Sibilo d’amore
Alle pareti, come schizzi d’amore improvvisi, colava il sangue che poco prima le irrorava il cuore e le gambe, e il cervello e tutti gli altri organi. Era stesa a terra con il respiro debole e le mani fredde. Un rivolo rosso porpora le scivolava lungo il ghigno che i pugni di prima le avevano disegnato su quella faccia ormai tumefatta: l’occhio destro era quasi del tutto chiuso dal gonfiore, la palpebra sinistra graffiata, il labbro inferiore bucato, un lobo era saltato. La pelle del ventre era nera come la pece e le gambe sembravano uscite da fitti cespugli di rovi amari. Eppure, aveva ancora quel ghigno disegnato su quel viso sfatto dai colpi, un bel ghigno da combattente. Avrebbe voluto, forse, combattere per professione, ma non era mai stata incline a sacrificarsi più del dovuto e “si combatte solo per due motivi” – le diceva da sobrio suo nonno – “fame o rabbia”. E aggiungeva: “tu ragazza mia non hai né l’una né tantomeno l’altra!”…Continue reading
Ricordati di santificare le feste
di Eva Luna Mascolino
Era successo esattamente alle ventitré e tre. Se lo sarebbe ricordato per sempre la zia Mara, che aveva l’orologio un po’ indietro e lo aveva appena sintonizzato con quello del televisore, giusto per essere sicura che sarebbe arrivata alla mezzanotte nello stesso istante di tutti gli altri. La zia Mara teneva particolarmente alla precisione, allo spirito di gruppo – e non a caso era lei a coordinare il coro della parrocchia di San Michele.
In soggiorno non ci poté fare caso nessun altro, all’ora esatta. Un po’ perché qualcuno era troppo concentrato a vincere a briscola, soprattutto nonno Gianni, con la sua solita espressione da non cercate di fregarmi solo perché ho più anni di voi, un po’ perché i bambini facevano troppo chiasso per terra, un po’ perché c’era Luisa che stava suonando all’ukulele War is over di John Lennon e nessuno si sarebbe messo a guardare il vecchio pendolo proprio in quel momento, per una questione diciamo così di rispetto.
Tuttavia, la nonna Sara se n’era fregata della disattenzione degli altri e aveva deciso di morire in quell’esatto secondo, alle ventitré e tre del ventiquattro dicembre, sulla sedia marrone che sceglieva sempre per prima se bisognava sedersi a tavola…Continue reading
Stanza 84 “YULE”
di Giampaolo Giudice

Alla fine l’apocalisse è un fatto personale, ognuno ha la sua, proprio come ognuno genera il proprio inferno privato abitato da tutti i suoi fantasmi prediletti.
I miei sono diventati così numerosi da non riuscire più a contarli; tanti da non spaventare più, da sorprendermi quando ne vedo tornare uno da lontano. Numerosi e fitti come i fili d’erba cresciuti fra le ossa di tutti i “me stesso” lasciati esposti negli anni a formare la moltitudine che sono oggi.
Radici piccole, singolarmente delicate quanto forti se messe vicine. Sono quelle miriadi di radici alimentate dai cadaveri del mio passato, a tenermi assieme nell’uomo che sono oggi. Chissà se lo sanno, chissà perché lo fanno. Infinite singolarità quotidiane, ed anni fatti di momenti impazienti…Continue reading
Gli inseparabili
di Elena Ramella

Le baciò il dorso della mano. Baci leggeri sulla pelle sottile delle mani, tra i piccoli avvallamenti delle nocche, sulla punta delle dita. Labbra leggere su fiumi azzurri di vene in trasparenza.
“Non baci solo le mie mani, baci le onde, il lento rullio del mio cuore, l’ondeggiare del mio sangue.”
Quattro polpastrelli dietro la nuca, una carezza. Seduti su un divanetto di finta pelle, appiccicoso, lei aveva guardato fuori dalla vetrata. Poco prima, tra i corridoi del supermercato, aveva visto una coppia di signori anziani fare la spesa, lui appoggiato al carrello, lei indecisa davanti allo scaffale dei bagnoschiuma. Aveva pensato, guardandoli, a quegli uccellini, gli inseparabili, che quando uno dei due muore, l’altro si lascia morire a sua volta. Le avevano raccontato storie terribili di uccellini rimasti senza il loro compagno che avevano smesso di mangiare, di bere, che avevano guardato col becco aguzzo rivolto verso le sbarre della gabbietta il papà avvolgere il corpo del loro amato in un piccolo straccio bianco e richiudere la porticina. E si erano lasciati morire. Si erano nascosti in un angolo della gabbia, al buio, immobili, gli occhi neri coperti da uno strato sottile di palpebra, ed e un giorno erano semplicemente morti, di malinconia, di crepacuore, di dolore, di solitudine. Non aveva mai voluto una coppia di inseparabili. Non avrebbe mai sopportato tutta quella sofferenza. Ma ci aveva ripensato, in quel momento…Continue reading
Pareti
di Michela Valente
La giornata era iniziata male. Un rumore assordante l’aveva strappato al sonno e al sogno che stava facendo. Si trovava in casa dei suoi genitori, la casa della sua infanzia, correva lungo il corridoio perché qualcuno lo inseguiva, giunto alla fine del percorso non c’era nessuna porta, solo il balcone. Con l’inseguitore alle calcagna, uscì sul balcone, scavalcò la ringhiera di ferro e si buttò giù. Chiuse gli occhi per non vedere l’approssimarsi del suolo, ma non stava precipitando… fluttuava! Sì fluttuava, a mezz’aria, con il giardino di uno dei condòmini sotto i suoi occhi. Poi si era svegliato a causa di quei rumori e adesso era inchiodato al letto, immobile, con lo sguardo rivolto al soffitto, ponendosi tante di quelle domande esistenziali, quelle che ci si fa la mattina solo per procrastinare l’inizio della giornata, non certo perché si spera di giungere a delle risposte. A fatica sgusciò fuori dal piumone e si diresse in cucina per fare colazione: latte, cereali, caffè. Tutto come il giorno prima, fatta eccezione per quei suoni insopportabili. Si avvicinò allo spioncino della porta e osservò. Nel pianerottolo c’era un via vai di persone che entravano nell’appartamento di fianco al suo. Avrebbe avuto un nuovo vicino nell’arco di pochi giorni, e questa non era certo una cosa di cui poter essere felici. Un intruso in casa sua, perché con le pareti sottili di quell’appartamento avrebbe sentito tutto e sarebbe stato come vivere con un’altra persona…Continue reading
Nella notte finiscono solo poche cose
di Sabrina Maio

Gli spari in cielo durante le feste fanno paura ai cani, ai bimbi ed ai pazzi. Nuccio ne era spaventato quando scoppiavano così a mezz’aria per annunciare la processione che iniziava il suo percorso per le vie del paese. Correva veloce in casa a ripararsi. Metteva la testa sotto il cuscino. La gente in paese lo burlava per questo. A volte gli urlavano addosso o gli dicevano che sarebbero esplosi da lì a poco per vederlo scappare e deriderlo. La sera, però, ne aveva meno paura, li aspettava, incantato. Gli piacevano molto anche le illuminazioni colorate che installavano per la festa, ma erano lì fisse, meno misteriose e poi di giorno erano spente ed anonime, come se niente fosse. Li sognava perfino certe volte nelle sere d’inverno, quando si addormentava accanto al camino. Sognava di seguire la banda allegra sul finire della festa nel momento in cui la statua del Santo doveva rientrare e da lì a poco i fuochi sarebbero scoppiati. Il primo colpo era un tonfo, un rumore secco e cupo. Poi in alto iniziava una scia colorata d’ oro, verde, rossa che sfumava fino a finire chissà dove. Ne seguivano altri poi con tanti tanti colori luminosi nel cielo buio. Con gli occhi colmi di meraviglia…Continue reading
Bon voyage
di Giuseppe Caretta
Il tuo corpo su di una branda. Schegge di te dappertutto. Dentro e fuori di me un vuoto cosmico. E tu al centro. Hai mai visto tanta sollecitudine in altri occhi che non i miei? Ora so di volerti desiderare.
Carezzami con le tue mani di giada, tu che sdraiata mordi pigramente le pagine di un libro. Perché non è abbastanza il mio corpo, cadutoti accanto? E quando ti alzi e vai via, la stanza vibra al tuo battere d’anche, e a me sembra che la polvere crepiti sotto i tuoi piedi in microscopiche galassie. Sento ogni potenza misteriosa del tuo corpo, che è una tipologia remota di tempio al cui interno spira un caldo vento orientale e nelle cui stanze l’aroma della mirra, del cinnamomo, si rovesciano in fiumi sotterranei indecifrabili e magnetici.
La tua mano stringe un bicchiere e beve. E quando beve lei, beve tutta l’anima tua, che non sai scinderti dalle cose che fai, e che in ogni atto trovi un pozzo dentro cui cavarti l’anima dal petto. Quanto t’invidio questo senso d’indifferenza che ti porta a suicidarti. Cercando di attirare la tua attenzione, adesso che ti sei allontanata, finisco col dire qualcosa che è terribilmente vuota, una minaccia che cade in terra e che nessuno di noi due si degna di raccogliere. Morirà lì, la vedo, travolta da cascate di indifferenza. Anche questi, in fondo, sono strumenti camuffati, modi di usare il potere sugli altri.
Poi torni indietro e ti rimetti a sbeffeggiare la serietà del mondo. Come fai ad essere così allegra mentre rintoccano le campane del silenzio? «Il caos è l’unico silenzio che ristora – dici -. Ed è più caldo del Polo Nord. Attorno a lui non si può morire che di gioia». Fra me e te tutta una sottilissima trama di oggetti che mi son scordato di sentire – mio unico modo per conoscere. Cerco l’eco di distanze che ritornano come scandagli, la consistenza formale d’ogni cosa che viva senza confini di sorta…Continue reading
… Erano i capei d’oro
di Marco Pellegrini
La casa era in Corso Venezia 19, tanto per dire. Gente piena di soldi, alta borghesia milanese. I camerieri servivano un cocktail molto alcolico, faceva caldo, nonostante una leggera brezza serale. Mi guardavo intorno, cercando di apparire a mio agio. Non era facile. Ero finito a quella festa di compleanno quasi per caso, l’amico che mi ci aveva invitato aveva avuto un contrattempo, all’ultimo minuto non era venuto. Non conoscevo nessuno. Dopo un po’ avevo cercato di attaccare discorso con una ragazza che se ne stava seduta tutta sola in un angolino. Sembrava l’unica a non divertirsi. Era vestita di nero, le dita laccate, che giocherellavano nervosamente sull’orlo di un bicchiere.
– Qualcosa non va? – le avevo chiesto.
– Nulla, a parte che ho voglia di bere.
Si chiamava Laura, era la sorella della festeggiata e aveva gli occhi di uno strano colore…Continue reading
Muore una donna
di Giusy Sciacca
una sera,
sul divano,
sola.
Si dissolve
nel fumo di se stessa
e della sigaretta
che ha spento
senza pietà;
si scioglie
tra le lacrime..Continue reading
Tre Momenti dell’Amore
di Valentina Casadei

MATTINO
Al mattino
Mi svegliavo con il rumore del parquet che scricchiolava
Ti eri alzato prima di me.
Io tenevo gli occhi chiusi
Giocavo al morto
E non muovevo nessuna parte di me
Tu credevi che dormissi
Ti avvicinavi
Spostavi i miei capelli dagli occhi
Pulivi la fronte
La preparavi al tuo bacio
Al tuo risveglio prezioso e segreto
Che neppure a me potevi svelare.
Mi dicevi “Buongiorno” ed andavi a lavoro.
Volevo aprire gli occhi….Continue reading