Numero 45

L’Alieno

di Fabio Cardetta

@Alessandro Villanucci

Trovare una corda era stato difficile.
Così infine aveva optato per un foulard.

Il cotone grigio presentava delle escrescenze ricamate che avrebbero probabilmente accelerato il processo di stritolamento. In quel momento, gli riapparve la danza macabra di un boa dell’Amazzonia che aveva visto in un documentario americano.
La stanza era buia, con la finestra tappata dalle due ali di tenda, che lasciavano intravedere una fessura luminosa.

“Quarant’anni… sono anche tanti in realtà…”

Ci aveva pensato spesso negli ultimi mesi e si era rappresentato in mente tutti i modi possibili in cui si sarebbe potuta compiere l’opera finale. Aveva riguardato alcune decine di foto conservate nel cassetto ricolmo di cartacce e resti di tabacco. Poi un’ultima occhiata alla foto della madre, nel portafoglio.

Una vocina sottile gli sussurrava:

“Vuoi farlo davvero?”

Lui le aveva risposto, imponente:

“Sì… Questa volta sì…”

Eppure la lametta che rifulgeva, sul comodino, non era d’accordo; pareva quasi ansimare: “Perché non hai scelto me?”

Sorrise, come divertito da una battuta di una vecchia amica.

Riusciva ad essere sarcastico anche nel momento del commiato.

Era cosciente che quel sarcasmo, quell’atroce tremenda difesa e mezzo d’attacco, l’aveva stritolato pian piano, per anni, proprio come quel boa.

Spostò leggermente la sedia e ci si mise sù.

Il lento scricchiolio accompagnò l’ascesa, con le ginocchia che scricchiolavano anch’esse, ormai fuse in un unico essere: la sedia.

E proprio mentre guardava il soffitto, e artigliava con una mano il morbido tessuto grigio, un rumore dal divano prese a cricchettare.

Lui si girò, presagendo qualcosa di inaspettato.
E quando ebbe compiuto l’intero percorso antiorario necessario a guardare la finestra… si accorse che sul divano stava una vecchia e oscura presenza.

L’Alieno.

L’Essere lo guardò di traverso, piegando la testa di tre quarti.
“Ci risiamo!” – lo apostrofò, come un rimbrotto.

Non era cambiato rispetto all’ultima volta, se non per gli angoli smussati del corpo e per una maggiore morbidezza dei tratti. Sembrava anche più basso (forse era il punto di vista che ingannava), ma ancora, di certo, toccava i due metri d’altezza.

“Quando hai finito questa sceneggiata, puoi anche scendere… che parliamo!”

Il cappello di paglia a larghe tese venne scaraventato sul tavolino, mostrando la testa color acciaio.

“Non vedo perché dovrei scendere…”

Lui questa volta non ne avrebbe voluto sapere.

L’altro gli avrebbe potuto promettere il mondo, le grandi prospettive, gli aloni di gloria, la tanto agognata felicità… ma questa volta, lui, non avrebbe fatto una piega; lui questa volta ne sarebbe uscito, una volta per tutte.

Era stanco.

La sua anima desiderava solo pace e oscurità.

Altro che le solite promesse, il diamante in fondo all’oceano, la famigliola in cima alla montagna, il premio all’Uomo dell’Anno… Era stanco.

Era stanco di tutto quel roboante giro di giostra.

“Avresti potuto scegliere la lametta… Più poetico, più lento, magari ti avrebbe anche permesso di ragionarci un po’ sù, come al cinema!…”

L’Appeso cominciò ad alterarsi.

“Ma sì, scherza pure… Lo sai che, se sono arrivato a questo, è solo per colpa tua!… Non potevo avere la pace dentro, no… Dovevo inseguire le tue cazzate e i tuoi sogni di gloria, le tue grandi aspettative!… E cosa ho ottenuto?… Niente… Grazie per la beata truffa, grazie per il colpo basso… Tu, e i vermi con cui ti accompagni!”

L’Alieno sbuffò e si mise in piedi, andando a cozzare la testa contro il soffitto.

Il Morto lo vide superare la sua altezza, come una montagna.

I grandi occhi a fessura, attraverso cui aveva visto l’oro delle Galassie, lo scrutarono, proiettandolo nel vuoto dell’Abisso.Un velo su uno specchio fu tirato giù, di schianto.

E il cadavere che stava in piedi sulla sedia poté riflettersi, bianco e spettrale.

“Questo è quello che sei adesso: un Morto…”

L’Alieno torse la testa ancora una volta, nella stessa maniera.

“E questo è quello che ti aspetta, se te ne vai…”

Lo specchio divenne nero, una macchia ad allargarsi nella notte.

L’Impiccato guardò lo specchio.

L’Alieno lo fissava con negli occhi la stessa immagine dello specchio.

“Bello come numero di magia… Ma un po’ misero, non credi?” – fece il Condannato.

“Aspetta…”

L’Essere tirò fuori dalla tasca un involucro di cotone, e ne estrasse  una pietra, uno zaffiro.

Ci soffiò sopra, e la polvere che ne uscì andò a invadere lo specchio. Nello specchio presero a migrare accumuli di detriti che si scontravano, si assemblavano ed esplodevano come meteore. Quelle polveri, pian piano, andarono a formare dei quadri, degli schizzi, delle figure sbiadite… che infine divennero nitide.

Dalle immagini dell’infanzia ai presagi di morte, vennero fuori persone, avvenimenti e ricordi, costruzioni e manichini, ottenuti dallo scontro di quelle particelle variopinte.

Tant’è che Lui, l’Impiccato, si dimenticò totalmente di essere lì.

Poi un’esplosione…

E lo specchio tornò specchio.

Nero.

L’Alieno torse la testa verso il morto.

Ma il Morto era di stucco, immobile.

Lo spettacolo lo aveva colpito, tanto che ora un paio di lacrime si erano addensate agli angoli degli occhi.

“… lo so che morendo rivedrò tutto questo… E poi il nulla, per sempre…”

“Non si tratta di questo, caro mio… Quello che hai visto, è quello che hai fatto fino adesso…

Carino, non c’è dubbio… Ma abbastanza mediocre, se posso permettermi di dirtelo!… Ti vorrei mostrare altre pietre di gente che ne ha sparse di comete, di più di quello che hai fatto tu… E ti renderai conto di che meraviglia possa essere, sopravvivere a se stessi per creare il Rombo nell’Universo…”

Lui ebbe un moto di orgoglio, e al contempo di rabbia.

“Per quello che mi interessa… Ho smesso di voler essere il migliore, o almeno il migliore in qualcosa, lo sai… Avrei voluto avere una vita tranquilla, la felicità… Non me ne fotte nulla del tuo Universo e di tutte le polveri colorate del tuo repertorio, lo vuoi capire?”

L’Alieno lo guardò, sbuffando, stanco di ripetere la stessa tiritera.

Poi si lasciò cadere sulla poltrona, come un’onda, con le braccia penzoloni a toccare il pavimento.

“Sei un idiota!… Se solo l’avessi saputo, avrei scelto qualcun altro per fare tutto questo…”

“Avresti dovuto!”

L’Impiccato scese dalla sedia e ci si sedette sopra, con la testa tra le mani.

L’Alieno lo guardò, inarcando le sopracciglia, come se un sentimento di compassione si fosse improvissamente manifestato in lui dallo scoramento del morto.

Poi mostrò il palmo, con sù una pietrolina.

“Questo è l’essere ignobile che vuoi essere… Guarda!”

E nello specchio una veloce tempesta di coriandoli si addensò, la nascita di un bambino, una famiglia distratta, vari strazi e incombenze; poi una fossa, e un cadavere… poi di nuovo il Nero.

Lui guardava lo spettacolo, con le dita avvinghiate alla faccia.

“E credi che questo mi spaventi?…”

“No, non credo che ti spaventi. Questo è perché consideri il Nero la fine di tutto…E ignori che in Natura tutto ciò che è utile, non si butta via… La tua pietra ha buone potenzialità di essere riutilizzata per quella che io chiamol’Esplosione Finale

Ma non ancora, non sei ancora degno… La pietrolina che tu ambisci ad essere non sarà riutilizzata nemmeno per un castello di sabbia d’un bambino. Ci sono altre persone che assisteranno al Premio Finale: la Risposta…

Quella che, da quando sei nato, ti tormenta e ti perseguita…”

Silenzio.

Cosa voleva dirgli? Ancora una volta, con tutte quelle fantasticherie, quella banale polvere di stelle? E che senso voleva dare  a tutto questo chiacchiericcio che si aggomitolava su se stesso, insensato, da anni? Non aveva senso.

Alla fine, l’Impiccato, non sapendo che dire, se ne uscì con una frase ad effetto.

“Non vedo la ricompensa…”

L’Alieno sorrise.

“La ricompensa è l’Esplosione Finale… per quello che vale…”

E gli occhi dell’ Alieno lo penetrarono.

Per un attimo i suoi occhi si fusero con quelli: e il Morto, l’Impiccato e l’uomo si fuse con il mostro da se stesso creato, e si dette a nuotare nella profondità nera di quelle pupille dilatate all’Infinito.

Era doloroso e al contempo piacevole, diventare Nulla e Tutto.

Come reagire al non essere essenziale?

“Fammela vedere a distanza, questa Esplosione Finale… vediamo se ne vale davvero la pena…”

L’Alieno sorrise, come qualcuno che sta per concludere un buon affare: rombò nella distanza siderale, con i timpani percossi allo stremo dalla voce.

“Te la farò vedere a distanza, l’Esplosione… da una pietra preziosa appartenente ad uno molto più bravo e fiducioso di te!…”

E quando il Morto e l’Impiccato videro quell’orizzonte infuocato, con i dardi fiammeggianti convergere in un punto microscopico, la colonna vertebrale del Morto parve sgretolarsi in mille parti, con la testa che staccata, prese a rotolare a terra. E alcune facce, sagome familiari comparverso, veloci, fuggitive, saettanti, verso il Centro dell’Orizzonte, nell’alone oscuro dell’Oblio.

Poi un rombo e un sibilo, una frequenza…

“…sarà davvero lì che potrò Vedere?…”

L’Alieno (ormai dissoltosi nell’aria) si fece ghiaccio.

“… non Vedrai… Sarai!… senza accorgertene. Solo se riuscirai a guadagnarti una vista sull’ Orizzonte. Forse la Natura sceglierà di arruolarti!… Altrimenti per te ci sarà solo il Nero, senza speranza, un’occasione mancata, la disdetta di una vita… E che grande occasione persa, caro mio!… E io svanirò con te, dato che mi hai creato. E io svanirò… senza vedere l’Orizzonte di Fuoco. Davvero la tua vita tranquilla vale tutto questo?… La tua Morte, la mia Morte… e tutto quello che comporta. Non vuoi vedere cosa c’è Oltre?…

Allora per quale ragione sei rimasto cosi tanto fra noi?”

Quando il Grande Cerchio venne interrotto dal repentino movimento di mano, la grande pietra rossa venne coperta dal panno. E l’Alieno riapparve sul divano.

Mentre l’Impiccato riapparve in piedi sulla sedia. E l’Alieno aprì gli occhi, terrorizzato.

“Allora, amico mio… Davvero hai deciso di suicidarti?”

Un’implorazione dal baratro.

Mentre l’Impiccato sorrideva, con un ghigno letale.

E con decisione, mise la testa nel cappio.

E con fermezza, lo sfidava al commiato.

Se lo guardò un po’, il Mostro, con la testa di lato.

Come lui aveva fatto a sua volta verso l’Impiccato.

E sorrise, beato, come se non ci fosse stata la Notte.

Scandì bene le parole, ormai cristallizato:

“Ora sai che non temo piu nulla!”

L’Alieno strabuzzò gli occhi.

Si abbrancò alla poltrona, e il battito percosse la stanza.

“Davvero hai deciso di suicidarti!”

L’Impiccato sorrise.

“Non lo so, forse… domani…”

E lo Specchio di nuovo si mise a brillare.

Entrambi sorrisero, come in simbiosi.

L’Alieno comprese, senza dir altro.

L’Impiccato rese il saluto, come d’agguato.

“Lo decideremo domani, amico mio…

Lo decideremo senz’altro domani…”



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