Nella notte finiscono solo poche cose
di Sabrina Maio

Gli spari in cielo durante le feste fanno paura ai cani, ai bimbi e ai pazzi. Nuccio ne era spaventato quando scoppiavano così a mezz’aria per annunciare la processione che iniziava il suo percorso per le vie del paese. Correva veloce in casa a ripararsi. Metteva la testa sotto il cuscino. La gente in paese lo burlava per questo. A volte gli urlavano addosso o gli dicevano che sarebbero esplosi da lì a poco per vederlo scappare e deriderlo. La sera, però, ne aveva meno paura, li aspettava, incantato. Gli piacevano molto anche le illuminazioni colorate che installavano per la festa, ma erano lì fisse, meno misteriose e poi di giorno erano spente e anonime, come se niente fosse. Li sognava perfino certe volte nelle sere d’inverno, quando si addormentava accanto al camino. Sognava di seguire la banda allegra sul finire della festa nel momento in cui la statua del Santo doveva rientrare e da lì a poco i fuochi sarebbero scoppiati. Il primo colpo era un tonfo, un rumore secco e cupo. Poi in alto iniziava una scia colorata d’ oro, verde, rossa che sfumava fino a finire chissà dove. Ne seguivano altri poi con tanti tanti colori luminosi nel cielo buio. Con gli occhi colmi di meraviglia stava con lo sguardo fisso in alto mettendosi la mano sul petto, come per trattenere il cuore che batteva all’impazzata. Sembrava che il colpo sparasse dentro di lui. Spesso le scie colorate sembrava che gli potessero cadere in testa e invece scomparivano chissà dove. Il suono della banda lo inebriava e non gli faceva capire che fine facessero quegli arcobaleni notturni. Sarà stata colpa anche dei suoi paesani che, nel vederlo li ad occhi luminosi, spietati e burloni com’erano, lo canzonavano e strattonavano a destra e manca, facendoglieli perdere. Dopo ogni festa tornava a casa con questo dubbio. L’indomani tornava nelle terre secche del paese a vedere se c’era una traccia, un qualcosa. Mai niente. Delle scie luminose non trovava nulla. Finchè un giorno pensò che doveva andarle a vedere nelle campagne dove sembrava che si dileguassero di sera per capire dove effettivamente andassero, perché era probabile che posatisi a terra scappassero via. E bene facevano ad andarsene via con tutta questa gente cattiva, come erano i suoi amici sempre pronti a dargli fastidio e a fare scherzi cattivi. Ci sarebbe voluta solo la sua buona mamma, a poterli proteggere, come faceva con lui da lassù in cielo. Doveva aspettare semplicemente la prossima festa e acquattarsi di nascosto nel bosco tra gli alberi e vedere dove andavano e magari seguirli.
E venne la festa di Sant’ Eulalia, Nuccio era pronto per la sua missione. Aveva preso la via che lo portava fuori dal paese, passando tra le case deserte. Tutto era spento e silenzioso, se non fosse stato per la luce fioca che proveniva dalla stanza di Angiolina che era in punto di morte, da come si mormorava in paese. Sfiorando il muretto di cinta di quella casa, recitò una preghierina per lei. Quanto sembrava grande la notte, a Nuccio faceva paura. Avrebbe voluto rimpicciolirla come le immagini che aveva visto una volta in un binocolo girato al contrario. Era rimasto colpito una volta da questa cosa a casa di don Edoardo il nobile del paese. Girovagava nel palazzo e mentre lo aspettava aveva preso questo oggetto strano e aveva appoggiato gli occhi come gli veniva più comodo dalla parte larga e aveva visto tutto così piccolo, quasi indecifrabile. Era stata la risata di don Edoardo che l’avevo colto a guardare dalla parte sbagliata a interrompere il suo stupore. Gli aveva fatto rigirare il binocolo dalla parte giusta e tutto ad un tratto si era dilatato. Anche se ancora oggi non riusciva a capire cosa comunque gli interessasse vedere di fronte. C’erano solo case anonime e spente, tranne la finestra sempre aperta della stanza di Lisetta, la bella e sfacciata del paese. Forse lei…
Ma la notte l’attendeva ora ed era impressionante come fosse diverso entrarci dentro, lasciando il frastuono della festa. Ne era inghiottito. Le ombre gli facevano meno paura, ma quanti animaletti erano vigili quella notte! Lo stordivano e sperava tanto che non lo facessero anche con le scie dei fuochi. Non poteva farsele sfuggire. Era stordito dalle tante cicale e grilli, e se guardava su in alto, sui rami, riusciva ad intravedere appollaiate sui rami anche civette e barbagianni. Avanzava in preda all’ansia di non essere nel posto giusto per vederli arrivare a terra. Ad un certo punto decise di fermarsi sotto un albero ad aspettare. Gli sembrava il posto giusto. Capì dal motivo della marcia della banda che la processione stava per finire e che a breve avrebbero iniziato a sparare. Ci fu un primo tonfo, sordo e cupo. Avvisava l’inizio. Nuccio non sentiva più la saliva in bocca. Iniziarono deboli fuochi colorati rossi e verdi che finivano con delle stelline ma non andavano dalla sua parte. Ci fu una prima pausa. Poi ne arrivarono alcuni dorati che sembravano delle palme. Erano i più belli per lui. Fischiavano e crepitavano ma, stordito, non riusciva a seguirli. Sembrava sempre che fosse vicino ma poi si dileguavano. Allora iniziò a correre all’impazzata e a spostarsi a destra e manca per acchiapparli. Se qualcuno avesse potuto aiutarlo, magari mettersi di guardia con lui per avvisarlo sulla direzione che prendevano. Annaspava e non riusciva a vedere dove finivano. Sentiva solo scoppi, fischi, fragori e odori di bruciato. Fu in un solo momento che si fermò ansimante e vide la scia giusta che si preparava a scendere verso di lui. Prese la rincorsa e con un guizzo fu sotto l’albero sulla cui chioma doveva arrivare il fuoco. Cosi fu e lui allargò le braccia contento con la bava alla bocca, pronto ad accoglierlo. La luce era forte, i suoi occhi vividi erano spalancati e pronti ad accogliere quella scia. Ad un certo punto sentì un fragore piombargli in direzione della testa. Doveva assolutamente abbracciarlo come faceva la mamma con lui. Fu il sorriso luminoso di Nuccio, fu la luce e il calore più grande che lui avessi mai potuto contenere, e nulla più…
La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte.
Louis Ferdinand Celine