Numero 56 – Ottobre/Novembre 2019

In altre parole di Eva Luna Mascolino

La lettera del morto (Miguel de Unamuno)

I

Jorge e Juana si amavano tanto e si amavano da quando erano molto giovani. Non mi vanto di sapere descrivere l’amore, e quindi mi basterà dire al lettore di questa storia verosimile che Jorge e Juana si amavano così tanto e così bene come si amano di solito un giovane e una giovane sui vent’anni, quando si amano.

Juana era una ragazza semplice e spontanea, positivamente idealista, che si alzava alle sei, beveva cioccolata, andava a messa, tornava dalla messa, faceva il letto e si metteva a lavorare. Leggeva l’Anno Cristiano e credeva parola per parola a tutto ciò che enuncia la nostra Santa Madre Chiesa cattolica, apostolica e romana (benché ignori la metà di ciò che insegna), e credeva in molte altre cose che la nostra Santa Madre Chiesa cattolica, apostolica e romana non insegna, come il fatto che dai matrimoni tra parenti nascono bambini sordi, che gli ebrei sono brutti, e via dicendo. Era un’idealista di una certa qualità e la sua idea di misticismo aveva una natura fortemente positivista. Pregava molto e dormiva ancora di più, pensava di amare Dio sopra ogni cosa e il suo fidanzato come sé stessa, e in realtà amava sé stessa sopra ogni cosa e il suo fidanzato quanto Dio.
Basta con i tratti psicologi, ché per ogni lettore di buona volontà andrà bene quanto ho già detto.
Jorge era molto diverso, un genio allegro e cupo, fantastico e franco, idealista e pratico, che viveva in prosa e sognava in versi. Quando il sole più vigoroso faceva il solletico alla Madre Terra, passava il tempo rimanendo barricato in casa, e, quando la pioggia più torrenziale inondava i campi, percorreva a piedi da solo le montagne avvolto in un lungo impermeabile. Ogni lettore discreto avrà già inquadrato il mio Jorge.
Jorge e Juana si amavano molto, perché sì.
Assicuro alle mie lettrici, se qualcuna si ritroverà le mani questo racconto, che si amavano almeno tanto quanto una qualsiasi di loro potrebbe amare il proprio fidanzato.
Jorge si ammalò al petto e il dottore annunciò la tempesta non appena vide il lampo e udì il tuono. Jorge stava morendo come se niente fosse.
Nei giorni precedenti alla sua morte ebbe la strana idea, a scapito della sua famiglia e contro i loro consigli, di ammazzare il tempo scrivendo, e scrisse più di quanto avrebbero fatto cento ventitré scrivani in quattro ore. E morì senza che la sua morte avesse qualcosa di diverso dalle altre morti.

II

Quando Juana seppe della morte di Jorge, pensò che sarebbe morta anche lei, ma non morì; «il Signore aveva altro in serbo per lei». Non morì, ma passò alcuni giorni tra le braccia ardenti della febbre. Il dottor Tempo la curò in modo ammirevole, senza cerotti né intrugli.
Juana guarì e riacquistò piano piano il suo colorito…
Questi puntini di sospensione significano che erano ormai trascorsi due anni. Juana aveva un nuovo fidanzato, Emilio. Juana ed Emilio si amavano molto, si amavano tanto quanto si erano amati Jorge e Juana. Jorge amò Juana e fu amato da lei, e lei amava ora Emilio, che la ricambiava. Questo è quello che si definisce un sillogismo.
Ma Emilio non morì, né tantomeno Juana; Jorge era già morto.
Emilio chiese la mano di Juana alla famiglia di lei e, di comune accordo, il matrimonio venne fissato per il 5 giugno dell’anno 1…
Il 5 giugno arrivò ansimando e pestando i piedi al 4. La vigilia del matrimonio, cioè il 4, Juana si stancò di pregare e nel bellissimo orizzonte delle sue gioie future vedeva di tanto in tanto l’ombra nera dei suoi vecchi ricordi. «Povero Jorge!», mormorava, e poveretto lo era davvero! Il sacerdote li sposò in chiesa e i due andarono via con parenti e invitati al seguito, tutti desiderosi di brindare alla salute degli sposi, come se la loro felicità futura (come chi dice la cosa più relativa in assoluto) risiedesse nello stomaco di amici e parenti.

III

Stavano arrivando ai dessert quando, per dessert, arrivò una lettera per Juana. Quella che era stata la fidanzata di Jorge e che era ormai la moglie di Emilio fu sopraffatta dalla paura e si fece livida. I tratti delle lettere su quella busta erano i tratti delle lettere del defunto; quelle aste delle elle, delle acca e delle gi, erano le sue aste; i puntini delle i, i suoi puntini.
Tutto il suo corpo fu colto da una scossa e la mente la abbandonò, quando pensò di vedere la mano ossuta del defunto tracciare quelle linee. Tornò in sé e, più morta che viva, strappò la busta. Gli ospiti aspettavano l’epilogo di quell’episodio come colombe sbalordite, ma senza smettere di mangiare.
E Juana lesse questa

Lettera

«Dalla tomba, 4 giugno 1…
Quando leggerai questa lettera, penserai di vedere la mano disincarnata e ossuta del mio cadavere tracciarne le linee morte. Dai loro vita con il tuo sguardo! Chi lo avrebbe detto? Io sono morto e tu vivi; io ti ho amato e tu ami non l’ombra del tuo Jorge, ma un altro… Non so chi. Con chi è che ti sposi? Fai bene, tanti auguri. Però ti scrivo non per rimproverarti, per prenderti in giro o per implorare le tue preghiere, bensì per darti dei consigli. Se sarai felice come spero, pensa che con me lo saresti stata di più; se tuo marito ti mancherà di rispetto, pensa che io non te ne avrei mancato; e, se gliene mancherai tu, lo capirai e ti sentirai in colpa, pensa e stai certa che a me di rispetto non avresti mancato, e pensa sempre a me per confrontarmi con tuo marito.
Anche se uno dei tuoi figli, se mai ne avrai, dovesse nascere nel giorno di San Jorge, non dargli il mio nome; rinuncio alla parte (spirituale, s’intende) di me che potrebbe ereditare il piccolo.
Non pregare per me; sto bene e non desidero niente; altri, fra i vivi, avranno più bisogno di me delle tue preghiere.
Quando tuo marito ti lancerà qualcosa in faccia, rispondigli: Ah, furfante, il mio Jorge sarebbe stato diverso! E vedrai che affronto.
Una volta o l’altra pensa anche che, così come muoiono gli innamorati, possono morire i mariti. Per il resto, i miei consigli sono i soliti; leggi L’igiene del matrimonio, L’Arte di essere buoni e felici, L’Arte di fare mariti, quella di cucinare, La Guida degli sposi e L’Imitazione di Cristo, e di tanto in tanto vai a un funerale.
Nelle ore di massimo piacere, non dimenticare che starò dormendo al freddo e con lo scheletro della mia testa appoggiato su un cuscino di pietra, da solo e in una nicchia stretta, umida e scura, senza sentire il solletico dei vermi, tuo
Jorge.»

Juana inclinò la testa sul petto, diventò pallida e cadde a terra, in preda al panico, stringendo la lettera maledetta fra le mani confuse. Gli ospiti la misero a letto e tornarono a casa perplessi, ma non senza essersi prima riempiti le tasche di biscotti, pasta sfoglia e altri dolcetti.

IV

Juana trascorse i primi giorni di matrimonio in modo orribile: nel delirio della febbre, scorgeva davanti al capezzale l’immagine nitida di Jorge morto, e talvolta urlava e tentava di saltare fuori dal letto, vedendo lì lo scheletro bianco e ghiacciato del suo antico fidanzato. Non vado avanti perché non voglio scrivere un racconto horror.
Guarì dall’incidente, ma per il resto dei suoi giorni visse di certo fra orribili incubi e tristi manie. Né la sollecitudine del marito, né i mille divertimenti che lui cercava per lei potevano darle pace. Nel solenne silenzio della notte, capitava che urlasse forte e abbracciasse il marito dicendo:

– Emilio! Emilio! Salvami! Guarda come se la ride.

Non poteva vedere neanche da lontano L’igiene del matrimonio, L’Arte di essere buoni e felici, L’Arte di fare mariti, quella di cucinare, La Guida degli sposi e L’Imitazione di Cristo. Le sembravano libri scritti dal diavolo in persona, quando si tratta di letture virtuose e in alcuni casi ineguagliabili.

V

Jorge aveva avuto un solo amico, Perico, con cui parlava, camminava, rideva e piangeva.
Due giorni prima di morire lo chiamò e, consegnandogli una lettera, gli disse:

– Giurami di fare come ti dico.

Perico giurò.

– Prendi questa lettera; se un giorno dovessi venire a sapere che Juana si sposa, aprila, inserisci negli spazi vuoti il giorno e l’anno della vigilia del matrimonio, e quello stesso giorno consegna la lettera al corriere senza leggerla.

Perico giurò di farlo e lo fece fedelmente, come ogni buon amico e ogni buon cristiano dovrebbero fare.

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La carta del difunto (Miguel de Unamuno)

I

Jorge y Juana se querían mucho y se querían desde muy niños. Yo no me precio de saber describir el amor, y así me bastará decir al lector de este verosímil cuento que se querían Jorge y Juana tanto y tan bien como se quieren un joven y una joven rayanos en los veinte años, cuando bien se quieren.
Era Juana una muchacha sencilla y natural, positivamente idealista, que se levantaba a las seis, tomaba chocolate, iba a misa, volvía de misa, hacía la cama y se ponía a trabajar. Leía el Año Cristiano y creía a pies juntillas todo cuanto enseña nuestra santa madre la Iglesia Católica, Apostólica y Romana, aunque es lo cierto que ella ignora a la mitad de lo que enseña, y creía también otras muchas cosas que nuestra santa madre la Iglesia Católica, Apostólica y Romana no enseña, como son que de los matrimonios entre parientes nacen hijos sordos, que los judíos son feos y tantas otras cosas más. Tenía sus puntas y ribetes de idealismo y sus trencillas de misticismo bordando un fondo positivista a carta cabal. Rezaba mucho y dormía más, creía querer a Dios sobre todas las cosas y al novio como a sí misma y quería en realidad a sí misma sobre todas las cosas y a su novio como a Dios.
Basta de datos psicológicos, que con los que preceden tendrá bastante todo lector de buena voluntad.
Jorge era otro que tal, genio alegre y sombrío, fantástico y franco, idealista y práctico, que vivía en prosa y soñaba en verso. Cuando el sol más vigoroso cosquilleaba a la madre Tierra se estaba él metidito en su casa pasándose el tiempo, y cuando la lluvia más torrencial inundaba los campos, recorría a pie y solo los montes envuelto en su ancho impermeable. Todo lector discreto conoce ya a mi Jorge.
Jorge y Juana se querían mucho y porque sí.
Aseguro a mis lectoras, si alguna tiene este cuento, que se querían tanto, por lo menos, como cada una de ellas quiere a su novio.
Jorge enfermó del pecho y el médico anunció la tempestad en cuanto vio los relámpagos y oyó los truenos. Jorge se moría como si tal cosa.
Días antes de su muerte tuvo la extraña ocurrencia, a despecho de su familia y contra sus consejos, de pasarse escribiendo las horas muertas, y escribió más que ciento veintitrés escribanos en cuatro horas. Y se murió sin que su muerte tuviera nada de diferente de las demás muertes.

II

Cuando Juana supo la muerte de Jorge creyó que se moría también, pero no murió; «la tenía el Señor reservada para nuevos destinos». No murió, pero sí pasó en la cama unos días en los brazos ardientes de la fiebre. El doctor Tiempo la curó admirablemente sin emplastos ni potingues.
Juana sanó y fue poquito a poco recobrando sus colores…
Quieren decir estos puntos suspensivos que han pasado ya dos años. Juana tiene un nuevo novio, Emilio. Juana y Emilio se querían mucho, se querían tanto como se habían querido Jorge y Juana. Jorge quiso a Juana, y fue por ella amado, y ésta quería ahora a Emilio, que la quería. Este argumento se llama sorites.
Pero Emilio no murió, ni Juana tampoco; Jorge ya estaba muerto.
Pidió Emilio a la familia de Juana la mano de ésta, y de común acuerdo se concertó la boda para el día 5 de junio del año de 1…
Llegó el 5 de junio jadeante, pisando los talones al 4. La víspera de la boda, es decir, el 4, Juana se hartó de rezar, y en el hermoso horizonte de sus venideros goces veía de tiempo en tiempo la sombra negra de sus memorias viejas. «¡Pobre Jorge!», murmuraba, y era la verdad, ¡pobrecillo! Los casó el cura en la iglesia, y se fueron con los parientes y convidados, que sólo deseaban zambullir a la salud de los novios, como si la felicidad futura (como quien dice lo absoluto relativo) de éstos consistiera en la panza de sus parientes y allegados.

III

Llegaban a los postres cuando llegó como postre una carta para Juana. La que fue novia de Jorge y era mujer ya de Emilio se sobrecogió de espanto y quedó lívida. Los rasgos de la letra de aquel sobre eran los rasgos de la letra del difunto; aquellos palos de las eles, las haches y las ges, sus palos; aquellos puntos de las íes, sus puntos.
Todo el cuerpo le sacudió y se le fue la cabeza creyendo ver la huesosa mano del difunto que trazaba aquellos renglones. Volvió en sí y, más muerta que viva, rompió el sobre. Los convidados esperaban como palominos atontados el fin del suceso, pero sin dejar de comer.
Y leyó Juana esta

Carta

«Desde la tumba, 4 de junio de 1…

Cuando leas esta carta creerás ver la mano descarnada y huesosa de mi cadáver trazando sus muertas líneas. ¡Dales vida con tu mirada! ¡Quién lo hubiera dicho! Yo me morí y tú vives; yo te quise y tú quieres, no a la sombra de tu Jorge, sino a otro…, no sé a quién. ¿Conque te casas? Haces bien, y que sea enhorabuena. Pero te escribo no para reprocharte, ni para burlarme de ti, ni para pedir tus oraciones, sino para aconsejarte. Si llegas a ser feliz como espero, piensa que conmigo lo hubieras sido más; si alguna vez tu marido te falta, piensa que yo no te hubiera faltado, y si le faltas tú y lo comprendes y te arrepientes, piensa y cree que a mí no me hubieras faltado, y piensa siempre en mí para compararme con tu marido.
Aunque nazca alguno de tus hijos, si es que los tienes, el día de San Jorge, no le pongas por nombre el mío; renuncio a la parte (espiritual, se entiende) que en el angelito pueda yo tener.
No reces por mí; estoy bien y nada deseo; otros, vivos, habrá que necesiten más de tus oraciones.
Cuando algo te eche en cara tu marido, replícale. ¡Ay, Fulano, otra cosa hubiera sido mi Jorge! Verás cómo le escuece.
Piensa también a menudo que como mueren los amantes pueden morir los maridos. Por lo demás, mis consejos en otras menudencias nada tienen de nuevo; lee la Higiene del matrimonioel Arte de ser buenos y felices, el Arte de hacer maridos, el de cocina, la Guía de los casados y la Imitación de Cristo y asiste de cuando en cuando al oficio de difuntos.
Cuando te halles en las horas de mayor deleite no olvides que duerme lleno de frío y con la cabeza de hueso apoyada en almohada de piedra, solo y en un nicho estrecho, húmedo y oscuro, sin sentir el cosquilleo de los gusanos, tu
Jorge.»

Juana inclinó la cabeza sobre el pecho, perdió el color y cayó desplomada al suelo, presa de un terror pánico, estrujando en sus manos convulsas la carta maldita. Los convidados la acostaron y se fueron a sus casas cariacontecidos, aunque no sin haber llenado antes sus bolsillos de yemas, bizcochos, hojaldres y otras golosinas.

IV

Juana pasó los primeros días de recién casada horribles: en el delirio de la fiebre, veía ante su cama la imagen viva de Jorge el muerto, y a las veces daba un grito y quería saltar de la cama, viendo en ella el esqueleto blanco y helado de su antiguo novio. No prosigo en esto, porque no trato de hacer un cuento terrorífico.
Sanó del accidente, pero es lo cierto que toda la vida vivió presa de horribles pesadillas y de manías tristes. Ni la solicitud de su marido, ni las mil diversiones que la procuraba daban juego. A las noches, en el silencio solemne, daba a las veces un grito agudo y se abrazaba a su marido, diciéndole:

– ¡Emilio! ¡Emilio! ¡Guárdame! Mírale cómo se ríe.

No podía ver ni pintados la Higiene del matrimonioel Arte de ser buenos y felices, el de hacer maridos, y el de cocina, la Guía del matrimonio y la Imitación de Cristo. Le parecían libros escritos por el mismísimo demonio, siendo así que son lecturas sanas y alguna de ellas insuperable.

V

Jorge había tenido un solo amigo, Perico, con quien hablaba, paseaba, reía y lloraba.
Dos días antes de morir le llamó y, entregándole una carta, le dijo:

– Júrame cumplir lo que te encargo.

Perico juró.

– Toma esta carta abierta; si algún día sabes que Juana se casa, ábrela, llena los huecos de la fecha poniendo el día y el año de la víspera de la boda, y ese mismo día echa al correo la carta, pero sin mirar antes ni una jota de su contenido.
Perico juró cumplirlo y lo cumplió tan fielmente como suele un buen amigo y debe un buen cristiano.

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Eva Luna Mascolino ha 24 anni e si è specializzata in Traduzione alla Scuola per Traduttori e Interpreti di Trieste nel 2018, concludendo gli studi con il massimo dei voti. Ora è una traduttrice e interprete freelance, che coltiva il sogno di portare (o riportare) in Italia opere letterarie da tutte le lingue che conosce. Ogni mese tradurrà per noi un racconto dall’inglese, dal francese, dallo spagnolo o dal russo, accompagnandoci alla scoperta di culture, periodi storici e generi sempre diversi fra loro.



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