…
– A chiedere…, a chiedere…
La guarigione fu più veloce di quanto i dottori avessero supposto. Presto Vicente riuscì ad alzarsi; si appoggiava a un solido bastone e faceva qualche passo in giro per casa. E mandò a dire che era disposto ad andare in chiesa in quel modo, a sposarsi. La futura suocera rispose che non c’era fretta, che era meglio aspettare che fosse completamente guarito.
Alla fine, si fissò una nuova data per il matrimonio. I dottori dissero che a quel punto Vicente avrebbe camminato da solo, senza bastone, come faceva prima dell’incidente. Ma il
pover’uomo si sentiva triste. Il matrimonio gli sembrava un sacrificio. Era un uomo di parola.
Tre giorni prima della data indicata per il sacrificio, si presentò Ignacia, tutta confusa, rossa in viso, come non l’aveva mai vista, e disse:
– Signore, mi dispiace dirle…
– Che cosa?
– Che io me ne vado – e scoppiò a piangere.
– Come, te ne vai?
– Sì; dato che il signore si sposa…
– Ma non eravamo rimasti che saresti stata tu la nostra domestica?
– Sì, ma lei e io; non però lei, non la signorina…
– Come? Ti ha detto qualcosa?
– No, non mi ha detto niente; ma so per certo che non potremo stare insieme per molto tempo…
– E perché?
– PerchĂ© mi sono presa cura del signore durante la sua malattia, io e non lei…
– Questo cosa c’entra?
– C’entra. So di cosa parlo. Lei, una giovane donna, una giovane donna che stava per sposarla e di cui lei è innamorato, non poteva… non doveva venire a prendersi cura di lei, mentre
io…
– Sì, tu sei la domestica.
– Ecco.
Abbassò la testa, adombrandosi, e quando poco dopo la sollevò Vicente fissò i suoi occhi chiari sugli occhi chiari della domestica e lentamente le disse:
– Hai ragione, Ignacia; capisco le tue ragioni, o meglio, i tuoi sentimenti, e condivido le tue paure. La mia fidanzata, la mia futura moglie e tu sarete incompatibili in questa casa. Anche se non fosse così, mancheresti alla sua signora madre, quella dai sentimenti delicati. E hai ragione; lei, lei che si faceva rispettare, non poteva, non doveva venire a prendersi cura di me; questo era compito tuo, della domestica. E l’hai adempiuto con una devozione che non so se troverò in lei quando sarĂ … mia moglie. Siete incompatibili e, dal momento che non voglio separarmi dalla mia infermiera, rinuncio a lei, a Rosaura, e mi sposo, ma… con te… Lo vuoi?
La povera ragazza cominciò a piangere.
E Vicente si sposò; ma si sposò con la sua infermiera, con quella che non aveva mai sognato di farsi rispettare. E che non lo sognava per rispetto dell’amore, del grande e silenzioso amore per il suo padrone, per quell’amore semplice e raccolto che aveva reso le sue mani da cameriera ali d’angelo per maneggiare come con delle piume la gamba rotta del suo padrone.
E la signora madre di Rosaura, ex futura suocera di Vicente, continuava a dire a sua figlia per consolarla:
–Non hai perso niente, figlia mia; ho sempre sospettato l’ordinarietĂ dei sentimenti e dei gusti di quel soggetto…
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En manos de la cocinera (Miguel de Unamuno)
¡Gracias a Dios que iba, por fin, a concluĂrsele aquella vacua existencia de soltero y a entrar en una nueva vida, o más bien entrar en vida de veras! Porque el pobre Vicente no podĂa ya tolerar más tiempo su soledad. Desde que se le muriĂł la madre vivĂa solo, con su criada. Ésta, la criada, le cuidaba bien; era lista, discreta, solĂcita y, sin ser precisamente guapa, tenĂa unos ojillos que alegraban la cara, pero… No, no era aquello; asĂ no se podĂa vivir.
Y la novia, Rosaura, era un encanto. Alta, recia, rubia, pisando como una diosa, con la frente cara a cara al cielo siempre. TenĂa una boca que daba ganas de vivir el mirarla. Su hermosura toda era el esplendor de la salud.
Eso sĂ, una cosa encontrĂł en ella Vicente que, aunque ayudaba a encenderle el deseo, le enfriaba por otra parte el amor, y era la reserva de Rosaura. Jamás logrĂł de ella ciertas familiaridades, en el fondo inocentes, que se permiten los novios. Jamás consiguiĂł que le diese un beso.
«DespuĂ©s, despuĂ©s que nos casemos, todos los que quieras», le decĂa. Y Vicente para sĂ: «¡Todos los que quieras!… ÂżNo es Ă©ste un modo de desdeñarlos? ÂżNo es como quien dice: “Para lo que me van a costar”?…». Vicente presentĂa que sĂłlo valen las caricias que cuestan.
ÂżLe querĂa Rosaura? ÂżEs que de veras le querĂa? ¡Era tan terriblemente discreta! ¡Estaba tan sobre sĂ! Toda su preocupaciĂłn parecĂa no ser otra que la de hacerse valer, la de hacerse respetar. Y a ello parece le movĂan más aun los consejos de su madre, de la futura suegra de Vicente, una matrona insoportable con sus pretensiones aristocráticas. Delante de la buena señora no se podĂa hablar de las dos terceras partes de las cosas de que merece hablarse; delante de ella no se les podĂa llamar a las enfermedades por su nombre. Y era ella, sin duda; era aquella madre profesional la que decĂa a Rosaura: «Hija mĂa, hazte respetar». Ella, por su parte, pareciĂł no haber conocido sino el respeto de su marido, del padre de Rosaura, que se muriĂł de aburrimiento.
ÂżLe querĂa Rosaura? Pero… ¡era tan hermosa! Con brillar tanto sus ojos, brillaban más aĂşn sus labios, aquellos labios de color encendido y frescos que daban ganas da respirar más fuerte y más hondo a quien los miraba.
Estaba ya encima el dĂa de la boda. Ignacia, la criada, le habĂa dicho a Vicente:
–Señorito, aunque usted se case, yo seguirĂ© en la casa…
–¡Pues no faltaba más, Ignacia!
–Pero, Âży si la señorita quiere traer otra?…
–No, no lo querrá.
–QuĂ© sĂ© yo…
Y la pobre chica se quedĂł pensando que no habrĂa de ser compatible con aquella señorita tan aseñoritada.
Todo estaba dispuesto para el dĂa de la boda, cuando he aquĂ que la vĂspera se cae Vicente del caballo y se rompe una pierna. El mĂ©dico dijo que no podĂa levantarse lo menos en un mes.
En casa de la novia el accidente causó irritación. ¡Ahora que estaba dispuesto ya todo, hecho todo el gasto! –exclamaba la señora.
–La cosa es bien sencilla –dijo el padrino de Vicente–; va la novia a casa del novio y se casan allÅ
–¿Cómo? –exclamó la señora–. ¿Estando él en cama?
–Naturalmente; no veo dificultad alguna en que se verifique una boda hallándose acostado uno de los contrayentes. Pueden muy bien darse las manos y los votos. Y como la muchacha ha de quedarse luego allÅ
–Mi hija no va a casarse a casa del novio, y menos hallándose Ă©l en cama y con la pierna rota…
Rosaura pensaba en tanto que acaso su novio se quedase cojo para siempre.
El pobre Vicente sufriĂł más aĂşn que con la rotura de su pierna con la conducta de su prometida. Fue a visitarle, sĂ, pero como por compromiso. Esperaba que hubiese accedido a que se casaran desde luego, o que, por lo mismo, hubiese ido a servirle de enfermera. Y asĂ se lo insinuĂł.
–¡De enfermera! –exclamĂł la señora madre–, ¡pero ese hombre está loco! ÂżQuĂ© idea tendrá de mi hija? Ir una muchacha soltera a cuidar a un soltero, aunque sea su novio formal y en las condiciones de Ă©ste, que se ha roto una pierna. ¡QuĂ© indelicadeza de sentimientos!… En fin, hay cosas que si no se maman…
No le quedĂł al pobre Vicente otro recurso y otro consuelo que la pobre Ignacia. La chica redoblaba de solicitud y de cariño. HacĂale curas y se las hacĂa con una casta serenidad, como una sacerdotisa. Vicente procuraba no quejarse. Y de hecho, cuando la pobre criada le renovaba los vendajes o le arreglaba la postura de la pierna, no parecĂan sus manos ni aun manos de mujer, sino alas de ángel por lo suaves.
–QuĂ© largo va esto, Ignacia…
–Tenga paciencia, señorito, que dice el mĂ©dico que ha de quedar como nuevo, sin cojera alguna, y la señorita Rosaura le espera…
–Me espera…, me espera…
–Ayer la volvĂ a encontrar y me estuvo preguntando con mucha solicitud por usted…
–Preguntando…, preguntando…
La curaciĂłn fue más rápida de lo que los mĂ©dicos habĂan supuesto. Muy pronto pudo levantarse Vicente; apoyado en un fuerte bastĂłn, y dar algunos pasos por la casa. Y mandĂł decir que estaba dispuesto a acudir asĂ a la iglesia, a casarse. La futura suegra le contestĂł que no habĂa prisa, que era mejor esperar a que estuviese repuesto del todo.
Por fin, se fijĂł para un nuevo plazo la boda. Los mĂ©dicos aseguraban que para entonces Vicente andarĂa solo, sin bastĂłn y como antes del accidente. Pero el pobre hombre se sentĂa triste. AparecĂasele la boda como un sacrificio. Era hombre de palabra.
Tres dĂas antes del nuevo señalado para el sacrificio se le presentĂł Ignacia, y toda confusa, ruborosa, como nunca la habĂa visto, y le dijo:
–Señorito, siento tener que decirle…
–¿Qué?
–Que yo me voy de la casa –y se echó a llorar.
–¿Cómo que te vas?
–SĂ; como el señorito va a casarse…
–¿Pero no quedamos en que te quedarĂas tĂş de criada nuestra?
–Quedamos, sĂ, en eso usted y yo; pero no ella, no la señorita…
–¿Qué? ¿Te ha dicho algo?
–No, no me ha dicho nada; pero sĂ© de fijo que no podremos estar mucho tiempo juntas…
–¿Y por qué?
–Porque le he cuidado yo al señorito en su enfermedad, yo y no ella…
–¿Y eso qué tiene que ver?
–SĂ, tiene que ver. Yo sĂ© lo que me digo. Ella, una señorita, y una señorita que se iba a casar con usted, de quien está usted enamorado, ella no podĂa… no debĂa venir a cuidarle, mientras que yo…
–SĂ, tĂş eres la criada.
–Eso.
Bajó la cabeza, ensombreciéndosele, Vicente, y al poco rato la levantó, fijó sus ojos claros en los ojos claros de su criada, y lentamente le dijo:
–Tienes razĂłn, Ignacia; comprendo tus razones, o mejor, tus sentimientos, y participo de tus temores. Mi novia, mi futura esposa y tĂş serĂ©is incompatibles en esta casa. Aunque no fuese más te echarĂa su señora madre, la de la delicadeza de sentimientos. Y tienes razĂłn; ella, la que se hizo respetar, no pudo, no debiĂł venir a cuidarme; eso era menester tuyo, de la criada. Y tĂş lo has cumplido con una devociĂłn que no sĂ© si encontrarĂ© en ella cuándo… sea mi mujer. Sois incompatibles, y como yo no quiero separarme de mi enfermera, renuncio a ella, a Rosaura, y me caso, pero… contigo… ÂżLo quieres?
La pobre chica se echĂł a llorar.
Y se casó Vicente; pero se casó con su enfermera, con la que nunca soñó en hacerse respetar. Y no soñó en ello por respeto al amor, al grande y callado amor a su amo, a aquel amor sencillo y recogido, que hizo de sus manos de fregadora alas de ángel para manejar como con plumas la pierna rota de su amo.
Y la señora madre de Rosaura, la exfutura suegra de Vicente, se quedĂł diciendo a su hija por vĂa de consuelo:
–No has perdido nada, hija mĂa; siempre sospechĂ© de la ordinariez de sentimientos y de gustos de ese sujeto…
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Eva Luna Mascolino ha 24 anni e si è specializzata in Traduzione alla Scuola per Traduttori e Interpreti di Trieste nel 2018, concludendo gli studi con il massimo dei voti. Ora è una traduttrice e interprete freelance, che coltiva il sogno di portare (o riportare) in Italia opere letterarie da tutte le lingue che conosce. Ogni mese tradurrĂ per noi un racconto dall’inglese, dal francese, dallo spagnolo o dal russo, accompagnandoci alla scoperta di culture, periodi storici e generi sempre diversi fra loro.