The sidereal song of Emilia Kalipteia
di Sonia Aggio

Almö suona pizzicando una chitarra, schiacciando una pulsantiera che brilla e lampeggia come un nido di stelle lontane, osservando le Perseidi.
Poi si ferma, le dita sulle corde.
Swoooosh la porta scorre sulle guide.
Tomp tomp tomp dei piedi sulle mattonelle.
Tutte le teste si voltano, lei passa di corsa, i capelli sciolti nell’aria, attraversa il giardino a falcate, la gonna bianca si ritira come risacca sulle gambe. Negli occhi ha le scie bianche-azzurre delle stelle cadenti.
Alle sue spalle chiedono: “Ma quella chi è?”
“Emilia Kalipteia” risponde Almö.
“L’astronoma?”
Un sole arancione bacia i campi umidi e le colline verde-oro che si stagliano contro il cielo nero. Merope cammina attraverso i campi di granturco, Emilia la segue. Urtano le stoppie con i piedi nudi, si aprono tagli rossi sulle caviglie.
“Merope, rientriamo” dice Emilia, stringendosi nelle spalle. Sua sorella si ferma, si volta trattenendo i capelli con la mano. Ha gli occhi grigi, il suo viso non sorride e non si aggronda, è pulito come dopo la pioggia.
All’improvviso si alza il vento, il sole fa una luce rossa. Emilia sente le labbra spaccarsi. “Merope” ripete, tendendo la mano. La sua bocca sanguina.
C’è un ruggito da incendio, la faccia di Merope diventa un triangolino bianco-grigio e castano, poi scompare.
Galleggia, sola, nello spazio…Continue reading
Madre-patria
di Eva Luna Mascolino

Sono passati almeno trent’anni da quando ho imboccato l’ultima volta questa strada. Andavo nella direzione opposta e c’era odore di carne bruciacchiata. Non ricordo chi la stesse cuocendo, chi se la fosse dimenticata sul fuoco. C’erano però dei ragazzini che si rincorrevano sul selciato, e una ragazza più grande che li rimproverava con un tono simile a una filastrocca. Parlava la lingua delle campagne, intorpidita e piena di graffi.
Mia nonna parlava la stessa lingua, negli ultimi mesi di vita. Era troppo affaticata per sforzarsi di pensare come noi, che andavamo a scuola e che ripassavamo la grammatica ogni settimana. Lei si era lasciata andare e mio padre aveva capito che sarebbe morta presto nel momento in cui lei ha chiesto una caraffa d’acqua accanto al capezzale, e non l’ha fatto usando le parole che noi in casa riconoscevamo.
Mio fratello minore aveva cinque anni e si era subito informato. Che succede alla nonna, perché dice frasi strane, perché vuole l’acqua vicino a sé. Mia madre ha provato a spiegargli che erano dei segnali di una storia più grande pronta per compiersi, mio padre si è messo a piangere. La nonna si era sempre rifiutata di bere, anche se il dottore la pregava di cambiare idea prima di disidratarsi all’inizio e alla fine di ogni visita. Prenderò a bere di più solo quando vedrò con i miei occhi che non ci sono altri modi per guarire, mormorava lei. Rigorosamente con parole che io e mio fratello identificavamo subito…..Continue reading
BIANCO DIO
di Sara Gambolati

C’è il bianco compatto della calce e quello perlato delle ostriche. Il bianco azzurrato delle uova, quello giallognolo dei capelli della Nane e il bianco della schiuma grigia e rarefatta. Il bianco rosato delle unghie dopo il bagno. Il bianco rosso degli occhi dopo bicchierate di tequila, il bianco livido dei giorni di febbre. Quello tagliente del lampo al magnesio ci risucchia bloccati per sempre nella stessa posizione: mia madre di tre quarti, seduta mani in grembo, dietro io, le mie sorelle e gli oleandri. Il lampo bianco ha imprigionato i nostri sguardi; quando ci stropicciamo gli occhi, la Nane si segna per il brandello di anima che è imprigionato sulla lastra fotografica. È convinta che un morto con la foto sulla tomba, nel Día de muertos, non possa tornare a mangiare le calaveras. Per lei mangiare è un’attività confermativa: Cristo risorto mangiò del pesce per dimostrare di essere tornato in carne e ossa. Il corpo rosa dei gringos; cannella, caffè, carbone il nostro: quello è vera vita per la Nane. Il mio corpo è stato ammalato e lei lo ha curato con l’acqua di noce e con il mole. Ancora adesso si occupa delle mie calze – una spessa per mascherare la gamba sottile – e del rialzo della scarpa….Continue reading
Ahmed, lo scuinatt
di Massimiliano Piccolo

La prima volta che lo vide fu quando ha suonò al campanello. Stranito, cercò di capire da dove provenisse quel gracchiare che non aveva mai sentito prima. Forse perché i pochi che venivano a trovarlo, prima gli facevano uno squillo al telefono. Perché lui glielo diceva sempre che rischiavano di scocciare.
Con un filo di curiosità si affacciò alla finestra e si trovò davanti quella scenetta bizzarra. Fisionomia del volto maghrebina, cappellino scolorito con visiera appiccicato sulla testa, camicia a quadri oversize probabilmente appartenuta, in qualche vita andata, a un boscaiolo duro e puro che doveva aver disboscato gran parte di quelle zone infauste. E poi, per terminare alla grande, un numero illimitato di scope conficcate ovunque. Possedeva un’aura di manici di plastica; una sorta di shangai di ossa e ramazze. Ai piedi portava delle infradito, nonostante i pochi gradi del folle inverno tra quelle piccole, infime montagne.
Spalancò la finestra e, invadenti più che mai, gli si ficcarono addosso gli spilli di una folata di gelo artico. Gli chiese, con la praticità di chi si stava ibernando, che diavolo volesse.
Il tizio gli rispose soltanto che il cancelletto era aperto…Continue reading
Mi muovevo, quella sera, e c’era vento
di Gregorio Volpi

Mi muovevo, quella sera, e c’era vento,
e, timida, nei vicoli e nei bar
ti fermavi, poesia, e da lontano mi vedevi,
sanguinante in gola per un verso mancato.
Ormai, per me, taceva ogni rumore, e dai bicchieri,
pieni, effondevano colorate luci,
ove io ti leggevo…Continue reading
La canzone che dovrei conoscere
di Nicolò Monti
Eccoci lì, seduti al tavolo del tuo salotto
le posate unte e sporche tintinnano
ai lati dei piatti colmi di avanzi.
Una forchetta osa cadere sul pavimento
ed ecco un dei tuoi cani
che dopo aver leccato i rebbi
è ancora …Continue reading
Spettri
di Enrica Gatti
Fantasmi
diventati piccoli
specchi
nei quali l’immagine distorta
è il volto
dei dolori che non si possono dimenticare
Spettri
in un’ala dell’anima
dentro una stanza buia
riposano…Continue reading
Le mie stanze sole
di Valentina Casadei

Ogni angolo
S’inventa
Un nuovo giorno
Per osannare
Quel tuo fantasma
Che ancora infesta
Le mie stanze sole….Continue reading
Sabato all’Ikea
di Lorenzo Mandalis

I
Nessuno di noi due credeva d’essere nel mezzo
del cammino della vita. La selva
però c’era. E noi ce la ritrovammo
davanti come un imprevisto.
Non come le solite strade
che eravamo abituati a percorrere
fianco a fianco …Continue reading