Numero 48 – Novembre 2018

Götterdämmerung

di Sonia Aggio

Durante la lettura si consiglia l’ascolto della playlist Götterdämmerung.

 

I. Preludio

Due uomini entrano nella stanza. L’ufficiale indossa un’uniforme da cerimonia, il soldato un cappello e un pastrano spolverato di neve. La tavola è apparecchiata per due: bicchieri di cristallo, tovaglia bianca, piatti di porcellana, posate d’argento. Accanto alla finestra, un orologio a pendolo segna le cinque e quarantatré.
L’ufficiale esce e torna con una bottiglia impolverata. Fischietta versando il vino nei bicchieri. Il soldato è fermo in mezzo alla stanza, bloccato nell’atto di sfilarsi un guanto. L’ufficiale lo guarda, beve un sorso e si asciuga le labbra.

— Bello, eh? L’ho fatto arrivare dalla Germania. Aspetta, voglio che lo guardi bene.

Accende le candele sul tavolo. La luce allontana le ombre azzurre dell’inverno polacco, l’oro dei gioielli, il borgogna dell’abito, il corpo rosa di una giovane donna si accendono sulla tela. L’ufficiale emette un sospiro compiaciuto.

— Dove eri? A Stoccarda?

Il soldato china il capo, si toglie i guanti con le mani che tremano, comincia a scuotere la testa.

— Berlino — risponde — 1941.

Alza le mani bianche e si toglie il cappello. Croste, chiazze di pelle nuda, vene bluastre, sangue, capelli spezzati. L’ufficiale sussulta. — Che cos’ha la tua testa?

Il soldato si volta. — La mia testa — risponde — è una palude in cui camminano i morti.

II. Smascheramento

Augustus von Schonborn tira fuori la pistola. — Siediti — dice agitando la mano. Margarete, con la sua testa piena di infezioni e il pastrano rubato a un cadavere, appoggia il cappello sul tavolo e obbedisce. Lui la guarda, cerca di ricordarla con i capelli lunghi e le labbra dipinte, ma le sue ferite sono troppo nauseanti, deve distogliere lo sguardo.

— Adesso ascolta — continua sedendosi davanti a lei, puntandole la pistola nella pancia. — Ti dirò come sono riuscito a smascherarti.

“Ci muoviamo in una pianura senza luce, all’orizzonte si aprono i bulbi arancioni dell’artiglieria e ci chiediamo se saremo colpiti, se la prossima fiammata sarà la nostra. Mi tradisce la neve e una radice sommersa; sento la caviglia girarsi nello stivale, e cado. Lascio cadere il fucile, attutisco la discesa con le mani. Non è successo niente mi dico. Poi gridano i russi, ritirarsi e io comincio ad annaspare, sento il fuoco nella gamba e so che non posso alzarmi, non posso correre. Gli altri mi passano accanto e tornano verso le retrovie, mi ignorano.
Mi dico ne porterò qualcuno all’inferno con me e armo la pistola, poi arrivi tu. La tua faccia è sopra di me, hai il naso e le guance rosse, il fucile penzoloni. Hai le sopracciglia sporche di neve. Mi dici alzati, stanno arrivando e io urlo ho una gamba rotta, non posso e tu mi prendi per le ascelle e cominci a trascinarmi sulla neve. Io tengo la pistola con entrambe le mani e mi guardo attorno, sono ansioso, mi aspetto di vedere i nemici venirci incontro e penso che ti difenderò perché stai provando a salvarmi.
Ci infiliamo in una trincea. Ti dico grazie, mi hai salvato la vita. Come ti chiami? e tu rispondi soldato Karl Wolff, signore. Poi mi guardi, e diventi livido. Prima che possa chiederti cosa succede salti fuori dalla trincea e corri verso la prima linea. Ti urlo fermati, ma tu sparisci.

Più tardi vengo a sapere che ti sei salvato, sei tornato lucido e ti sei aperto la strada con un MP40. Sono felice che tu sia vivo, ma qualcosa comincia a tormentarmi. Mi chiedo perché è scappato, perché mi ha guardato in faccia e si è spaventato? e sento un motivetto, ma quando provo ad afferrarlo si dissolve. Eppure penso a te e sento la musica.
Faccio qualche ricerca — Karl Wolff viene da T. e scrive alla madre ogni settimana. Scopro che sua madre non ha sue notizie da dieci settimane e mi dico è impossibile, Wolff è vivo, è qui e sento quella musica che mi tormenta.

Poi capisco.”

Un bel dì vedremo, Madama Butterfly — conclude Augustus, prendendo la bottiglia. L’uomo si versa un altro bicchiere, poi si appoggia allo schienale della sedia e aspetta. Margarete resta in silenzio e giocherella con i guanti, poi gira su di lui gli occhi alieni.
— Cosa vuoi da me? — chiede. È sorprendente che quelle labbra esangui riescano a muoversi.
Augustus si raddrizza e appoggia i gomiti sulle ginocchia. — Voglio che tu mi dica cosa ti ha portato qui.

III. Vino

“Di fronte a me, confuso dalla luce dei candelabri, c’è un uomo anziano che mi sorride. Io sposto le forchette sulla tovaglia, avanti e indietro, guardo il mio bicchiere e penso che vorrei essere a casa.
Quando la sedia accanto a me viene tirata indietro, tengo gli occhi bassi. Poi sento un gorgoglio: il mio vicino sta riempiendo il mio bicchiere. Guardo il vino dorato che ribolle nel calice e faccio un piccolo cenno di ringraziamento.
Poi sento un tramestio, un soffio sull’orecchio. — Penso che dovresti bere questo vino, è freschissimo. Ti vedo un po’ accaldata.
Deglutisco, prendo il bicchiere. Non mi piace il sapore del vino, è amaro e non mi toglie la sete; mi resta un po’ di condensa sulle dita, mi sfioro le guance per rinfrescarle. Il mio vicino ride, poi mi si avvicina — con la coda dell’occhio vedo un’uniforme verde, un viso dorato. Divento rossa, mi sento scoppiare.

— Vorrei scusarmi per averti dato del tu — dice lui.

Devo alzare gli occhi, non posso fare altrimenti. Ho diciassette anni, Helmut Vogt ne ha ventiquattro ed è già un eroe di guerra. Lui mi guarda e sorride.

Sto ridendo quando ci servono il dolce, una Käsekuchen. Mi sposto per fare spazio al cameriere e urto la donna alla mia sinistra. Mi scuso; quando mi volto, trovo Vogt proteso verso di me: mi porge un pezzo di dolce sulla sua forchetta. Io scuoto un po’ la testa, lui resta fermo. Accetto la sua offerta, i suoi occhi sono languidi e luminosi. Sento il chiacchiericcio attorno alla tavola fermarsi e riprendere secondo un altro ritmo, diventa un mormorio basso e insistente.
Io mi vergogno, Vogt è raggiante e sicuro, finisce la sua fetta di torta e beve il suo vino, si volta a parlare con i suoi ammiratori, si accende una sigaretta e ride. Quando distoglie lo sguardo, sento il bisogno di alzarmi e allontanarmi. Mi scuso, esco dalla sala.
So che mi ha seguito — il rumore in sala da pranzo si è smorzato, il tavolo si è fatto meno interessante. Mi volto, ha due bicchieri in mano.
Faccio un mezzo sorriso e scuoto la testa. — Non mi piace — dico.
Lui sembra sorpreso. — Mi perdonerai allora, te l’ho servito per tutta la sera.
— Non mi ha dato fastidio. Vi ringrazio — ho il fiato corto. Mi sposto verso la finestra. Vogt lascia i bicchieri su un tavolino e mi segue. I miei occhi sono fissi a terra, sulla mia gonna che scivola sugli intarsi floreali del pavimento, sui suoi stivali lucidi che mi accompagnano. Ci fermiamo.
— Vorrei accompagnarti a casa. È possibile? — mi domanda. Lo guardo: alto, dorato, ordinato, ha le mani dietro la schiena e una benda bianca sull’orecchio sinistro. Guardo le medaglie scintillanti che gli fregiano il petto e dico sì.

Corriamo su una strada deserta, a fari spenti, poi Vogt frena. La luce cade sulle mani di Vogt strette sul volante, sul mio vestito. Ci guardiamo. Ci baciamo, lui si ritrae con gli occhi chiusi, io appoggio la testa al finestrino, guardo in alto, vedo un volo di stelle. Lui si schiarisce la voce, io gli accarezzo i capelli e guardo il sangue che macchia la garza.

— Domani parto. Non so quando tornerò — mi dice. Poi mi bacia ancora, ed è dolce.”

IV. Madama Butterfly

Margarete abbassa la testa, prende il bicchiere sul tavolo. Il vino è scuro come sangue. La neve preme con mille dita contro le finestre. Augustus batte le palpebre, stupito. — Hai avuto una relazione con Vogt? — domanda. E poi: — E questo cosa c’entra con…
Margarete alza la testa di scatto, una lacrima le scivola sulla guancia.

— Anche tu eri allo spettacolo — sussurra — mi hai sentito cantare Un bel dì vedremo… è stata l’ultima licenza di Helmut, ed era così stanco di volare, mio Dio… ad un certo punto si è disteso su di me, ha poggiato la testa sulla mia spalla e si è addormentato. Quando si è svegliato mi ha detto “ti scriverò, Margarete, ti scriverò”, mi ha baciato e se ne è andato.
— Continuo a non capire — sbotta Augustus.
— Poi ha chiamato un ufficiale — urla Margarete. — Ho chiesto: “Helmut?” e lui mi ha risposto: “No, sono Lothar. Mio fratello…”

“Risento la voce metallica di Lothar. Lo sento mentre legge il bollettino per me, al telefono. Guardo la campagna grigia e azzurra e il corpo presenta una sola ferita mortale il foro d’entrata è localizzato sotto la scapola destra il foro d’uscita si trova accanto al capezzolo sinistro.
Se apro le mani trovo le lettere che Helmut non mi ha mandato. Tre settimane di silenzio, e ho pensato a quale motivo lo avesse tenuto lontano. Ora lo vedo entrare e uscire dalla stanza, senza togliersi il giubbotto, la penna aperta che si secca sul tavolo. Lothar resta in silenzio, poi mi dice io non credo che sia caduto. E io rispondo: cosa? E lui mi dice…”

Le labbra di Margarete si contraggono. — E lui mi dice: “Un soldato mi ha chiamato all’ospedale. Stava morendo. Mi ha detto che ha visto la scena, che ha beccato una scheggia nello stomaco in quel momento. È stato uno dei nostri a colpire l’apparecchio di Helmut. Ha visto anche il simbolo: un grappolo rosso. Non capisco perché l’abbia fatto, ma è stato Augustus von Schonborn ad uccidere mio fratello”.

V. Spannung

Le spalle tremano, la mano suda nel guanto. La pistola vibra leggermente. Una candela si spegne, l’ombra cala sul viso di Margarete. Augustus si lecca le labbra, sente il sapore salato del sudore. Lei riprende a parlare piano, calma.
“Hanno bombardato la stazione di T., Karl Wolff è morto lì. Gli ho preso i vestiti e i documenti, sono salita su un altro treno che andava a Est. Passiamo per la città di Helmut. Sento le lacrime gonfiarmi gli occhi. Il treno si ferma. Sulla banchina vedo uno striscione scolorito e alcune corone funebri, con i fiori secchi sparsi a terra. Un sole malato sguscia fuori dalle nuvole.
C’è un attimo di silenzio e respiri pesanti, poi il macchinista suona la sirena. Tre lunghi fischi che mi passano attraverso, mi rompono. Vorrei piangere, invece resto immobile. Ripartiamo, mi aggrappo con gli occhi al campanile bianco — la statua sulla cima è stata coperta con le reti mimetiche, ma resta fuori una mano dorata, puntata verso il cielo.
Quando torno a sedermi, il mio cuore è ridotto in schegge.

Penso: Voglio morire. Voglio morire. Voglio uccidere Schonborn.

Augustus trema ancora. Sente un grido alle sue spalle. Si volta, spaventato, poi torna a guardare in avanti. Per un attimo fissa Margarete, stupito, poi accade.
Lei si slancia in avanti, allunga il braccio. Il vino risale nel bicchiere, si espande nell’aria, verso la sua faccia. Augustus chiude gli occhi. Spara, sente un colpo sulla mano. — Brutta stronza! — sibila, con il vino che gli brucia gli occhi. Sente un tonfo, un rumore di passi. Si volta: nella stanza sono entrati il suo attendente e due soldati.

— Jan! Non ti aspettavo… ma sei arrivato al momento giusto! Arresta questa pazza! — esclama, voltandosi verso Margarete. Per un attimo rimane senza fiato: lei si è avvolta nel pastrano, si è premuta il cappello sulla fronte. Nella penombra emerge solo la sua bocca, sottile e livida. Augustus riprende a parlare: — Questa è una donna! Si è finta un soldato, ha rubato l’identità…

Poi nota lo sguardo di Jan, pieno di disgusto. Si annusa, sente la puzza di vino che lo avvolge.

— Lei me l’ha gettato addosso! Guardate il quadro, è il suo ritratto, è lei! — strilla, puntando il dito verso la parete. Segue gli occhi degli altri, prima vittorioso, poi raggelato: il proiettile che ha sparato ha colpito la faccia di Margarete, ha aperto un buco nero nella tela. Dov’è la pistola? pensa in un lampo. Abbassa lo sguardo, la trova nelle mani di Margarete.
— Sta mentendo. Quando l’ho messo davanti alla verità ha perso la testa. Sentite come puzza di vino, ha bevuto troppo. È così ubriaco che l’ho disarmato con facilità — dice lei con voce piatta. Augustus abbozza una risata, poi sente un soldato torcergli le braccia dietro alla schiena.
— Si è inventata tutto! È venuta dalla Germania indossando i panni di un soldato per una vendetta d’amore! — urla.
— Che vendetta? Allora è vero: ha la coscienza sporca, qualcosa da nascondere — la voce di Margarete è un sibilo basso e gelido. Augustus smette di agitarsi, sente il sudore ghiacciarsi sulle tempie.
— Io non ho ucciso nessuno — balbetta. Si lascia trascinare verso la porta scuotendo la testa.
— Io l’ho visto. Ha abbattuto l’aereo di Helmut Vogt. Anche a me è sembrato incredibile, ma è la verità.

Augustus guarda le due Margarete: quella senza faccia, vestita di rosso borgogna, sul muro; e quella vestita da soldato, pallida, che lo fissa da sotto il cappello. Un fuoco grigio brucia nei suoi occhi. Una striscia di sangue scende come una lacrima sulla sua guancia.

VI. Gelo

A un certo punto Augustus von Schonborn smette di farsi spingere e cammina in fretta sullo spiazzo spazzato dalla neve. Poi si ferma, in mezzo al vento e al buio, e dice: — Io non volevo ucciderlo, non so come sia successo.
Ignora l’odio negli occhi dei soldati e si volta, la testa incassata fra le spalle. Io volevo solo dargli una lezione mormora tra sé. Alza lo sguardo. Molto lontano vede una donnina di panna, avvolta in un kimono rosa pesca, con le labbra rosse. Margarete canta, ed Helmut la guarda con gli occhi che scintillano. Io non volevo ripete non ne avevo idea. Sente i fucili muoversi dietro di lui. Avessi amato me così pensa.
I fucili crepitano.

VII. Un bel dì vedremo

Margarete rivolge lo sguardo verso il fondale, un terrazzo che dà su una baia azzurrina. Poi guarda Suzuki, una ragazza con gli occhi larghi avvolta in un kimono marrone.

Che dirà? Che dirà?
Chiamerà “Butterfly” dalla lontana
io senza dar risposta
Me ne starò nascosta
Un po’ per celia,
Un po’ per non morire
Al primo incontro 

Chiude gli occhi per un attimo, trattiene le lacrime prima che sciolgano il trucco. Indica il paesaggio alle sue spalle.

Tutto questo avverrà, te lo prometto.
Tienti la tua paura. – Io con sicura
fede lo aspetto. 

Allunga la ‘o’ fissando un punto dietro le quinte.

“Se apro le mani trovo le lettere che Helmut non mi ha spedito. Hanno mandato tutti i suoi averi a Lothar e lui mi ha detto aveva cominciato a scrivere Mia cara Margarete e io ho allontanato la cornetta dall’orecchio e ho gridato nel pugno. Poi ho detto mi aveva scritto Prometto che quando tutto questo sarà finito ti sposerò e Lothar ha risposto lo so l’ha detto anche a me lo pensava davvero.”



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