Amanti spezzati
di Giada Tommei
Avevano sempre parlato tanto, per telefono; non tanto a voce quanto per messaggio.
Sms lunghi, attesi come il suono della campanella l’ultimo giorno di scuola.
Letti, per lo più, davanti al lavandino: immobili, con l’acqua della doccia che scorre a vuoto.
“Hai fatto la dentro?”
“Non ancora, mi sto facendo la maschera!”.
Che poi è sempre un bel dubbio, questo: chissà cosa accade davvero, all’interno dei bagni. Quanti minuti vengono dedicati alla cura della propria persona e quanti invece al catapultarsi kilometri e kilometri lontani dalla casa dove si è in quel momento? Con la mente, ovvio: o con il cellulare, appunto.
Quando si parla tanto per sms e tanti di questi sms non possono essere condivisi se non con noi stessi, succede che ci mettiamo un sacco di tempo a far le cose più comuni. Praticamente, ogni luogo innocuo diventa una distrazione.
“Tutto bene tesoro? Sono quasi due ore che sei uscita a fare la spesa”.
“Tutto a posto, certo: ma non sai che folla c’è oggi davanti alla cassa!”.
Che poi siano invece 40 minuti che si è fermi davanti gli ortaggi, con un mezzo sorriso che punta in alto verso lo scaffale della frutta esotica e la faccia puntata sullo schermo dello smart-phone, rimarrà un segreto. Nostro, e delle 24 persone al reparto verdura in quell’istante.
Dicevamo, insomma, che avevano sempre parlato tanto, per telefono.
Non tanto a voce, quanto per messaggio.
Quel giorno, infatti, camminando fianco a fianco per le vie di un paese vicino, parevano non avere molte parole.
“E così, tuo marito se n’è andato”.
Non se n’è andato, ce ne siamo andati entrambi
“Giusto”
Giusto
“Però concretamente è lui che ha fatto le valigie”
Esatto
“Esatto”.
L’aria era diventata fresca velocemente, quella fine estate: segno che sarebbe stato un autunno ravvicinato ed intenso.
Dicono che ormai la stagione del mare sia finita
“Che peccato: sarebbe stato bello andarci insieme, magari, una volta”
Già
“Già”
Un cane randagio li seguiva e non voleva saperne di andarsene. Ormai l’avevano preso come terzo incomodo e non ci facevano nemmeno più caso; era lui che, ogni tanto, si soffermava come a volerli lasciare soli per poi tornare alle loro calcagna correndo come si fa quando si va in contro a due persone a cui si vuole molto bene, seppur da pochi minuti.
“Quando mi hai mandato quel messaggio, ho capito che dovevi dirmi qualcosa di importante. E’ stato strano.”
Perché?
“Sapevo che avremo parlato di noi. Non del più e del meno, facendo finta di niente per passare il miglior tempo possibile insieme e tornare poi alle nostre vite con meno dolore possibile.”
Tornare alle nostre vite
“Si: tornare alle nostre vite”
Attraversare la strada in quel paesino era davvero semplice: potevi quasi non guardare ai lati. Non come in città, dove prima devi premere il pulsante del semaforo e farti strada tra il fumo delle vetture che hanno appena inchiodato.
“Come gli hai detto, lo posso sapere?”
Preferisco di no, per il momento
“Ok”
Ok
“Ma almeno come l’ha presa, dico io. Per sapere cosa succede adesso”.
Ma cosa vuoi che succeda, secondo te? Se n’è andato. Punto. Gli ho detto che non lo amavo più e lui mi ha detto che se ne era già accorto da tanto, troppo tempo. Allora io gli ho detto, che se se ne era accorto poteva fare qualcosa, invece di stare li con le mani in mano come un polpo.
“E lui?”
Non ho voglia di parlarne, te l’ho detto.
“Si certo, ma dicevo….qualcosa poi avrà pur ribattuto, dico io. Per sapere come comportarci”.
Senti, te l’ho detto. Se n’è andato e basta. Poi non me lo ricordo, Chicco. Sono confusa
“Ancora mi fa ridere quando mi chiami Chicco”
Le persone a cui voglio bene le chiamo sempre con nomi stupidi
Avevano raggiunto un laghetto. Che strano, camminare per così tanto tempo e nemmeno rendersene conto. Si era alzato il vento, oltre tutto.
“E’ bello dove abiti tu?”
Abbastanza
“Come abbastanza?”
Non lo so, Chicco, dai: voglio andare a casa.
“Appunto”
Eh. Appunto
Quando tornarono in città, erano veramente stanchi. Ognuno se ne andò silenziosamente verso il proprio quartiere e fu strano davvero. Quando capisci di poter avere la persona che hai sempre voluto (davvero, non per finta) succede che la paura è così forte che arrivi a sentirla lontana, come mai prima l’avevi sentita. Proprio ora, che sta vicino a te.
Sms: “Domani ci sei per il caffè in pausa pranzo?”
Risposta: Si.
Il cellulare vibrò qualche volta più del solito, quella sera. Scrivevano con lunghe pause ma quasi senza sosta, protetti entrambi da quelle onde digitali che li tenevano sul limbo al quale si erano ormai troppo abituati. Sentirsi e non sentirsi. Vedersi e non vedersi. Mandarsi video, vederli di nascosto. Ascoltare vocali, uscire a fumare sul terrazzo per sentirli. Una lontananza che, con tutta la tecnologia disponibile, sembra non esistere e invece è ancora più immensa.
Il male degli amanti moderni: spezzati, tra reale e virtuale, fino a non capirci più niente. Fino ad avere quasi l’illusione di potersi avere così e di farselo bastare.
Effettivamente, non si erano mai scritti così a lungo. E il cellulare di lei non era mai stato sul tavolo della cucina alla mercé di tutti, cioè ormai di nessun altro oltre se stessa.
Lui invece era ancora in bagno, e poi in giardino, e poi in garage a cercare un attrezzo.
“Non hai pace stasera, perché non ti siedi un po’ sul divano con me?”
“Non posso, cara. E poi mi fa male la pancia, anzi: mi sa che devo tornare alla toilette”.
Era successo. Gli amanti spezzati erano ora spezzati davvero. Nemmeno i cellulari erano più in sintonia: lui ancora con il silenzioso, lei finalmente libera di lasciarlo suonare sempre.
Ho poco tempo, devo rientrare prima oggi.
“Due caffè per favore”
E così, tua moglie se ne è andata.
“Non se n’è andata, ce ne siamo andati entrambi”
Giusto
“Giusto”
Però concretamente sei tu che hai fatto le valigie
“Esatto”
Esatto
La primavera era finalmente alle porte. Incredibile come a volte, sei mesi sembrino in realtà pochi giorni.
Ed è bello, dico, dove stai ora?
“Non so, Fifì: è transitorio”
Ancora mi fa ridere quando mi chiami Fifì
“Le persone a cui voglio bene le chiamo sempre con i nomi stupidi. Ma forse in realtà lo stupido sono io”.
Perché dici questo, adesso?
“Perché forse ho aspettato troppo”
Erano già tremendamente in ritardo. Il contro doveva esser pagato e poi via di nuovo in ufficio.
Quando mi hai mandato quel messaggio, ho capito che dovevi dirmi qualcosa di importante.
“Ed è stato strano?”
No, per niente: lo sapevo che prima o poi saresti arrivato anche tu.
Arrivati alla porta del bar, si salutarono guardandosi negli occhi.
“Ci vediamo, domani?”
No, stasera: dove sto io
“Ed è bello, dove abiti tu?”
E’ bello, si: molto.