Numero 55 – Settembre 2019

La teca

da “Il Canto dell’eternità” di Francesco Conti

 

Eccomi, nel diniego

di un assenso taciturno

la luna mi deride

paradosso circense

dalla vuota cavea.

Aspide sui telamoni

scalai le teche insolute

i malleoli e il cuore

scandirono il precipizio.

Polpastrelli – ali d’avvoltoi

fu lo squadernare di cellulose,

lessi libri mai scritti

tradussi la chimera incatenata,

gli amanuensi mi odiarono

dai capolini dell’onciale:

Alessandria mi scacciò.

Ma luccicarono le ghiande

nella cera dell’oblio!

Ho invocato la notte

nutrito le sue meretrici

per i muti capricci del giorno

i vagiti barocchi dell’azzurro.

Minosse con me si aggira

ladri di ugule per zittire

un verbo che mai canterà.

E vecchiardo satirello

mi pianto bambino

per sbocciare sillaba.

 



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