Numero 48 – Novembre 2018

A volte è solo questione di respiro

di Elena Ramella

 

A volte è solo questione di respiro. Inspira. Trattieni. Espira. A volte è davvero solo questione di respirare. Inspira. Trattieni un po’ di più. Espira.

L’Acqua. L’acqua che purificava, che lavava via, che puliva, che cancellava. L’acqua. Ogni volta che si buttava sotto al getto bollente della doccia era un piccolo rituale. Chiudeva gli occhi e faceva finta che i rivoli d’acqua che le scorrevano sul corpo, dalla nuca ai talloni, portassero via i pensieri, i nomi, i volti, le parole dette o sentite, i gesti compiuti o subiti. Tutto scivolava via. Via da lei. Via, nel calore, nel vapore.

La doccia del mattino lavava via gli incubi della notte, quella della sera, gli incubi del giorno.

Si avvolgeva nell’accappatoio di spugna e si sedeva sull’asse del water, stringendosi le ginocchia contro al petto, i capelli gocciolanti. Aspettava che l’acqua penetrasse dai pori della pelle e la pulisse anche dentro. Aspettava, morbida, vuota, tiepida, umida. Aspettava che tutto andasse via.

A volte è solo questione di respiro.

Quel giorno il respiro le era morto in gola.

La stazione. La stazione all’ora in cui la gente prendeva il treno a fine giornata per tornare a casa. Aveva aspettato. Immobile. Senza cuffie. Senza niente. Si era guardata intorno. Aveva aspettato, aspettato, aspettato. Era un allenamento che aveva iniziato da piccola. Aspettare. Sopportare. Quando al corso di danza la maestra le aveva messo due mani alla sbarra e le aveva insegnato per ore, ore, ore, a stare dritta, composta. Per ore, durante quelle lezioni, non aveva fatto altro che stare immobile e ascoltare i notturni di Chopin. Si era allenata all’immobilità.

C’erano lei, e il signore della sicurezza, in giacca e cravatta, che controllava la profumeria. Si erano guardati attraverso la vetrina, annoiati, allenati, resistenti al far nulla.

C’erano lei e tante altre persone che andavano avanti e indietro, di corsa o a passo lento, con valige o zaini. Aveva guardato gli uomini con le ventiquattrore, che camminavano sicuri di sé. E lei sapeva. Sapeva che anche loro erano insicuri, come lei. E le donne, le donne soprattutto. Le principali vittime delle nevrosi. Perché, poi? Per quale motivo? Lo leggeva sui loro volti. Eppure sembravano tutti così sicuri. Erano tutti umani, erano come lei. Avevano punti deboli, falle, incertezze, traumi. Come lei.

Tornata a casa si sarebbe concessa una doccia più lunga del solito, più calda, per cancellare tutto quel flusso di vita che l’aveva investita, quel giorno, sulla panchina di una stazione.

 



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