Numero 56 – Ottobre/Novembre 2019

Vitello Tonnato

di Luca Tabanelli

 

Alle sette di mattina suona la sveglia. É martedì. Anche ieri mattina ha suonato alle sette e suonerà anche domattina, alle sette. É una vita che suona alle sette, la lancetta rossa è sempre stata puntata sul numero sette. Non mi ricordo, forse l’ho comprata che era già puntata sul sette. Probabilmente la sveglia è uscita dalla fabbrica già con la lancetta rossa fissata sul sette. Ecco si, io ho comprato la sveglia delle sette. Sarà stato cosi. O forse quando sono nato mi hanno donato questa sveglia; quella delle sette.
E poi la pila, insomma, ma quanto cavolo dura la pila di questa sveglia, non penso di averla mai cambiata, mi viene il dubbio se dentro ci sia veramente.

Mi alzo e vado in bagno a lavarmi la faccia, poi vado in cucina a bere un po’ d’acqua, poi torno in bagno e dopo in camera a vestirmi, poi ritorno in bagno. Non penso gran che a quello che sto facendo, visto che sono ancora addormentato, ma direi che sto facendo bene, anche perché è uguale a quello che ho fatto ieri mattina e a quello che farò certamente domani mattina. Scendo le scale ed esco di casa. L’aria è sempre freschina quando esco di casa a quest’ora.
Intanto mi trovo che sono praticamente arrivato al lavoro, senza aver guardato la strada che ho fatto. Adesso fanno le macchine che guidano da sole e da sole inchiodano se stai per sbattere contro qualcuno o qualcosa, be’, la mia per ora ha sempre fatto così, che banalità, però questa mattina ho sentito per radio una canzone che ascoltavo quando ero più giovane. È stato bello.

Entro al lavoro e vado verso l’ufficio, saluto Marco, entrato insieme a me,  cammino e saluto anche Serena, che sta bevendo un caffè alla macchinetta in corridoio e incrociandolo faccio un mezzo sorriso, ricambiato, a Paolo.
Ma quanto mi sta sul cazzo Paolo, chi cazzo si crede di essere, è un semplice commerciale, avrà certamente una vita di merda.
Pigio i tasti del pc, per fare conti e scrivere cose di cui non me ne può fregare di meno, mentre dentro di me canto la canzone che ho sentito stamattina in auto, inventando forse qualche parola nuova nella strofa. Intanto si fanno le dieci, e già mi sembra di essere qui dentro da anni. Aspetta; io sono, qui dentro da anni. Mi sento come le macchine che fanno oggi, che guidano da sole.
Verso le undici inizio a svegliarmi e realizzo a pieno che mi sto rompendo le palle, come ieri, e come farò domani, poi però entra Simona, per portare altre fatture. Quanto mi piace Simona, me la scoperei qui sulla scrivania, adesso, davanti a tutti. Ma intanto se la sta lavorando Paolo, quel coglione.

La mensa finalmente. Spero di trovare il vitello tonnato, ne ho proprio voglia. Vai! Che spettacolo, oggi mi va di lusso. Gustarlo senza troppi pensieri, in un posto tranquillo, magari in buona compagnia e senza fretta, ora sarebbe un sogno, ma non si può avere tutto. Devo pagare l’affitto, le bollette, la macchina che guida da sola, le poche ferie e tutto il resto. Non ho tempo per godermi la vita.
Ho mangiato abbastanza spedito, mi rimane quasi mezz’ora per fumarmi una sigaretta, guardare due cazzate al cellulare e sedermi un po’ all’aria aperta.
Dopo mangiato ci starebbe bene un pompino. Qualcuno, dentro l’azienda, lo so che si organizza dopo pranzo. Magari mi organizzo pure io. Certo anche un bel pisolino, dopo il pompino, non ci starebbe male.

Quindici e trenta. Ho la schiena indolenzita, come ieri, vado in bagno cosi mi sgranchisco un po’. Alla macchinetta nel corridoio non c’è nessuno, allora mi faccio un caffè, così, tanto per tenermi un po’ su. Ovviamente appena inserisco la chiavetta sento dei passi dietro di me avvicinarsi. Almeno sono dei tacchi.

– Ciao Ivan.
– Ciao Giulia, come va?
– Bene dai, un po’ cotta, stanotte mio figlio ha avuto l’influenza e ho fatto le ore piccole.
– Ma ora sta bene?
– Si si, tutto ok, grazie.

La guardo dai piedi alla testa, focalizzo le gambe, il seno e mi fermo dentro agli occhi, e le dico: – Comunque non sembri cotta, anzi, sei proprio in forma.

– Grazie! – Mi fa un sorriso, si liscia i lunghi capelli con due dita e inclina il capo leggermente verso destra. Mi guarda.

Ho appena iniziato ad organizzarmi.
E forse pure lei, prima di me.

Alle diciassette e venti penso che non ne posso veramente più di questo lavoro, che devo fare qualcosa. Potrei fare domanda in mensa, li sembrano tutti gentili, sorridenti, sempre in piedi, senza gobba, si muovono spesso, sono a contatto con tante persone diverse ogni giorno e credo che la paga non sia poi tanto diversa dalla mia. Va bene, questo pensiero lo faccio da almeno due anni, sempre a quest’ora, anche per il pub vicino a casa mia. Ma adesso basta, stasera appena arrivo a casa inizio a fare qualcosa, devo fare un cv, cercare su internet. Devo cambiare, sto diventando pazzo. Forse lo sono già.
La prima cosa che faccio appena entro in casa stasera è spostare la lancetta della sveglia, si, la sposto alle sei e cinquantasette, anzi no, che diamine, la punto alle sette e tre minuti!

Sono in macchina verso casa, fuori ormai è quasi buio. Anche oggi ho dedicato almeno dieci ore ad un lavoro di cui non ho nessun interesse, ho tolto dieci ore alla mia giornata senza aver fatto niente di utile per il mio corpo o per la mia mente, e togliendo le ore che dormo, che sono in bagno e che mangio, mi rimangono quattro o massimo cinque ore per me e per fare tutto il resto, in cui sono sono stanco perché ho lavorato tutto il giorno. Eh ma stasera appena arrivo a casa mi do da fare, anche perché se non lo faccio io, chi dovrebbe farlo?

Entro, mi tolgo la giacca, mi levo le scarpe mentre cammino, mi libero dalla camicia, mi sfilo i jeans, le mutande, i calzettini, vado verso il bagno e mi butto sotto la doccia. Finisco dopo dodici minuti, mi assciugo i capelli, mi do il deodorante e un po’ di crema idratante sul viso. Vado in camera, mi infilo una maglietta ed un paio di mutande pulite. Poi vado in sala, cerco il telecomando nascosto trai i cuscini del divano e accendo la tv, vado in cucina, prendo dei grissini, torno in sala e mi metto perfettamente comodo sul divano. Guardo il cellulare e vedo un messaggio di Claudio che mi chiede se stasera andiamo a bere una birra, gli rispondo che stasera ho da fare, magari venerdì.
Penso che appena mi alzo dal divano vado a spostare la lancetta della sveglia e subito dopo inizio a guardare sul pc come vanno fatti i cv oggi.
Se lei fosse ancora qui con me, mi direbbe di farlo subito e di non perdere tempo.
Però adesso chiudo un po’ gli occhi, mi serve un’attimo di relax.
Li riapro a metá del telegiornale, alle venti e quindici. Ho fame, mi alzo ancora appisolato e vado in cucina a mettere su l’acqua per farmi un piatto di pasta. Intanto che prendo giù una pentola, sento che dopo il telegiornale c’è un bel film che ho già visto tre volte, ma lo guardo ancora volentieri. L’ho anche su dvd, ma le tre volte l’ho sempre visto in televisione.

A mezzanotte e venti spengo la tv, mi alzo dal divano per andare in cucina, bevo un po’ d’acqua e poi vado in bagno, poi in camera. Mi siedo sul letto e prendo la sveglia in mano, la volto per guardarci dietro e mettere le dita sulla rotellina per girare la lancetta rossa. La sposto in avanti di quattro cinque minuti, pensando che domattina avrei dovuto fare le cose un pochino più in fretta, per non incappare in qualche scomodo imprevisto di percorso e arrivare al lavoro al solito orario. Mi stendo, mi copro col lenzuolo e spengo la luce.
Non riesco a dormire subito, mi metto a pensare a tutti i cambiamenti che voglio fare domani.
Prima cosa non mando più al diavolo tutti quelli che mi sorpassano ai duecento km/h alle sette e quaranta per andare a lavorare. Chi se ne frega, insomma, che si fottano. Piuttosto cerco qualche bella canzone per radio.
Paolo non lo saluto più, visto che ci stiamo sul cazzo, magari se mi sorride lo mando anche a fare in culo.
E da domani inizio ad organizzarmi con Simona, o almeno ci provo.
In mensa chiederò a Luigi se hanno un modulo per fare domanda di lavoro, o cosa e a chi devo lasciare il tutto.
Poi nella pausa scrivo a Claudio e gli chiedo se c’è venerdì sera per una birra.
E poi…, ci vado dietro.
Non vedo l’ora che sia domattina.
Cavolo, però sarebbe meglio che mi svegliassi un po’ prima del solito per affrontare al meglio la giornata, aspetta.
Accendo la luce e punto la sveglia alle sei e cinquanta. La riappoggio sul comodino, la guardo un po’ e penso che posso cambiare la mia vita anche se mi sveglio come al solito, non dipenderà tutto da dieci minuti. La riprendo in mano e la punto alle sette.
Spengo di nuovo la luce e prima di dormire penso che se domattina la sveglia non suonasse, perché si è scaricata la pila, sarebbe una figata.



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