Numero 45

Scie chimiche

di Fiorella Malchiodi Albedi

 

“Piccolo Sud #74” Emiliano Cribari

La sensazione di aspettativa fiduciosa si propagò nel paese di Borgoameno una mattina molto presto, quando ancora tutti dormivano, e prese a diffondersi tra i vicoli e su per le scale delle case e nelle stanze, come l’aroma dei fiori d’arancio la mattina di Pasqua quando le donne sfornano la pastiera. Tutti la percepirono al risveglio. I più l’accolsero senza riconoscerne il carattere insolito, imputandola a quelle strane combinazioni che capitano a volte nella mente umana, per cui un giorno, senza che nulla sia cambiato nella tua vita triste e noiosa, all’improvviso ti coglie un irragionevole ottimismo e volgi uno sguardo confidente verso la vita che verrà. Altri invece ne riconobbero la peculiarità, considerandola al di fuori delle normali oscillazioni dell’umore e la coltivarono in segreto come un dono prezioso.

In alcuni il sentimento si incamminò lungo strade ben conosciute e più volte percorse.

Lucia, ad esempio, quel giorno si era svegliata molto presto, quando un raggio del sole ancora basso era sbucato dalle nuvole e l’aveva colpita sul volto. Invece di rammaricarsi per aver dimenticato di chiudere le imposte la sera prima, aveva pensato che fosse un segno del destino che le preannunciava un buon inizio di giornata. Poi, nel corso della mattinata, si era sorpresa a fantasticare sul suo nuovo vicino di casa, un uomo di poco più giovane di lei, che ancora non conosceva. Aveva immaginato di incontrarlo per le scale, di ritorno dal mercato. Lui si sarebbe offerto di portarle le borse della spesa, lei per ringraziarlo l’avrebbe invitato a prendere un caffè. Avrebbero parlato, lei descrivendo le sue giornate, ma senza far trapelare la solitudine che le pervadeva. Lui avrebbe ascoltato con attenzione e poi le avrebbe raccontato la sua, di vita, con semplicità e con un tono dimesso e onesto che le avrebbe toccato il cuore. Andò avanti per un pezzo, continuando a tessere il suo sogno a occhi aperti senza remore, arricchendolo via via di particolari. Quando, alla fine, si risvegliò, si stupì di essersi lasciata andare a quella fantasia. Da quanto tempo non faceva castelli in aria? Era stato il raggio di sole, la mattina, a risvegliarla dal torpore che affliggeva la sua vita affettiva, che credeva ormai irrecuperabile? E prese ad attendere, felice, l’incontro con l’uomo, perché era sicura si sarebbe svolto come aveva immaginato.

Anna, che non vedeva ormai da anni il figlio lontano e che riceveva da lui solo svogliate telefonate di tanto in tanto, senza nessun motivo logico per crederlo, fu all’improvviso certa che lui avesse deciso di farle una sorpresa e che stesse per tornare. E la mattina, sbrigando le faccende, ogni tanto si affacciava alla finestra per tenere d’occhio l’inizio della strada, il punto da cui lo aveva visto sparire tanti anni prima, convinta che da un momento all’altro sarebbe ricomparso e si chiedeva, quando fosse spuntato da quell’angolo, se le si sarebbe di nuovo stretto il cuore alla vista del suo modo di camminare un po’ barcollante, che le sembrava rispecchiasse un’incertezza nel carattere e un’inadeguatezza a vivere.

Poi qualcuno cominciò a stupirsi di incontrare per strada solo visi distesi e sereni. Come mai il vecchio burbero che vendeva i giornali quella mattina li aveva salutati quasi con simpatia? E avevano addirittura visto un’ombra di sorriso (solo un’ombra, è vero, ma inequivocabile) sul viso della signora Emma, la donna più triste del mondo! Cominciarono a pensare che l’emozione che li aveva colti all’improvviso e che continuava a scaldare il loro cuore, non riguardasse le loro singole vite, ma fosse una sorta di epidemia gioiosa che aveva colpito il piccolo borgo. E ci si poteva meravigliare di quelle espressioni radiose? Non era stato insegnato a tutti, fin da piccoli, che l’attesa della felicità è ancora più bella della felicità stessa?

I bambini non furono certo risparmiati dalla inusuale sensazione, ma essendo poco avvezzi alle cose della vita, non rimasero colpiti dalla sua stranezza e si limitarono a godersela, ciascuno con le sue preferenze, chi pregustando la lasagna che forse la nonna stava preparando per il pranzo della domenica, chi anticipando il piacere di una partita a calcio con il padre. E avendo in genere dei desideri da realizzare in tempi brevi, furono i primi a scoprire che se poi l’attesa si rivelava inutile, e ciò che avevano immaginato non si realizzava, questo non scalfiva minimamente l’entusiasmo, e ci si rimetteva subito a sperare in qualcosa di diverso, con una sicurezza per nulla offuscata dalla recente delusione.

E alle persone nel cui animo albergavano solo il rancore, l’invidia, l’odio… ai cattivi, insomma, che effetto aveva fatto il senso di felice aspettativa? Era riuscita a infiltrarsi tra gli ingranaggi arrugginiti del loro spirito e a metterli in moto? Purtroppo no. Non riuscirono a comprenderla, uno sguardo ottimistico e sereno sul domani era al di là delle loro capacità. Arturo, che dava un significato alla sua esistenza picchiando a turno la moglie, i figli e il cane, cominciò a sentirsi stranamente inquieto, nulla di più, ma almeno quella incomprensibile agitazione lo spingeva a vagabondare fuori di casa, dando alle sue povere vittime un po’ di tregua. Lo si vedeva camminare per strada un po’ stralunato, con un’aria contrariata, a volte agitando la mano davanti al viso, come a scacciare una mosca importuna.

Quel senso di intima speranza durò all’incirca un mese. Poi cominciò lentamente a svanire. Lucia incontrò il vicino sulle scale, di ritorno dal mercato, ma lui si guardò bene dall’offrirsi di portarle le borse e le rivolse un mugugno che voleva essere un saluto frettoloso. Lei si seccò di quella sgarberia e neanche gli rispose. Come aveva fatto a fantasticare su un individuo evidentemente così maleducato? Anna ricevette una lettera sbrigativa in cui il figlio le confermava che no, neanche quell’anno sarebbe potuto tornare e pensò che forse non l’avrebbe più rivisto. E Arturo riprese a picchiare con gusto la moglie, i figli e il cane. Gli abitanti di Borgoameno emersero dalla parentesi di insensata illusione provandone fastidio, quasi fossero stati vittima dello scherzo di uno spiritello malvagio o dell’effetto di una sostanza misteriosa che avevano assorbito, chissà, dall’acqua o dal cibo. Ci fu chi lo attribuì all’esperimento di uno scienziato avventato, o chi, c’è bisogno di dirlo? pensò alle scie chimiche. Ma tutti con l’impressione molesta di essere stati imbrogliati.

Tutti, o quasi. Sandro, lo scrittore, che nel paese tutti amavano anche se lo consideravano un po’ strambo, fu uno dei pochi che ne conservò un buon ricordo. Da anni la sua creatività si era inaridita e la sua fama di letterato campava sulla rendita dell’unico romanzo pubblicato ormai decenni prima, che aveva avuto un certo successo, è vero, ma la cui eco era ormai si spenta nel silenzio che era seguito. Accadde che la strana emozione agì come un fertilizzante sulla sua fantasia e fu un germogliare di idee, di spunti, di incipit, ogni giorno un nuovo progetto che sotto l’influsso dell’inspiegabile fiducia pensava destinato a produrre una nuova e valida opera. Quando la magia cessò, non tutto andò perduto, l’ispirazione si era rimessa in moto e Sandro ricominciò a scrivere. Per iniziare, descrisse gli eventi che Borgoameno aveva appena vissuto e gli sembrò che ne fosse uscito un buon racconto. E come alcuni fortunati sanno, scrivere un racconto a cui poi ci si affeziona, è già una mezza felicità.



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