Numero 49 – Dicembre 2018

… Erano i capei d’oro

di Marco Pellegrini

 

La casa era in Corso Venezia 19, tanto per dire. Gente piena di soldi, alta borghesia milanese. I camerieri servivano un cocktail molto alcolico, faceva caldo, nonostante una leggera brezza serale. Mi guardavo intorno, cercando di apparire a mio agio. Non era facile. Ero finito a quella festa di compleanno quasi per caso, l’amico che mi ci aveva invitato aveva avuto un contrattempo, all’ultimo minuto non era venuto. Non conoscevo nessuno. Dopo un po’ avevo cercato di attaccare discorso con una ragazza che se ne stava seduta tutta sola in un angolino. Sembrava l’unica a non divertirsi. Era vestita di nero, le dita laccate, che giocherellavano nervosamente sull’orlo di un bicchiere.

– Qualcosa non va? – le avevo chiesto.
– Nulla, a parte che ho voglia di bere.

Si chiamava Laura, era la sorella della festeggiata e aveva gli occhi di uno strano colore.

Aveva anche labbra ben disegnate.

E capelli d’oro che le cadevano sulle spalle nude.

– Perché mi guardi? – aveva detto.
– Cercavo qualcuno con cui parlare.
– Non sono dell’umore. Ho appena litigato col tipo.
– Mi dispiace.
– A me no, è una storia che doveva finire.

Sulla terrazza era arrivata un’enorme torta di compleanno, sormontata di candeline. Sua sorella distribuiva sorrisi, Laura continuava a fumare.

– Che cosa fai nella vita?
– Il prof d’italiano.
– In un liceo?
– No, un istituto professionale.
– Pensavo che i professori fossero più vecchi.
– C’è qualche un’eccezione.

Mi aveva sfiorato con gli occhi.

– Quindi insegni poesie.
– Più o meno.
– A me piacciono quelle d’amore.
– Allora sono il tuo tipo.
– … Davvero fai il professore?
– “Io m’aggio posto in core a Dio servire …”
– Chi è?
– Nessuno.
– Andiamo via dalla terrazza. – aveva detto Laura – Gli amici di mia sorella fanno un casino infernale.

Mi aveva portato in un salottino al piano di sotto, aveva chiuso la porta a chiave.

– È lo studio di mio padre. – aveva detto – Adesso è a Roma per lavoro.
– Che cosa fa?
– Il senatore.
– Cavolo, di quale partito?
– Non posso dirtelo.
– Perché?
– Lui non vuole.

Laura mi aveva messo le braccia al collo, s’era come lasciata cadere.

– Non ho mai scopato con un professore.
– C’è sempre una prima volta.
– Recitami qualche verso.

Non era così facile, mi continuava a toccare. Poi m’è venuto in mente che si chiamava Laura.

Che era una bionda naturale.

– … Erano i capei d’oro a l’Aura sparsi … – avevo cominciato.

L’endecasillabo è stato afrodisiaco, non sono riuscito ad arrivare al secondo verso che lei s’è sfilata le mutandine. L’abbiamo fatto su una poltrona di velluto, un mobile della Rivoluzione Francese.

È stato anche dolce.

Alla fine Laura s’è riabbottonata il vestito, scoprendo il piccolo crocifisso di diamanti che le aveva regalato il papà senatore.

– Che strano. – aveva detto – Non so nemmeno il tuo nome.
– Francesco Petrarca.
– Scherzi.
– Per niente.

Pensavo che la letteratura fosse una droga naturale, altro che l’ecstasy. M’ero sentito molto didattico, pensavo di dirlo ai miei studenti.

Che sono sempre a corto d’avventure.



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