Numero 58 – Gennaio 2020

Nenia

Giorgio B. Scalia

Quando Nenia nacque non emise un solo lamento, non versò una sola lacrima. Me la ricordo come se fosse ieri, avvolta in una coperta di placenta rosa e la testolina di radi capelli neri e setosi, con gli occhi dello stesso blu che ha l’orizzonte tra cielo e mare. In ospedale ci dissero che il suo fisico non presentava anomalie e che il peso era perfetto, ma che poteva essere muta, e per questa ragione probabilmente non aveva emesso alcun vagito. Ma io e mia moglie non ci facemmo abbattere da quelle possibilità. Sapevamo che nostra figlia stava bene, o almeno così volevamo credere e ci affidammo a Te, Signore.
Pochi giorni dopo il parto tornammo a casa, dove ci aspettavano alcuni parenti e qualche amico intimo. Appena mio padre incrociò lo sguardo della sua nipotina non riuscì a trattenere le lacrime e provocò un pianto gioioso e commosso tra tutti i presenti. Eravamo rapiti dalla bellezza di Nenia, da quelle pagliuzze cobalto che la bambina aveva negli occhi e per tutto il tempo ognuno di noi elogiò quelle sue pupille che parevano fatte d’acqua. Quando tutti se ne andarono, era sera e Bea mise a dormire la piccola nella culla ai piedi del nostro letto e poi ci coricammo. Bea, spossata, si addormentò sul mio petto. Io presi sonno poco dopo, ma mi svegliai di notte sentendo singhiozzare. Era Bea, stava in piedi nella semioscurità della camera con la bimba in braccio. Le chiesi se fosse tutto a posto.

– Amore, non lo so, Nenia…
– Nenia cosa?
– È tutta bagnata, ha il pannolino pieno, però non ha pianto. Non si è lamentata neanche una volta in tutta la notte. Non ha fame? Non ha bisogno di me?

 In quell’esatto momento pensai che forse il medico aveva ragione, la bambina era  muta, incapace perfino di piangere, tanto era grave la sua condizione. Mantenni la calma e celai le mie paure a Bea, non volevo farla minimamente preoccupare. Vedevo come la nostra frugoletta tremava fra le sue inesperte braccia di mamma.

– Amore, magari stava dormendo così bene accanto a noi che non si è nemmeno svegliata.
– Ma ora che è sveglia dovrebbe piangere, no? Invece niente. Non è normale.
– Bea, tranquilla, abbiamo la fortuna di aver fatto una brava bambina, tutto qui. Ora vieni accanto a me e dormi. Non voglio che ti stanchi troppo. Nenia sta bene.
Giorno dopo giorno la storia si ripeteva e quel pianto acuto di neonato che ci aspettavamo non arrivava. Magari, altri genitori avrebbero pensato che fosse una fortuna non essere svegliati nel cuore della notte dal pianto del proprio figlio, ma non possono immaginare quanto fu difficile per me e mia moglie. Non capivamo se la bambina avesse bisogno di qualcosa e ciò ci rese ancora più ansiosi del normale. Pregavo Te, Signore, che la piccola non avesse una grave menomazione e attendevo speranzoso che da Nenia sgorgasse un gemito o anche solo un misero pigolio. Finalmente, dopo svariati esami alle corde vocali e all’udito, i medici ci confermarono che la bambina era forte e sana, non era muta e nemmeno sorda, solo per qualche strano motivo che nessuno si sapeva spiegare la bambina non piangeva. Verso i dieci mesi Nenia disse la sua prima parola e le nostre paure furono del tutto placate. Non erano più solo le opinioni dei medici, ora io e mia moglie avevamo la prova che potesse parlare davvero. Accadde un pomeriggio di agosto nella nostra cucina, mentre le stavo dando l’omogeneizzato e mia moglie le sterilizzava il biberon, Nenia disse Mammapapà. Fu meraviglioso, io e Bea ci stringemmo commossi attorno alla nostra piccola tutta occhi, e Ti resi grazie .
Nenia cresceva ma continuava a non piangere. I nostri amici non facevano altro che dirci Che brava bambina è Nenia, non piange mai, oppure, Il mio Luigi frigna sempre, certe volte mi fa scoppiare la testa, e ancora, Vorrei avere un telecomando per mettere muto quando Sara si sveglia la notte e non la finisce di piangere. Sapete, sta mettendo i dentini.
Quando tornavo a casa da lavoro, la prima cosa che domandavo a Bea era come stava Nenia, e puntualmente mia moglie, col viso sconsolato, mi diceva che stava bene, e io ci soffrivo tremendamente. Perciò, cercavo la risposta nella Tua infinita saggezza e Ti domandavo umilmente perché quei suoi magnifici occhi non si erano mai fatti anche solo vagamente acquosi. Piangere fa stare meglio, è innegabile. Non è così? La sofferenza purifica, non insegnano questo le Scritture?

Una volta, Bea e io la portammo alla fiera del paese. Nenia aveva sei o sette anni e appena vide una serie di pesciolini rossi dentro dei sacchetti di plastica ci pregò di prenderne uno, e così facemmo. Era contentissima, ci giocava tutto il tempo. Metteva il suo ditino dentro la boccia e fingeva di nuotare accanto a Cleo. Nenia, sorridendo, ripeteva che facevano nuoto sicromizato. Un pomeriggio mia moglie tornò dal lavoro – la bambina era a casa di mio padre – e mi chiamò in preda al panico: – Amore, il pesciolino di Nenia è morto. Che dobbiamo fare? Glielo diciamo?
Arrivai a casa con una mezz’ora d’anticipo e trovai mia moglie e la bambina sedute in cucina. Nenia stava colorando un album mentre Bea le accarezzava la testolina. Le chiesi come fosse andata all’asilo.

– Bene, Papà. Ci hanno fatto fare questo! – ed estrasse dallo zainetto un piccolo cuore azzurro fatto di plastilina con su scritto Buona festa del Papà. – mi sentii un mostro. Come potevo essere tornato a casa col solo scopo di farla piangere?
– Grazie, amore mio! È bellissimo, lo metterò sul tavolo del mio studio.

Bea mi guardò con rammarico. Probabilmente non se la sentiva più di far piangere la nostra figlioletta, e confesso che anch’io, a guardare il viso contrito di Bea e quel piccolo cuore azzurro, vacillai. Ma con mia sorpresa mia moglie disse a Nenia, mentre le sfilava il pastello dalla manina: – Amore, io e papà dobbiamo dirti una cosa.

– Che cosa? A papi non è piaciuto il mio regalo? – sentii una stretta spinosa in fondo alla gola, ma dovevo dirle la verità.
– Tesoro è bellissimo, mi piace tanto, – dissi sorridendole, mentre sentivo gli occhi diventarmi lucidi – ma adesso dobbiamo parlare di un’altra cosa. Si tratta di Cleo.
– Cleo?

Mi misi a sedere accanto a Nenia, e mia moglie, come d’accordo, andò a prendere la boccia col pesce morto che galleggiava ancora a pelo d’acqua.

– Cleo, vedi amore, come posso dirtelo. Lui…

Bea tornò con la boccia e con molta delicatezza la posò al centro del tavolo, trattenendo a stento le lacrime che già le imperlavano le ciglia.

– Nenia, ti stavo dicendo che Cleo ha nuotato verso il paradiso dei pesci e adesso il suo corpo dormirà per sempre, ma la sua anima continuerà a nuotare con gli angioletti dalle ali di conchiglia.
– Papà ha ragione, piccola mia. Cleo non è più qui, ma è lassù che nuota felice.
– Ok, sì – disse Nenia – lo sapevo che era morto. L’ho visto stamattina. Ma non ve lo volevo dire perché pensavo che vi arrabbiavate. Non lo sapevo del paradiso dei pesci, al catechismo non ci siamo ancora arrivati, ma adesso che so che esiste sono più felice per Cleo. Non piangere mamma.
Mia moglie e io non volevamo crederci. Come poteva, ad appena sette anni, rimanere impassibile davanti alla morte del suo animaletto? Dopo questo episodio facemmo qualsiasi cosa per aiutarla a piangere. Cominciammo a trattarla sempre peggio, ma solo per il suo bene. Ma Nenia era sempre stupenda con noi, non si faceva abbattere e più passava il tempo più lei diventava forte. Avevamo l’immenso bisogno di poterla consolare, di sapere che le eravamo indispensabili. Volevamo sentirci il suo rifugio caldo dai mali del mondo. Sognavamo di poterla rassicurare, di poterle asciugare le guance con una carezza e dirle Va tutto bene Nenia, ci siamo noi qui per te.

Quando Nenia compì dieci anni io e mia moglie facemmo finta di esserci dimenticati del suo compleanno. Appena si svegliò non le facemmo gli auguri e Nenia domandò se ci eravamo scordati. Le dicemmo che c’era del tutto passato di mente.

– Fa niente – rispose lei tranquilla – può capitare.
– Ci siamo dimenticati anche di farti il regalo – le dissi, cercando di rimanere impassibile ma sentivo un certo disgusto in bocca.

Nenia fece spallucce e quella mattina andò a scuola come se nulla fosse, ma io e mia moglie ci sentivamo in colpa. Non resistemmo e quando tornò le facemmo trovare la bambola che tanto desiderava.

– Lo sapevo che mi stavate prendendo in giro. È sempre così, con voi. Mi dite una cosa brutta ma poi non è mai brutta davvero.

Mi chiesi se il fatto che Nenia non piangesse fosse una cosa voluta. Se fosse una sua scelta inconscia adottata fin dalla nascita per accrescere il nostro bisogno di amarla e ottenere da noi tutto ciò che voleva. Allora pensavo che non sapessimo essere abbastanza severi da farla piangere. Dovevi vederla, Signore, era impossibile arrabbiarsi con quel visino così adorabile.
Poi mio padre morì. Nenia gli era molto affezionata per via della sua folle dolcezza e dei numerosi pomeriggi che avevano trascorso assieme. Dissi a Bea che avremmo portato la bambina al funerale. Bea non voleva, mi disse più volte di rifletterci, che ero sconvolto, ma si sbagliava non ero sconvolto, avevo una missione.

– Non vedrà la sepoltura di suo nonno! – protestò. Scossi la testa e la guardai negli occhi: – Non posso pensare che un giorno, alla nostra morte, Nenia possa sedere al funerale senza versare nemmeno una lacrima per chi l’ha amata e cresciuta. Voglio che lei reagisca, normalmente, voglio che soffra – e poi piansi.

A Nenia non avevamo detto nulla del nonno e quella mattina, prima della messa, la portammo alla veglia e le facemmo quell’orrenda sorpresa. Vide il nonno dentro la bara, io e sua madre piangere, tutti quei parenti e amici vestiti di nero e col volto segnato dallo strazio ma come al solito, niente. Mia figlia non è normale, pensai, mentre le stringevo la manina. Di cosa è fatta? E d’istinto serrai ancora di più la stretta, come per spremerla, strizzarla, farle uscire almeno una lacrima.

– Papà, smettila, così mi fai male. Stai tranquillo, il nonno adesso cammina verso il paradiso degli uomini, ora dormirà per sempre, ma la sua anima continuerà a camminare con gli angioletti.

Lo giuro Dio, non volevo fare peccato, ma doveva pur piangere quella volta e le dissi: – Il paradiso non esiste. Si muore e basta! – e una lacrima di piombo mi scivolò sulla guancia.

– Papà, dici così solo perché sei molto triste e arrabbiato per la morte del nonno. So che non lo pensi per davvero. Anch’io sono dispiaciuta, ma non c’è motivo di piangere.
Strinsi ancora più forte, più che potei.

– Papà smettila! Mi fanno male gli occhi! – e con il dorso del braccio cominciò a strofinarseli.

Mi inginocchiai davanti a lei, incredulo. Le abbassai il braccio con delicatezza e le scostai i capelli dalla fronte, per osservare meglio i suoi occhi che diventavano sempre più rossi. Mi guardai attorno. Tutti i presenti, compreso Bea, ci stavano osservando e tacevano senza alcuna espressione sul volto.

– Papà, ho paura, aiutami! – strillò in lacrime.

Per un momento pensai di stare sognando. Tentai di tranquillizzarla, tentai di mantenere la calma, provai a rimanere lucido, ma le buttai le mani alla gola, erano due morse incapaci di aprirsi. E nel momento in cui il collo della mia Nenia si fece pongo tra le mie dita e il suo visino s’incideva di lacrime, come rivoli di vetro sulle sue guance, ho capito.  Ho capito perché Tu, Signore mio Dio mi avevi donato una figlia che non sapeva soffrire.



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