Numero 54 – Luglio/Agosto 2019

Schegge e riflessi

di Carola Anaïs Maag

 

Mi scivola tra le dita il bicchiere che tengo in mano. Lo giro e lo rigiro, osservandone i riflessi intensi come schegge di smeraldo. Intorno a me sento indistinto un brusio. Forse ci sono delle persone. Sì, sono quelle con cui sono arrivato questa sera. Non riesco a concentrarmi su nient’altro se non sul bicchiere che stringo tra le mani. Mi giro distrattamente, porto lo sguardo fuori dall’enorme vetrata del locale. Guardo le strade illuminate a stento dalla fioca luce dei lampioni. Ombre che si susseguono, tutte uguali, indistinte. Quante vite che si perdono nella notte, anime in pena, forse, smarrite, come me, oppure esistenze colme di felicità. Il mio sguardo improvvisamente arretra, si fissa sulla vetrata stessa. La luce del locale è troppo intensa. Vedo il mio riflesso. Mi guardo. Non mi riconosco. Cosa ci faccio qui? Circondato da volti che mi sembrano così distanti, che si deformano in smorfie, in risate. Non riesco a decifrarli. Ogni tanto i loro occhi si fissano sul mio volto. Non saprei dire se si accorgono del modo in cui li sto guardando. Forse sono troppo concentrati sulla propria felicità in questo momento per permettere ad un corpo estraneo di disturbarli. Ho sempre avuto paura di contaminare chi mi stava intorno. Mi sono sempre sopravvalutato troppo, sicuramente. Nessuno fa caso a me, nessuno presta attenzione ad un elemento di disturbo. Mi eliminano dal loro campo visivo. È sempre stato così semplice. Ma non ho mai aperto gli occhi. Io, così freddo e cinico, sono sempre stato un essere nutrito profondamente di pura speranza. Ora è tutto morto, affogato, annegato in questo bicchiere che sta immobile di fronte a me. Ed io bevo a piccoli sorsi, gustando lentamente, questa sofferenza, densa ed acre, pungente, ma inebriante. Sono solo, lo sono sempre stato. Questo bicchiere è così freddo. Si sta svuotando. È meglio riempirlo ancora, e ancora, prima che quell’uomo nel riflesso mi guardi ancora con disprezzo.



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