Ahmed, lo scuinatt
di Massimiliano Piccolo
La prima volta che lo vide fu quando ha suonò al campanello. Stranito, cercò di capire da dove provenisse quel gracchiare che non aveva mai sentito prima. Forse perché i pochi che venivano a trovarlo, prima gli facevano uno squillo al telefono. Perché lui glielo diceva sempre che rischiavano di scocciare.
Con un filo di curiosità si affacciò alla finestra e si trovò davanti quella scenetta bizzarra. Fisionomia del volto maghrebina, cappellino scolorito con visiera appiccicato sulla testa, camicia a quadri oversize probabilmente appartenuta, in qualche vita andata, a un boscaiolo duro e puro che doveva aver disboscato gran parte di quelle zone infauste. E poi, per terminare alla grande, un numero illimitato di scope conficcate ovunque. Possedeva un’aura di manici di plastica; una sorta di shangai di ossa e ramazze. Ai piedi portava delle infradito, nonostante i pochi gradi del folle inverno tra quelle piccole, infime montagne.
Spalancò la finestra e, invadenti più che mai, gli si ficcarono addosso gli spilli di una folata di gelo artico. Gli chiese, con la praticità di chi si stava ibernando, che diavolo volesse.
Il tizio gli rispose soltanto che il cancelletto era aperto. Lui bofonchiò un grazie e l’altro riprese a camminare, senza nemmeno chiedergli se volesse uno di quei maledetti ghiaccioli a forma di scopa. Lasciò tutto così com’era e si rimise sul divano, pigro nel corpo e nell’animo, come sempre, senza interrogarsi su cosa ci facesse un venditore ambulante in un paese dimenticato da dio e dagli uomini. Uomini antichi, prima che anziani; oppure lupi mannari di asocialità, un po’ come lui.
Accadde soltanto qualche giorno dopo, quando lo rivide che si inerpicava sulla salita, con le stesse infradito per raggiungere il paese, che si chiese che cosa ci venisse a fare lassù; quale perversa manovra di marketing potesse celarsi dietro la vendita porta a porta dove c’erano tre case in croce, tutte semi-abbandonate, nel mezzo di un bosco dove zampettavano più cinghiali che persone. Ed è proprio in quel preciso istante, in quel momento specifico, che la curiosità lo spinse a fermarsi.
Accostò la macchina poco più avanti e quando gli passò di fianco, con passo svelto, gli chiese se volesse uno strappo. Lui rispose di sì, con un ghigno che svelava tutto il marciume degli incisivi. Il bizzarro caricò tutto il suo negozio di ramazze sul sedile posteriore e poi, con un gesto atletico, si sedette sul sedile del passeggero. Lo ringraziò e se ne stette zitto. Muto come un pesce. Il curioso provò a tastare il terreno, ma l’ambulante non spiaccicava parola. Lo guardava e sogghignava di putrefazione. Non ebbe più il coraggio di chiedergli niente. Arrivati a destinazione, il venditore scese, entusiasta. Prese i suoi prodotti, se li mise tutti addosso, e se ne andò a farsi il giro fra le tre le rade case.
Con la curiosità intrinseca che gli apparteneva, il misantropo si mise a seguirlo, a debita distanza, per vedere se qualcuno gli prestasse attenzione o comprasse la sua inutile mercanzia. Ma il risultato appariva sempre lo stesso. Finestre che si serravano, tende taciturne che calavano, tapparelle che gracchiavano la ritirata, cancelletti che sbattevano e urla sdentate che minacciavano l’avvento della polizia, dell’esercito e perfino dei Nas. Una zombie centenaria lo sfidò persino con una scopa di saggina e il curioso non poté che sgranare gli occhi di fronte a quella che pareva la caricatura pulita di una finale olimpica di scherma. L’ambulante però mollò subito il colpo e ripose la ramazza insieme alle altre. Si limitò a scusarsi, mostrando la dentatura annerita, e se ne andò per la sua strada. Arrivato davanti al cancelletto del misantropo, si voltò verso di lui, e poi continuò a tirare dritto. L’altro si nascose dietro la macchina per non farsi vedere mentre studiava il totale sfascio di quella tecnica di vendita. Quando riemerse dalla carrozzeria, il venditore era scomparso. Forse aveva imboccato la viuzza nel bosco per raggiungere l’ultima casa in fondo al paese. O forse aveva preso una scorciatoia per la discesa. Ad ogni modo, lui e le sue scope non c’erano più.
Fu un paio di settimane dopo, mentre faceva colazione al bar in valle, che sentì due tizi che parlavano di un tale Ahmed lo scuinatt.
Dicevano che se ne era tornato al suo paese con tutta la famiglia. Ancora una volta non ebbe il coraggio di chiedere se a quel nome corrispondesse il bizzarro mercante dai denti marcescenti. Così se ne rimase a contemplare il fondo della tazzina di caffè e poi se lo immaginò, con le infradito ai piedi e la bella famiglia di ramazze dappertutto, mentre se ne tornava a casa, dove forse la gente non perdeva occasione per comprare le sue belle scope e spazzare via la polvere dai pavimenti.
“scuinatt” in dialetto lombardo è il venditore di scope.