Numero 51 – Aprile 2019

L’ombra  di Mr. Risin

di Claudia Muscolino

La vera poesia non dice niente, elenca solo delle possibilità, apre tutte le porte, e voi potete passare per quella che preferite.

Jim Morrison

 

Quando sono arrivato alla reception c’era una donna che avrebbe potuto essere mia madre però più brutta di come sarebbe stata lei alla sua età. A dire il vero, non la vedevo da vent’anni e, per quel che ne sapevo, poteva essere a marcire sotto terra in qualche squallido camposanto a Los Angeles. Quella donnetta con i capelli biondo cenere mi aveva accolto ubriaco fradicio, e aveva consegnato la chiave della camera con una mano sudata e tremolante guardandomi con gli occhi fuori dalle orbite. Sebbene avessi pagato in contanti dovevo averle fatto una pessima impressione.

Fuori infuriava uno dei tipici temporali dell’east coast e probabilmente ha pensato che fossi un evaso fuggito da un manicomio criminale, come in un b-movie.

Avevo scelto di chiudermi in un’anonima camera di motel lungo l’autostrada che porta all’aeroporto Logan. Il giorno prima avrei dovuto prendere quel volo della Air France per Parigi, invece non ero partito. Pamela mi aveva tempestato di telefonate sul cellulare ma io non le ho mai risposto. Alla fine avevo buttato il telefono nel cesso e tirato lo sciacquone.

«Adieu cher ami!» avevo sussurrato prima che l’acqua lo portasse via nel buco nero dello scarico. Mi ero anche fatto il segno della croce e poi avevo finito l’ultima bottiglia di Bourbon scadente. Al diavolo lei e le sue menate sul Marais! Non avrei finito la mia corsa in Francia tra quei maledetti mangia – aglio.

Stamani mi sono svegliato con un gran mal di testa: sono riuscito ad arrivare in bagno perché la vescica stava per scoppiarmi e la lucertola che ho fatto tatuare sul petto continuava a strisciarmi tra i peli intorno ai capezzoli, e più giù fino all’ombelico.

Ho ancora un po’ di spiccioli in tasca per chiamare Patricia e prendere un caffè; dopotutto, i poeti non hanno bisogno di soldi ma di una musa ispiratrice, forse anche più di una. Ho infilato le monetine nell’antiquato telefono a gettoni attaccato al muro, vicino al banco della reception; ho visto che di turno un uomo c’era un uomo che mi ha squadrato da capo a piedi con disprezzo: ma lui cosa può capire? È solo un povero schiavo del sistema, e come diceva Dio “Quando ti riconcili con l’autorità, diventi tu stesso un’autorità”.

Il telefono ha inghiottito i miei soldi gorgogliando famelico, ho composto il numero di Patricia con una certa difficoltà: poi è arrivato il segnale di libero direttamente da Brooklyn.

«Pronto? Pronto?» giù le monetine nella gola del mostro.

«Pat, ciao Pat. Sono io.»

«Io? Io chi?»

«Sono io, Jim. L’uomo che vuole sposarti.»

«Jim? Sei proprio tu? Ma non dovevi andare a Parigi con la tua serva?»

«No, no. Ho cambiato idea. Sono ancora negli Stati Uniti, vicino a Boston. Senti Patricia ho bisogno . . . ho bisogno di te. Sono in un cazzo di motel vicino all’aeroporto e. . . »

«Hai finito i soldi vero? Non puoi più sbronzarti e neanche comprare la roba. Ben ti sta, stronzo! Prova a vendere qualche tua poesia. Ora riattacco.»

«No, no Pat. Non riattaccare, ti prego! Devo scrivere e se non bevo non scrivo, e se non mi faccio non scrivo. Tu lo sai baby, lo sai che devo accendere il fuoco e aprire le porte della conoscenza. . . devo!» nel frattempo il portiere ha preso a fissarmi allarmato, come se fossi un povero pazzo da rinchiudere: secondo me, con quella divisa ridicola addosso è un povero illuso, proprio come mio padre. A proposito, non vedo da vent’anni neanche lui e potrebbe essere un cadavere già da un bel pezzo.

«Se hai bisogno di qualcuno cerca quella disgraziata di tua sorella o corri dietro a quella troia a Parigi. Sei solo un delinquente e una brutta copia di LUI. Vai a farti fottere Mojo!!!»

Ha riattaccato. Il telefono ha fatto clic e ha cominciato a ronzare come una mosca sulla spazzatura. Ho cercato di recuperare il resto ma niente da fare.

«Ho una sorella?»

Con la manica della camicia mi sono asciugato le gocce di sudore che scendevano dalla fronte.

«Mister Risin ha bisogno di qualcosa?» mi ha chiesto l’uomo della reception.

«Avrei bisogno di un caffè.» ho risposto sbattendo le palpebre per mettere a fuoco la sua immagine.

«Bene, glielo preparo subito.»

È sparito nella stanza che stava dietro al pannello delle chiavi: sono quasi tutte appese con i loro numeri rossi e ballano, felici come bambine a un saggio di danza. Mi sono appoggiato alla parete per cercare di far cessare quel beccheggio sotto i piedi, e con lentezza sono scivolato fino a terra. Mentre cercavo di rialzarmi il portiere è arrivato con una enorme tazza di caffè fumante. Mi ha guardato e ha lasciato tutto sul banco.

«Faccia con comodo Mr. Risin, lascio qui il suo caffè.» mi ha voltato le spalle con un certo imbarazzo, e si è seduto al computer facendo finta di dover controllare qualcosa di molto importante. Non era così stronzo come mi era sembrato alla prima occhiata.

Non sono riuscito a ricordarmi mia sorella, eppure – se l’aveva detto Pat – doveva esserci da qualche parte. Forse era tornata ad Albuquerque, oppure a Phoenix. Forse si era sposata, aveva cambiato cognome e  aveva un marito e dei marmocchi. Chissà.

Ho bevuto il caffè e sono rientrato in camera; mi sembrava di avere ancora un po’ di acido. L’uomo mi ha salutato con un cenno della testa e ha ripreso a lavorare al computer.

Niente acido, ho finito le dosi. Non ho più neanche il portatile, l’ho venduto. Ho soltanto la chiavette che mi aveva regalato Ray, mesi prima; aveva salvato tutte le mie poesie e poi era salito in auto con i ragazzi della band e se ne era andato. Non avevano tutti i torti, ormai non riuscivo  più a reggere un’intera serata su un palco; ero diventato una zavorra per loro. Però senza di me non sarebbero mai diventati un gruppo e adesso erano meno di niente. Ma questo non l’ho detto a Ray: sono sicuro che lui me l’abbia letto negli occhi quello che stavo provando. Aveva provato a sorridermi e mi aveva abbracciato goffamente.

«Abbi cura di te. La grande porta può aspettare.» si era sistemato gli occhiali sul naso e poi via.  Ero rimasto a lungo a guardare la strada vuota, con un sapore di sabbia e sangue  in bocca.

Dopo avevo girato tutti gli Stati Uniti per un tempo indefinito, insieme a Pam: ogni tanto ci fermavamo e io cantavo le mie canzoni in qualche locale da quattro soldi finché non ero troppo fatto o troppo sbronzo, e lei mi trascinava fino alla nostra auto.

Un bel giorno, lei aveva cominciato a parlare di Parigi. Mi ripeteva che quello era il posto giusto per me, per scrivere le mie poesie. Pensavo che avesse ragione; i più grandi poeti erano francesi, ma quando mi guardavo allo specchio vedevo solo una luna cieca che scendeva dietro la collina viola, e cani rabbiosi con la schiuma alla bocca che mi inseguivano. A volte, scorgevo sul mio volto l’ombra della faccia morta di mia madre che mostrava i denti.

Tutte le città che io e Pam avevamo attraversato, lungo quel vagabondaggio, avevano le strade vuote, la gente stava chiusa in casa e la notte mi svegliavo urlando; al posto della mia donna trovavo solo una bestia gocciolante che mi inghiottiva e mi risputava il mattino dopo.

Alla fine Pamela mi ha detto che aveva deciso di partire senza di me, che sua madre le avrebbe dato i soldi per andare a Parigi e un conte,  suo vecchio amico, l’avrebbe ospitata.

Ero disperato perché non sapevo cosa fare e non volevo perderla, ma lei non stava più a sentirmi. Così sono arrivato fino a qui, in questo motel appena fuori l’autostrada che conduce fino all’aeroporto.

Ho deciso di fermarmi giusto il tempo per pensare un po’.

Sarei riuscito ad aprire l’ultima porta con Pam? La grande lucertola diceva di no e neanche Patricia avrebbe potuto aiutarmi, dovevo essere solo.

Questo pomeriggio, sono andato fino a Cambridge. Vicino a un centro commerciale su MassAve ho ancora dei contatti; ho barattato la gomma di scorta con qualche blotter. Sono tornato in fretta al motel, nella mia camera, dove ho potuto incontrare di nuovo lo spirito del Grande Sciamano.

Indossava la pelle del lupo e il suo sguardo attraversava l’anima come se fosse stata di vetro. Sedeva davanti al fuoco e sentivo i colpi ritmici dei tamburi che creavano le parole delle mie poesie, direttamente dal centro della Terra.

Ascoltavo il battito del mio cuore che accelerava insieme al tempo del tamtam e lui mi segnava sulla fronte senza avvicinarsi. Eppure io sentivo le sue dita toccarmi e la sua mente che mi ripeteva senza sosta «Sii fedele al tuo spirito!.».

Sapevo che si riferiva alla morte, la mia unica e ultima amica, e mentre il trip stava per finire, ero salito sull’autobus blu che mi riportava a Los Angeles al “Whisky a Go Go”, mentre lo Sciamano bruciava dentro il falò.

Non volevo tornare indietro, volevo rimanere lì sospeso nel tempo e nello spazio a invocare la morte, ma un tuono mi ha svegliato. L’acqua era anche dentro la mia testa e i fulmini mi passavano davanti, simili a demoni danzanti vestiti di luce.

L’effetto dell’acido stava svanendo e le tempie pulsavano: mi sono inginocchiato davanti alla tazza del cesso per vomitare e poi ho perso i sensi.

Mi sono svegliato da poco: il sole è tramontato e perdo sangue dal naso. Scivolo due volte sul pavimento di questo bagno puzzolente, finché non mi aggrappo al lavandino e mi rimetto in piedi.

Spio la mia immagine riflessa. Somiglio a quei poveri indiani morti nell’incidente che avevo visto da bambino, oppure era stato solo un sogno. Mi sciacquo la faccia: ora va meglio, se non altro ho tolto il sangue.

La cosa migliore è fare un bel bagno caldo così apro il rubinetto e lascio scorrere l’acqua calda nella vasca segnata da righe nere.

«Ma chi se ne frega!»

Mi domando dove sarà Pamela in questo momento: sarà con il suo maledetto conte a Parigi? Staranno scopando?

Mi preparo con cura poche piste sul comodino, che ormai somiglia a un giardino zen; mi spoglio ed entro nell’acqua calda, appoggio la testa e chiudo gli occhi.

La grande lucertola sale sul mio corpo nudo ma io la lascio fare.

Dormirò e poi deciderò se prendere un fottuto aereo o restare qui, dietro la porta.



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