Numero 57 – Dicembre 2019

Il rumore della pioggia

di Fabio Merendino

Le giornate di pioggia in questo paese sono così, delle cartoline ingiallite.
Immobili.
Se non fosse per l’acqua che scende giù senza sosta sembrerebbero un olio su tela.
Sono le tre del pomeriggio, persino le lancette dei secondi sull’orologio della torre rimangono ferme.
Cammino sotto i portici per non aprire l’ombrello da cinque euro che un venditore ambulante mi ha rifilato a Milano, in fondo alla piazza vedo un bar aperto dove potrò starmene in santa pace per un po’. L’insegna, con le luci viola sulla scritta Big Bar, sembra quella di un Night, ma questo per ora non ha molta importanza.
Entro. Il locale è quasi vuoto, dietro al bancone c’è un barista vestito da pinguino, la camicia bianca sotto un gilet nero stride con l’aria stantia che si respira dentro. A un tavolo, una giovane coppia di fidanzati sembra giurarsi amore eterno. Più avanti, una ragazza con le gambe intrecciate tra loro, stringe una tazza fumante tra le dita sottili. È sola. Mi siedo al tavolo di fronte a lei, il pinguino si avvicina subito con un foglio unto che vorrebbe essere un  menù. Taglio corto, «un prosecco, grazie.»
Adocchio una pila di quotidiani su una mensola, prendo quello rosa, la Gazzetta, visto che di politica non ci ho mai capito molto e l’attualità più interessante in questo momento è la ragazza seduta di fronte a me. Indossa un basco verde, i capelli lisci toccano lo schienale della sedia. Lo sguardo basso. Il mio amico pinguino arriva puntuale col suo vassoio, mette sul tavolo un bicchiere sottile pieno a tre quarti e una ciotola di olive giganti. Nel frattempo i due fidanzati sembrano voler consumare davanti a noi.
Passo in rassegna le pagine della Gazzetta, il rumore delle tazzine sporche da lavare copre la musica jazz in sottofondo. Ogni tanto alzo gli occhi dal giornale, guardo la ragazza. Mi accorgo ora che sul tavolo ci sono un mucchio di fazzolettini arrotolati. Riesco a vedere meglio il suo viso, ha il naso rosso e occhi che sembrano lucidi. Mi sento quasi in colpa per essermi soffermato sulle sue labbra sporche di cioccolata. La pioggia, fuori, continua senza tregua. Sembra farle compagnia. Arrivo all’ultima pagina del giornale e all’ultimo sorso del mio prosecco scadente, i fidanzati sono già andati via, chissà in quale letto. Io rimarrei, ma mi alzo e vado a pagare il conto.
Faccio una cosa stupida, anche se ho imparato che le cose stupide a volte non sono stupide, «pago anche il conto della ragazza», esclamo deciso.
Il pinguino dapprima mi guarda male, ma poi decide di incassare senza troppe domande.
Esco, apro l’ombrello da cinque euro e attraverso la strada. Finisco con i piedi dentro una pozzanghera, prima che possa imprecare come un’anima maledetta, sento una voce. Mi volto. La ragazza col basco verde è fuori dal bar che alza la mano verso di me. Ficco di nuovo i piedi dentro la pozzanghera senza rendermene conto e l’aspetto, attraversa anche lei la strada, correndo per non bagnarsi. Ora si trova sotto al mio ombrello, «grazie per aver pagato la mia cioccolata», dice col fiatone.

«Figurati, è stato un piacere.»
«Posso chiedere perché?»

Non so cosa rispondere alla domanda. Per fortuna lei mi toglie subito dall’imbarazzo, «comunque io sono Agnese.»

«Piacere, Giulio.»

Ha le mani fredde, gli occhi ancora lucidi sono scuri e ha un viso che sembra uscito da una rivista patinata, a parte il naso rosso. Colpa dei fazzolettini immagino.

«Posso offrirti un passaggio?» Domando. Ora sto sfidando troppo la buona sorte.
«Te l’avrei chiesto io, fai la strada del ponte?»
«Sì», mento spudoratamente.

Facciamo la strada insieme, protetti da un ombrello che ora è diventato provvidenziale. Non ha più la cioccolata sulle labbra, ora le posso guardare da vicino senza vergogna.

Sembra triste, riesco a farla ridere un paio di volte. Purtroppo però il ponte è vicino.

«Io abito qui», dice appena lo abbiamo attraversato.
«Non devi andare da nessun’altra parte?» mi invento per restare ancora con lei.

Ride di nuovo, «no, però se vuoi, domani puoi passare a prendermi anche col sole.»
Gira la chiave nella serratura e scrive il suo numero su un foglio.
Torno indietro rifacendo il ponte, conservo il numero in tasca e penso che dovrebbe piovere più spesso.



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